Bonitta e la pallavolo: «A Ravenna non morirà mai. Ma ci sono troppi campanili…»

Lo storico allenatore avrà il compito di rilanciare il volley maschile dopo la retrocessione: «Punteremo sui nostri giovani»

Marco BonittaIl volley maschile, a Ravenna, riparte dal più celebre degli allenatori ravennati, Marco Bonitta, reduce da una sfortunata esperienza all’estero, attuale commissario tecnico della Nazionale femminile slovena e che oltre a scudetti e Coppe Campioni (sulla panchina di Bergamo) può vantare l’unico Mondiale mai vinto dall’Italia delle donne, nel 2002.

Negli ultimi tempi Bonitta è finito suo malgrado anche al centro delle polemiche, accusato sul Carlino dallo storico dirigente Giuseppe Brusi di essere stato tra i colpevoli del tracollo economico della Porto Robur Costa a causa del suo ruolo (anche) da direttore generale negli anni di Superlega precedenti a quello della retrocessione, ufficializzata poche settimane fa. Accuse respinte al mittente dallo stesso Bonitta, che si è dichiarato estraneo alla gestione finanziario-amministrativa, rivendicando invece orgogliosamente i risultati sportivi, tra cui l’ultima coppa europea vinta da Ravenna, la Challenge Cup nel 2018. «Con Giuseppe non ci sono stati episodi che potessero far pensare a questa sua uscita fuori da ogni logica, completamente falsa», ci dice Bonitta, che intercettiamo telefonicamente mentre è proprio in Slovenia, con la sua nuova Nazionale, a pochi giorni dall’annuncio del suo ritorno a Ravenna, al Porto Robur Costa retrocesso in A2, dove si occuperà anche della direzione tecnico-sportiva, settore giovanile compreso.

CIVITANOVA 21/11/2019. VOLLEY PALLAVOLO Consar Ravenna Cucine Lube Civitanova 2 3.Cosa l’ha spinta a tornare?
«Dopo l’infausta retrocessione c’è voglia di ripartire con un progetto di slancio con al centro i ragazzi del nostro settore giovanile. Ho sempre sperato di poter esserci di nuovo, quando il settore giovanile sarebbe tornato a essere linfa per la prima squadra. I nostri giovani hanno dimostrando di poter giocare in serie A ed era quindi il momento giusto per tornare. Abbiamo definito un progetto di tre anni per farli crescere e nello stesso tempo cercare di tornare in Superlega. Per questo motivo ho grandi motivazioni ed entusiasmo, anche se non è il campionato che ho lasciato».

Difficile pensare di vincere già da subito?
«In questo momento è difficile pensarlo, anche se l’obiettivo è di fare un campionato di alto livello, nei primi 4-5 o 6 posti. Stiamo iniziando a costruire una squadra intorno appunto ai giovani, Bovolenta e Orioli in particolare, con 3-4 elementi di esperienza. Sperando magari di cominciare piano ma di finire molto “veloci” e di riuscire a prenderci qualche soddisfazione».

Come ha vissuto, da fuori, questa retrocessione? Possibile che una piazza come Ravenna debba ritrovarsi con una società in liquidazione, un’altra non all’altezza e pure tentativi abortiti di un consorzio?
«Ovviamente non tutto è successo nell’ultimo anno, c’è stato un passaggio di società, si era arrivati a una situazione un po’ difficile dal punto di vista economico. Si andava avanti da alcuni anni con plusvalenze, grazie alle vendite di alcuni giocatori che avevano procrastinato la crisi. Ma per fare la Superlega serve un budget importante e non si sono trovate risorse economiche adeguate. Nonostante diverse chiamate alle armi, non si è riusciti a raggiungere una serenità economica. E nonostante un main sponsor (la Consar, ndr) che si è fatto carico di tantissime responsabilità, a cui bisogna solo dire grazie».

Ed era lecito quindi attendersi di chiudere il campionato senza neppure una vittoria, come poi è successo?
«Non c’ero quando si è deciso ugualmente di fare la Superlega, un anno fa. Si è partiti un po’ in ritardo, però diciamo che c’era la possibilità di fare meglio, sul mercato e sulla scelta di alcune figure in società. Ho fatto anch’io il diesse e sul mercato c’è bisogno di tanta competenza e di tanti rapporti che negli anni si erano consolidati e forse nell’ultimo si sono invece persi».

E il Comune, potrebbe fare di più, per la pallavolo?
«Difficile dare una risposta. Il rapporto tra politica e sport è delicato, c’è chi dice che in passato si è fatto di più, ma ogni stagione, ogni periodo, ogni decennio è diverso dall’altro. Nel mio piccolo devo dire che invece almeno nell’ultimo anno, l’amministrazione credo che abbia fatto qualcosa per cercare di salvare la pallavolo a Ravenna».

E chissà che non ci sia un nuovo palazzetto quando Ravenna tornerà in Superlega…
«Da uomo di sport confermo che Ravenna aveva bisogno di un palazzetto, di una casa di grande impatto, e non credo che si debba pensare a queste grandi opere solo in base al rendimento delle squadre della città, bisognerebbe avere un progetto a prescindere. Certo è bizzarro che se si dovessero sbloccare i lavori, non ci sarebbe più nessuna squadra “costretta” a giocarci, nel nuovo palazzetto…».

Qualche anno fa era stato coinvolto nel rilancio del volley femminile, all’insegna dell’unificazione. Obiettivo ancora non raggiunto. Perché secondo lei non si riesce a unire le forze?
«Le città italiane sono tutte campanili, si dice… Ecco, a Ravenna ce ne sono 50 di campanili e farli suonare tutti alla stessa ora è difficile. Non voglio dare giudizi, credo sia un’analisi secca. Ci sono tante persone in città intorno a questo grande sport, sia maschile che femminile. Tante persone che la pensano in maniera diversa. Che pensano una cosa e poi ne dicono un’altra. Impossibile creare qualcosa di unitario, nel volley a Ravenna».

Quanto conterà una storia gloriosa, nell’auspicata rinascita della pallavolo a Ravenna?
«Chi studia la storia della pallavolo sa che non è la prima volta che si verificano queste grandi cadute verso il basso: società che chiudono, che vendono il titolo. Resta la cenere, ma in una città come Ravenna la fiammella è ancora accesa: qui non sparirà mai la pallavolo. La persona vincente, mi hanno insegnato, si vede nelle cadute e nella sua capacità di rialzarsi. Ecco, a Ravenna la pallavolo è talmente vincente che è destinata per forza a rialzarsi».

Come gestirà il doppio impegno con anche la Nazionale slovena?
«Mi hanno cercato più volte, mi sono stati dietro molto; alla fine ho accettato perché c’è un gruppo di atlete giovani molto interessanti, con cui si può dare vita a un percorso, senza l’assillo dei risultati fin da subito. Non abbiamo manifestazioni “lunghe” al momento e attorno al 10 settembre sarò già a Ravenna per preparare la stagione. In passato ho già ricoperto questo doppio ruolo e sarà un’esperienza che metterò a frutto in queste nuove avventure».

A proposito di esperienze internazionali, cosa non ha funzionato in Polonia, la scorsa stagione, all’AZS Olsztyn?
«C’è stata una concomitanza di situazioni che mi hanno portato a decidere di tornare in Italia, non ultima il fatto che ho contratto il Covid e devo dire con molta onestà che non è stato semplice, all’estero da solo, senza i miei cari. Poi è venuta comunque a mancare la sintonia con il club a causa di alcuni movimenti di mercato e all’infortunio di un giocatore importante, non gestito al meglio».

Cosa le ha dato, in questi anni, lavorare anche all’estero?
«Apre la mente, devi calarti nella nuova realtà lontano dalla tua comfort zone. Nelle situazioni di difficoltà si cresce. E anche quando le cose non sono andate bene, ho portato a casa molto, anche su me stesso».

In generale qual è il pregio più grande del Bonitta allenatore?
«Ai miei gruppi credo di avere dato e tolto allo stesso tempo. Il mio pregio più grande forse è quello di avere l’istinto, di riuscire a capire subito se un giocatore o un gruppo ha potenzialità. E di convincerlo, se ancora non dovesse crederci. Credo quindi di contribuire molto nella crescita, insomma, mentre poi ho avuto difficoltà nel momento di mantenere un gruppo ad alto livello, dopo la crescita, sull’insistere sul senso di responsabilità dei giocatori».

Il momento più bello della sua carriera?
«Sembra un paradosso ma quello che ricordo con più gioia e più pienezza è forse il livello più basso in cui ho allenato, qui a Ravenna, in B1, quando al Porto ho ritrovato 20 anni dopo giocatori che avevo allenato da molto giovani e abbiamo fatto una cavalcata straordinaria, vincendo i playoff tutti al tie break e tornando in serie A. C’era una magia, in quel gruppo, ma vista in tutta la mia carriera».

E cosa ricorda del Mondiale del 2002?
«Ogni tanto i ricordi ritornano a galla, ma il sogno ricorrente è la vittoria in semifinale contro la Cina. Ricordo perfettamente l’ultimo punto, di Manuela Leggeri: continuo a sognarlo».

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