Di cosa parliamo davvero quando parliamo di welfare aziendale

Dallo studio di consulenza Luca Martini di Cervia, le ragioni per cui investire nel benessere dei lavoratori, a vantaggio di tutti

Studio Martini 1Nella precedente puntata del nostro viaggio nel mondo del lavoro, accompagnati dallo Studio di consulenza per il lavoro Luca Martini di Cervia, abbiamo capito che il welfare “è una risposta alle necessità dei lavoratori” e ascoltare i collaboratori è uno dei segreti per creare un buon ambiente di lavoro e avere successo come imprenditori. Anche perché il welfare non si misura solo in termini di costi, ma anche di benefici diretti e indiretti.

«Diciamo – ci spiega il titolare Luca Martini, vero e proprio pioniere in questo ambito – che esistono due macrocategorie di welfare». La prima ha a che fare con riconoscimenti che possono convenire economicamente sia all’azienda che al lavoratore, ma che hanno comunque un costo. Parliamo di buoni pasti, buoni spesa, buoni per abbattere le rette degli asili nido delle madri lavoratrici, convenzioni con strutture per l’erogazione di servizi sanitari, contributi per l’accudimento di genitori anziani. E in questa grande categoria ci possiamo mettere anche le misure previdenziali. La seconda, invece, a costo zero per le aziende ha a che fare con il bene forse più prezioso che oggi possediamo, per quanto immateriale sia: il tempo. Poter modificare l’ingresso di orario al lavoro per andare incontro alle proprie esigenze personali e familiari fa spesso la vera differenza.

Martini Orario«Chi studia gli indici di soddisfazione dei lavoratori in azienda – ci spiega Martini – ha rilevato come l’impatto di una modulazione dell’orario di lavoro sia molto maggiore rispetto ai benefit economici». Altri studi dimostrano che la rimodulazione dell’orario di lavoro in base alle esigenze del singolo lavoratore può portare a un aumento di produttività. «C’è stato il caso, emblematico – ci dice ancora il titolare dello studio – di un’azienda di pelletteria che si è sganciata dal controllo dell’orario di lavoro, abolendo il badge, e ha visto aumentare la produttività. Più in piccolo, posso raccontare che nella nostra azienda applichiamo un orario flessibile, ho lasciato scegliere alle mie collaboratrici quello più consono ai loro bisogni e, per esempio, ci siamo trovati a ridurre di molto la pausa pranzo senza che questo creasse alcun problema. Ognuna di loro arriva e se ne va in un orario diverso senza che per questo ci siano difficoltà con i clienti».

Ma non c’è il rischio che qualcuno se ne approfitti? «Molto dipende da quanto le persone sono coinvolte, dalla relazione tra persone e imprenditore, evidentemente è necessario un alto livello di coinvolgimento e responsabilizzazione. Ne parlo sempre con le mie aziende. Lo scorso anno, dopo lunghi mesi, un imprenditore che seguiamo ha deciso di riorganizzare l’orario in base anche ai picchi di lavoro e ha effettuato un risparmio di 10mila euro l’anno di straordinario, in un’impresa con sei o sette dipendenti».

Ma la domanda a questo punto sorge spontanea, se questi strumenti sono così efficaci e vantaggiosi, perché non sono più diffusi? «Perché l’attitudine al cambiamento non è poi così diffusa, ci sono ancora persone che sono spaventate dalle novità. Anche se, a ben vedere il welfare non è esattamente una novità: basta pensare che i Florio avevano gli asili aziendali nei loro cantieri per permettere alle donne di lavorare meglio!».

A differenza che ai tempi dei Florio, oggi ci sono gli strumenti contrattuali e legislativi per poter beneficiare tutti di queste opportunità e crescere insieme. Ed è esattamente ciò che andremo ad approfondire nella prossima puntata.

 

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