Cgil: «La forza lavoro si è ridotta anche per il calo demografico»

Le riflessioni della segretaria provinciale Melandri sul periodo di cambiamenti: «Da prima della pandemia si sono persi tremila posti e si è allargata la forbice tra uomini maturi e donne giovani»

Lavoro Desk Impiego

Diventata segretaria provinciale della Cgil a fine 2020, Marinella Melandri sta guidando il sindacato che in provincia conta più iscritti in questi anni di profondi stravolgimenti del cosiddetto mercato del lavoro e più in generale del mondo del lavoro.

Dal vostro osservatorio, quali mutamenti vedete in atto? Passata la pandemia tanti settori lamentano la mancanza di forza lavoro.
«C’è un cambiamento nell’offerta e nella domanda che somma le conseguenze di processi già in corso da prima, tra cui c’è il riposizionamento del settore industriale, nei due anni di pandemia la produzione è cambiata, ma ci sono anche cambiamenti demografici, da anni viviamo una denatalità importante e il calo di flussi migratori, e quando diminuisce la popolazione ovviamente cala anche la forza lavoro. Se consideriamo che il ‘20 e il ‘21 sono stati due anni fuori scala, adesso sta precipitando tutto insieme».

Oltre all’offerta, diceva, è cambiata anche la domanda di lavoro. Come? A sentire alcuni imprenditori soprattutto del settore turistico sembra quasi che tanti, soprattutto giovani, non abbiano più voglia di lavorare…
«Ovviamente non è così. Quello a cui assistiamo è che la precarizzazione della situazione economica ha fatto saltare le volontà di programmazione in termini di qualificazione. Noi diciamo da tempo che, per esempio nel settore del turismo, bisogna puntare su un modello più qualificato che porti anche a una crescita professionale e una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro. Ma questo non sta avvenendo anche per un approccio del sistema di impresa che non va in quella direzione. Insieme a questo, abbiamo anche spostamenti importanti all’interno dei vari settori produttivi. Penso per esempio a come il boom dell’edilizia, anche sull’onda del bonus del 110 percento, abbia assorbito tante persone che prima lavoravano magari in agricoltura e nel turismo perché offre margini un po’ più alti e prospettive un po’ più a lungo termine. Ma anche questo non è un lavoro che si improvvisa, e infatti lo vediamo dall’aumento degli incidenti nei cantieri».

Tra le associazioni di categoria c’è chi lamenta anche la riforma della disoccupazione per gli sta- gionali, che disincentiva i lavoratori a scegliere questa strada.
«Diciamo che il sistema della Naspi così come è ha creato un meccanismo perverso che consente di avere un sostegno economico direttamente proporzionale solo alla durata del contratto e non alla quanità del lavoro svolto. E questo disincentiva i contratti in regola. Ci sono infatti tantissimi rapporti di lavoro part-time quando sappiamo che i lavoratori non solo fanno un full-time, ma spesso anche molte ore in più. E abbiamo contratti brevissimi, perché spesso i lavoratori cambiano posto di lavoro durante la stagione, se vengono loro offerte condizioni migliori. E anche questo non incentiva la qualità».

Marinella Melandri Segretaria Cgil

Marinella Melandri, segretaria della Cgil provinciale di Ravenna

Tra chi di recente ha lamentato difficoltà a reperire manodopera in vari settori c’è anche il mondo della cooperazione che nel nostro territorio è sicuramene un datore di lavoro importante. Migliore o peggiore di quello delle altre imprese?
«Quello che vediamo ormai da tempo è che le cooperative seguono le stesse dinamiche di lavoro delle altre imprese con cui devono competere e quindi hanno ridotto i margini di mutualità. I processi e gli accorpamenti a cui abbiamo assistito di recente fanno sì che si stia perdendo il rapporto quasi familiare delle vecchie cooperative e si sta anche perdendo la funzione di controllo che i soci lavoratori dovrebbero poter esercitare. Diciamo che sono datori di lavoro come tutti gli altri».

Il reddito di cittadinanza è un problema? Tiene davvero le persone sul divano secondo lei?
«Nella nostra provincia è un numero tale da non modificare il mercato del lavoro (vedi su queste pagine…). Si tratta di uno strumento largamente imperfetto ma che è stato fondamentale soprattuto per i nuclei socialmente più fragili, inoccupabili, già in carico ai servizi sociali».

Quindi in provincia di Ravenna non ci sono più disoccupati?
«Le dinamiche del 2022 sono ancora da capire ovviamente, ma diciamo che nel 2020 abbiamo perso circa 9mila posti di lavoro e nel 2021 se ne sono recuperati circa 6mila. Di questi 3mila che restano, 500 erano occupati da uomini e gli altri 2500 da donne. Si sono quin- di rioccupati uomini e uomini maturi rispetto a giovani donne, riaprendo una forbice che negli anni precedenti la pandemia si stava riducendo. Inoltre il lavoro è sempre più volatile e precario, quindi si fa davvero fatica a parlare di piena occupazione».

Gli iscritti alla Cgil sono cresciuti o calati in questi due anni?
«Avendo perso posti di lavoro a tempo indeterminato, penso per esempio al settore dell’oil&gas, abbiamo perso una parte di quegli iscritti che ci davano la delega, diciamo secondo la modalità tradizionale. Il numero degli iscritti resta nel complesso sopra gli 80mila, ma è comunque per noi importante aprire una riflessione e inventare nuovi modi per intercettare le persone con contratti brevi e precari. Ci tengo anche però a dire che soprattutto nei primi mesi del 2020 i nostri uffici e patronati, sebbene chiusi ovviamente al pubblico, hanno svolto un’enorme mole di lavoro offrendo assistenza a migliaia di persone quando molti servizi in particolare dello Stato erano irraggiungibili, penso per esempio all’Inps».

Questo cambiamento nel mondo del lavoro potrebbe essere foriero di una nuova stagione di diritti per i lavoratori?
«Non mi sento di essere così ottimista, la guerra in Ucraina ci sta di nuovo mettendo di fronte a un’emergenza che rischia di cambiare ancora una volta il quadro in modo drammatico per le conseguenze sui costi delle materie prima e naturalmente dell’energia. Ci sono imprese in attesa di capire cosa fare, se proseguire o meno con investimenti pianificati appena sei mesi fa. A questo si aggiunge il problema enorme dell’inflazione e della tenuta del potere di acquisto dei salari per cui è assolutamente necessario un intervento dello Stato per il taglio del cuneo fiscale almeno per quelli più bassi».

Un’ultima domanda su una questione tutta ravennate che coinvolge il Comune di Ravenna e i servizi per l’infanzia in particolare l’esternalizzazione della materna Mani Fiorite, che vi vede contrari. E che fa pensare ovviamente a un risparmio grazie a posti di lavoro meno tutelati e meno stabili rispetto a quelli pubblici, il settore di cui peraltro lei si è occupata per anni. Siamo di fronte a una nuova stagione di esternalizzazioni?
«Il Comune di Ravenna non ha mai attuato processi di internalizzazione significativi, al massimo ha acquisito società in house. Abbiamo alcuni appalti storicizzati di cui stanno uscendo i bandi e su cui avremmo molto da dire e soprattutto, come diceva, non ci convince l’idea di una gestione eseternalizzata di un polo scolastico. Le dichiarazioni del sindaco non fanno pensare a una volontà politica di intraprendere la via delle esternalizzazione in modo diffuso, ma al momento siamo solo alle sue parole. Nei fatti questo sta avvenendo al Mani Fiorite e chiediamo un confronto per affrontare il tema in prospettiva, tenendo conto delle possibili statalizzazioni e anche della denatalità che potrebbe portare a breve alla necessità di ridurre le classi delle materne. Vorremmo una programmazione di lungo corso e non azioni estemporanee come questa».

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