Dai Metallica a Coltrane, un viaggio alla riscoperta di un oggetto: il disco – di Bruno Dorella

di Bruno Dorella *

Ah, il disco. Un oggetto che ha meno di un secolo. Che poi è niente, se paragonato al suo contenuto, la musica, probabilmente la più antica forma di comunicazione, sicuramente la più antica forma d’arte concepita dall’essere umano. Eppure appena è comparsa la musica incisa ha cambiato subito le cose: le nostre abitudini, il nostro arredamento, e la musica stessa, che si è dovuta adattare prima al formato del vinile, poi della cassetta, poi del cd. E il disco è diventato un oggetto di cuIto. Tant’è che persino oggi, nell’epoca del tramonto del supporto, sbaragliato dal file, ancora compiliamo elenchi di dischi. Non di canzoni, non di partiture, non di concerti. In questo mio viaggio quindi prediligerò proprio la musica pensata per il disco, l’album, piuttosto che quella pensata per l’esecuzione dal vivo o semplicemente per essere scritta. In parole povere, mi limiterò alla musica del XX e XXI secolo. E non è poco pensare di fare a meno del sommo Bach, e dei vari Beethoven, Mozart e compagnia scrivente. Loro il disco manco potevano immaginarselo. E sebbene lo conoscano benissimo gli esecutori che ripropongono quelle composizioni su cd – e che di conseguenza incidono pensando alla durata del supporto e a una scaletta accattivante – resta il fatto che quella musica sia nata infischiandosene alla grande di queste cose. E in questo modo io mi facilito la vita, eliminando un millennio di storia e concentrandomi solo sull’epoca in cui sono stato al mondo, con la fortuna di aver vissuto in diretta l’uscita, il successo, e in qualche caso il fallimento, di molti dei dischi che citerò.
Partiamo dal primo cd che ho comprato, visto che il primo viniIe era un disco per bambini. Stand Up dei Jethro Tull, che potremmo anche escudere dall’elenco, se non contenesse la più bella cover di sempre, Bourèe, ripresa, ed ecco che lo rinominiamo, dal sempre sommo Bach. Il formato cd era appena nato, e gli scaffali avevano dunque pochi titoli. Circostanza assai fortunata, perché erano tutti fondamentali.
Nessuno stupore dunque se anche il secondo ed il terzo cd che ho comprato siano capolavori epocaIi. The Queen Is Dead degli Smiths e The CIash, della band omonima.
I Clash mi danno l’appigIio per citare il genere che ha cambiato il mio approccio alla musica: il punk. Soprattutto nella sua variazione/evoluzione detta hardcore. Il primo, omonimo album dei Bad Brains, Just Look Around dei Sick of It All, e Los Primeros Gritos dei Los Crudos sono i miei capisaldi.
Dall’hardcore aI suo parente stretto heavy metal, ecco la mia trimurti: Master of Puppets dei Metallica, Live After Death degli Iron Maiden, Reign In Blood degli Slayer. E per chiudere la panoramica sulla musica pesante, il gruppo che unisce punk, hardcore e metal e li rifonda tutti: i Neurosis con Souls at Zero.
Ma saranno poi davvero le chitarre distorte ad etichettare come pesante uno stile di musica? Non saranno ben definibili come pesanti (che, intendiamoci, per me è una categoria di merito) i PanSonic di A o gli Autechre di EP7? Per rimanere sulla musica elettronica da ascolto citerei Come To Daddy di Aphex Twin, Bricolage di Amon Tobin, e sul versante puramente techno almeno Revolution For Change di Underground Resistance, alla faccia di chi pensa che techno sia sinonimo solo di (s)ballo. Tra i pionieri della musica elettronica citerò solo Trilogie De La Mort di Eliane Radigue, e basti questo macigno per tutti. Qui si entra in accademia signori, ed è giusto ricordare almeno alcuni dei compositori del ‘900 che avevano ben chiara l’idea che la loro musica sarebbe finita sui dischi. Luciano Berio, Pierre Boulez, George Gershwin, Gyorgy Ligeti, Philip Glass, Charles Ives, Olivier Messiaen, Karlheinz Stockhausen, Igor Stravinskij, Edgard Varése, solo per citare alcuni dei più grandi. Duke Ellington è stato il ponte tra l’accademia classica ed il jazz, ma per gran parte della sua carriera il concetto di album è stato un po’ vago. Quindi dovessi citare i miei tre dischi jazz direi Intuition di Lennie Tristano, The Black Saint And The Sinner Lady di Charles Mingus e Jazz Advance di Cecil Taylor, concedendomi altri tre posti per il mio sottogenere preferito del jazz, ovvero il free, per cui ecco Free Jazz di Ornette Coleman, Space Is The Place di Sun Ra e A Love Supreme di John Coltrane.
Passando dalla musica afroamericana a quella africana, il mio pallino degli ultimi due anni è Nomad di Bombino, saltando in America Latina molti si stupiranno nel sapere che una mia pietra miliare è La Nueva Canciòn Chilena degli Inti Illimani, mentre il mio primo, potentissimo impatto con la musica asiatica è stato Voices From The Distant Steppe degli Shu-De, dalla piccola repubblica di Tuva.
E l’Italia? Un intero mondo di canzoni che hanno segnato la mia infanzia, soprattutto. E proprio per questo mi limiterò a segnalare tre canzoni. “Sora Rosa” di Antonello Venditti, “Milano e Vincenzo” di Alberto Fortis e “Un’Altra Vita” di Franco Battiato. Andatevele a risentire, prima di storcere il naso.
Sulla musica di genere si potrebbe non finire più, tralascio in questa sede il rap, il funk, il blues, il garage rock’n’roll x-a-billy e tante altre sottoculture che pur amo, in nome della spietata selezione che sottosta agli altrettanto spietati problemi di spazio. Concedetemi solo un breve excursus tra le colonne sonore, genere da me prediletto, per il quale cito almeno Neil Young per Dead Man, Angelo Badalamenti per Twin Peaks e naturalmente Ennio Morricone, per uno qualsiasi dei film di Sergio Leone che hanno scolpito nella roccia lo spaghetti western.
Non si possono racchiudere in un genere Tom Waits (irrazionalmente, il suo disco che amo di più è The Black Rider), la PJ Harvey di Rid Of Me, i Portishead di Dummy, il Tricky malato di Nearly God.
Mi tocca farla finita, per non tediarvi ulteriormente, ed il mio ultimo pensiero va alle centinaia di dischi che ho dimenticato. Noi freaks del disco siamo così. Logorroici perché appassionati. Beata la generazione degli mp3, che forse ascolterà meglio la musica perché non si affezionerà ad un oggetto. Forse.

* Milanese classe 1973, ma ormai ravennate d’adozione, Bruno Dorella è senza dubbio una delle figure chiave della scena  musicale underground italiana, vissuta anche da discografico fondando l’etichetta Bar La Muerte, ma soprattutto come musicista dapprima di una punk band divenuta di culto come i Wolfango, poi con tre progetti che sta portando avanti tuttora: come batterista nel duo noise-metal OvO e di quello rock-blues dei Bachi da Pietra; come chitarrista e autore con i Ronin

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