Tra classe e leggerezza, il debutto di Giacomo Scudellari

Giacomo ScudellariUn disco leggero, divertente, vagamente demodé, quello di Giacomo Scudellari, cantautore ravennate che ha debuttato sulla lunga distanza lo scorso 16 marzo con questo Lo stretto necessario. Una raccolta di nove canzoni, per quasi quaranta minuti di musica garbati, senza particolari sussulti, ma con una caratteristica non tanto comune tra i cantautori d’oggi italiani – oltre a una felice scrittura e a testi “alcolici” quanto basta – ossia una serie di arrangiamenti di classe e curati al dettaglio. L’accompagnamento musicale, in particolare, si distingue per la collaborazione di una vera e propria piccola orchestra che fa (fortunatamente) andare il disco oltre il mero amarcord (il riferimento resta il classico stile cantautorale italiano e in alcuni passaggi sembra quasi un vero e proprio omaggio a De André). Il merito è soprattutto di Francesco Giampaoli (Sacri Cuori, Classica Orchestra Afrobeat) che produce e pubblica il disco per la sua Brutture Moderne portando attorno a Scudellari musicisti di esperienza e pure prestigio (addirittura Stefano Pilia di Afterhours e Massimo Volume) che sono ormai diventato marchio di qualità di un certo modo di fare musica in maniera artigianale, qui in Romagna e dintorni. Dalle chitarre (acustiche) di Marco Bovi alle percussioni di Diego Sapignoli, dalle tastiere di Nicola Peruch ai suoni “esotici” di Christian Ravaglioli (di cui parlavamo il mese scorso…) fino, in particolare, ai fiati frizzanti di Enrico Farnedi (il cui modo naif di scrivere canzoni ha qualcosa in comune con quello di Scudellari). Passando dal country al calypso, Lo stretto necessario resta fondamentalmente un semplice album di canzoni lontane dallo stile depresso spesso tanto di moda invece tra i cantautori della nuova generazione. Un piccolo disco che avrà bisogno di conferme forse più coraggiose in futuro ma che certifica talento e buon gusto di un nuovo artista romagnolo da tenere d’occhio.

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