L’impeccabile primo romanzo di Ramunno

Il Bambino Che Disegnava Le OmbreL’attacco de Il bambino che disegnava le ombre, impeccabile primo romanzo di Oriana Ramunno, fa tornare in mente l’insuperabile invenzione de Le intermittenze della morte di Saramago.
Là diventava possibile che la morte decidesse di non lavorare più in un unico, piccolo e sconosciuto paese europeo; qui, nel dicembre 1943, ci si trova di fronte a un criminologo che deve risolvere un delitto commesso dietro al filo spinato di Auschwitz.
Un solo delitto nell’inferno dove sono stati sterminati un milione e mezzo di ebrei? Proprio così e, dopo due paragrafi, non si hanno dubbi: se la morte può far consegnare bigliettini in buste viola (Saramago), Hugo Fischer può risolvere il caso e rasserenare il capo della polizia nazista; anche grazie all’aiuto di un bambino ancora, miracolosamente, innocente.
Perché Gioele sa appunto “disegnare le ombre” grazie alla propria dote di ricordare ogni particolare di quello che vede.
Così, camminando in mezzo la neve che copre tutto ma non cancella l’orrore, Fischer deve scoprire chi abbia ucciso il medico Sigismund Braun, pediatra che collabora con il mostro del campo di concentramento, Joseph Mengele, negli atroci esperimenti sui gemelli e i bambini.
Senza troppi giri di parole: Il bambino che disegnava le ombre (Rizzoli) è uno fra i migliori romanzi letti nell’ultimo anno. Intanto perché la struttura narrativa è solida, senza sbavature e originale. Poi per il lavoro di documentazione e ricerca che ha preceduto la scrittura, che esce da ogni descrizione, mai appesantita da pedanteria ed esibizioni da saccente.
In un quadro storico senza errori né imperfezioni, i personaggi, davvero tanti, sono vivi, passionali o freddi, sempre credibili in modo assoluto.
La sofferenza, non solo fisica, di Hugo Fischer ad esempio è palpabile: non ha reagito alla violenza delle Camice brune per codardia e non può perdonarselo; e, ora che “sembra” un ariano perfetto (alto, biondi, occhi grigi), deve nascondere la propria malattia che combatte con la morfina. Proprio nel luogo dove i non ariani vengono straziati senza alcuna pietà.
E si soffre con lui, leggendo. Dimenticando come, alla fin fine, stia sempre lavorando per il Reich.
Viene in mente Richard Oppenheimer, protagonista del thriller storico Berlino 1944 di Harald Gilbers; ma quel commissario della polizia criminale è ebreo (eppure è chiamato dalla Ss a risolvere delitti nel cuore nero del Reich).
A chiudere il cerchio c’è la scrittura di Oriana Ramunno, cruda e senza eufemismi, brillante e accurata; capace anche di lampi di poesia. Come in alcune pieghe del finale e nell’epilogo, da scoprire con pazienza.
Bellissimo.

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