Tre storie di oggi per riflettere su verità e finzione nell’epoca del web

O'Hagan Vita SegretaTutti noi che stiamo, poco o tanto non importa, su un qualche social, tutti noi che viviamo in questo mondo interconnesso e sempre on line, tutti noi che pronunciamo o ascoltiamo la parola “identità” quando ci occupiamo di politica, psicologia, sociologia, ecco, tutti noi dovremmo leggere La vita segreta, tre storie vere dell’era digitale di Andrew O’Hagan, pubblicato in Italia da Adelphi con la traduzione di Alessandro D’Onofrio.

L’autore scozzese compie un’operazione narrativa e letteraria di grande fascino e potenza, raccontando in prima persona tre vicende in qualche modo interconnesse tra loro e tutte connesse al mondo del web.
La prima e la terza hanno molto in comune. Un po’ perché sono in parte un fallimento, un’operazione imperfetta, un po’ perché vedono O’Hagan nella medesima posizione di reporter o ghost writer o scrittore o testimone, qualcuno che comunque deve raccogliere informazioni per scrivere un libro. Nel primo caso si tratta di Julian Assange, nel periodo precedente il suo ingresso nell’ambasciata dell’Ecuador, mentre viveva nella campagna inglese; nel secondo caso (se possibile ancora più misterioso e intrigante) è invece alle prese con Craig Wright, l’autraliano che si è autoproclamato Satoshi Nakamoto, ossia l’inventore dei bitcoin. Julian Assange non riuscirà a portare a termine il progetto dell’autobiografia autorizzata, Wright, come noto, abbandonerà l’impresa di “provare” di essere proprio Nakamoto.

E in entrambi i casi quello di O’Hagan diventa un racconto di personaggi fuori dall’ordinario, di menti superiori e allo stesso tempo prigioniere di paranoie e timori. Questi giganti, visti da vicino, finiscono per l’apparire umani e fragili nella loro solitudine, entrambi accompagnati da donne che li accudiscono e che restano sempre sullo sfondo. Per capirli non basta guardare ciò che hanno fatto, soprattutto per capire chi sono davvero serve qualcuno che abbia penetrato la loro intimità, come un incaricato “biografo” può fare.

Ma il capolavoro assoluto e forse la parte che più di ogni altra vale la pena essere letta e forse riletta è quella centrale (sempre vera) del libro. Qui O’Hagan è protagonista assoluto nel costruire dal niente un’identità. Prende il nome di un morto, come facevano i poliziotti sotto copertura, e a partire da quel certificato di nascita dà vita a un profilo sui social che ben presto diventerà un soggetto in grado di interagire autonomamente nel mondo senza che nessuno possa collegarlo a lui. Riuscirà a procurarsi documenti falsi, droga e armi consegnate a un domicilio inesistente. E in nessun modo può essere collegato a O’Hagan.
A proposito, si diceva, di rapporto tra vero e falso, palese e segreto, reale e immaginario. Una riflessione obbligata e allo stesso appassionante sui nostri tempi. E anche sulla scrittura.

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