Fornitori di concerti inaspettati

Se devo scegliere la cosa più bella della musica, una sola cosa che racchiuda tutto quello che di bello c’è nell’aver dedicato la vita a questa cosa della musica, scelgo il concerto inaspettato.

Il concerto inaspettato è un concerto che per qualche motivo ti trovi a vedere, senza esserti preparato emotivamente o aver fatto piani logistici per vederlo, e riesce a spazzarti via solo con la forza della musica. Stop me if you think you’ve heard this one before: è giovedì sera, al cinema non c’è niente d’interessante, non avete voglia di attaccarvi a Netflix e magari un gruppo suona a cinque chilometri da casa vostra. È un gruppo che può interessarvi, o no, o può essere un gruppo che non avete mai sentito e che suona un genere di cui non sapete assolutamente nulla. Ma quella sera sono a cinque chilometri da casa vostra, e non c’è nient’altro da fare e magari il biglietto costa poco, e così andate a farvi serata in quel posto – un baretto, uno squat, una sala, quel che volete voi. Magari ci sono le seggioline in mezzo al locale, ordinate una birra, vi mettete a cazzeggiare col cellulare. Sul palco inizia il concerto e voi sentite che forse avete fatto un errore, che non avete davvero voglia di star lì a sentire della musica, che domani alle nove dovete consegnare i piani logistici al vostro capo ufficio, o quel che è. Tre minuti dopo state guardando inebetiti verso il palco, totalmente increduli nei confronti di quel che sta succedendo nella vostra testa. Un concerto inaspettato, appunto: qualcuno inizia a suonare e tutti i pezzi s’incastrano nel posto giusto al momento giusto. Un’epifania di un’ora scarsa. Poi l’artista o il gruppo o quel che è scende dal palco ed è ora di andare a casa.

A me è capitato un po’ di volte, non tantissime, nemmeno pochissime. Mi è capitato. Il concerto inaspettato arriva ad intervalli regolari, se possibile in momenti nei quali stai perdendo un po’ la fede nella musica. La differenza tra credere in dio e credere nella musica è che nella musica non c’è davvero nessun mistero, anzi la musica per quanto possibile si manifesta, a intervalli regolari. A volte prende le forme di uno sgraziato flautista ungherese, capitato nella tua città grazie al verificarsi di una serie di circostanze che a raccontarle si direbbero impossibili. Trovare concerti davvero inaspettati nella brutale liturgia del pop può essere faticoso, perché lì c’è tutta una liturgia da rispettare – i biglietti in prevendita e il disco da promuovere e l’artista di lungo corso deve suonare tutte le hit e non c’è più posto in scaletta per dei brani di scarso successo che avrebbe, in linea di principio, voglia di suonare. È tutto un campionato diverso. Se lo chiedete a me, è meglio cercare tra un evento e l’altro, magari andare apposta a sentire solo gente di cui non avete mai sentito nominare. Verrete delusi, o premiati, di volta in volta.

Certo, poi ci sono cose come Transmissions. Nominalmente è un festival di musica d’avanguardia che si svolge a Ravenna, in autunno, tutti gli anni. Di fatto è un fornitore di concerti inaspettati. Un luogo nel quale vengono convogliate esperienze di diversa estrazione e calibro, di solito legate a una persona che si occupa della cura artistica; esperienze a cui viene fornito un ecosistema in cui si possano sentire a casa e libere di esprimersi. Essendo un festival arrivato alla quattordicesima edizione, credo sia un po’ normale darlo per scontato: una delle tante cose che succedono a Ravenna, come la festa del vino o i capanni in Piazza del Popolo a Natale. E d’altra parte è impossibile per me camminare per via IV Novembre senza pensare a quella volta che l’abbiam percorsa in parata, dietro l’orchestra di King Naat, con la gente che si univa man mano a sentire cosa fosse quella roba lì. Ho sentito più concerti inaspettati a Transmissions che in qualunque altra rassegna a cui abbia partecipato, per quanto bizzarre e ricercate possano essere state. È la ragione per cui tutti gli anni continuo a tornarci con entusiasmo rinnovato, e non torno mai a casa con la sensazione di averci perso del tempo. Credo che sia anche la ragione per cui Bronson continua a organizzarlo, con lo spirito che lo animava nei primi anni, e forse con ancora maggior entusiasmo rispetto ad allora. Basta guardare alla scaletta di quest’anno (a questo link), messa insieme grazie alla cura di Marta Salogni: vecchie conoscenze, nuove conoscenze, gente sconosciuta, jam band dal pedigree stellare e quella curiosità che si può generare solo intorno alla fiducia di artisti e pubblico intorno allo stesso bisogno – il bisogno di essere ancora sorpresi da qualcosa di banale come può essere un concerto, ovviamente. E quindi, per estensione, di essere ancora sorpresi dalla musica.

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