Accoglienza: cosa cambia il Decreto Sicurezza. I nuovi permessi e i rischi connessi

Paolo Fasano, responsabile dell’Ufficio Immigrazione per il Comune di Ravenna, illustra i contenuti e le possibili conseguenze delle nuove misure in tema di immigrazione

Naufragi Storie Meticcedi Matteo Cavezzali

Se chi arriva in Italia non si integra col tessuto socio-economico locale rischia di ritrovarsi per strada e diventare un problema per la società. Per risolvere questa incognita è nato il “Sistema per l’accoglienza dei richiedenti asilo e dei rifugiati”, abbreviato nella sigla Sprar.
Dagli Sprar di Ravenna, dal 2001, sono state accolte oltre 500 persone. Lo Sprar era quella struttura che si occupava dell’inserimento degli stranieri nella società attraverso corsi di lingua italiana, corsi di formazione al lavoro e tirocini.
Oggi questo servizio è stato cancellato dal Decreto Salvini e sarà sostituito con un servizio limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Al momento a Ravenna ci sono 39 persone seguite dagli Sprar, 286 sono invece quelli seguiti dal Cas.

Il centro per minori di Ravenna verrà chiuso, i sette minori seguiti saranno quindi trasferiti a quello di Budrio, interrompendo i percorsi di integrazione iniziati in città e lasceranno le scuole e i loro riferimenti sul territorio.
In tutta Italia i richiedenti protezione internazionale in accoglienza sono circa 150mila. Il sistema Sprar sarà sostituito da un altro modello a cui potranno accedere solo coloro che hanno visto accogliere la loro domanda di protezione internazionale, non potranno più invece prendervi parte coloro che sono ancora richiedenti.

Il Decreto Sicurezza riduce la possibilità di ottenere permessi di soggiorno e il primo esito sarà quindi quello di far aumentare il numero di stranieri irregolari. Persone che prima potevano intraprendere percorsi legali di lavoro, ora diventeranno invisibili e alla mercè del lavoro nero.  Il decreto riduce i fondi per i programmi di integrazione e mette 3,5 milioni di euro per i rimpatri. Saranno quindi pagati dallo stato italiano 875 rimpatri forzati in tre anni per un costo tra i 4 e 10 mila euro a rimpatrio.

«Tra le numerose modifiche introdotte dal decreto 113/2018, convertito in legge il 28/11/2018, merita attenzione la cancellazione della norma che impediva la revoca o il rifiuto del permesso di soggiorno in presenza di “seri motivi di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o convenzioni internazionali”. Tale principio costituiva una clausola di salvaguardia del nostro ordinamento, in quanto consentiva di tutelare tutte quelle fattispecie non espressamente disciplinate dal legislatore, ma che rispondono a principi fondamentali protetti dalla Costituzione» spiega Paolo Fasano, responsabile dell’Ufficio politiche per l’immigrazione del Comune di Ravenna.
«Tale formula in questi anni è stata utilizzata per situazioni molto diversificate, soprattutto per richiedenti asilo che non ottenevano il riconoscimento della protezione internazionale, ma presentavano vulnerabilità sanitarie, sociali e anche economiche, meritevoli di una qualche tutela attuata attraverso il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. La diffusione ampia di questo permesso ha prodotto però un dibattito molto articolato che ha coinvolto istituzioni europee, Unhcr, Commissione nazionale Asilo, operatori del settore, in quanto considerata un’ ”anomalia” italiana, almeno nell’ambito della procedura di riconoscimento della protezione internazionale».
«Per questo la soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e l’istituzione di 5 nuovi permessi – “protezione speciale”, “casi speciali”, “cure mediche, “calamità naturale”, “atti di particolare valore civile” – rappresentano l’epilogo di un percorso maturato soprattutto in seno alla Commissione nazionale Asilo. Il testo approvato esclude l’istituto della conversione in altro permesso di soggiorno per tre nuovi permessi: protezione speciale, calamità naturale e cure mediche. In questo modo non si consente la valorizzazione e la stabilizzazione giuridica dei percorsi di integrazione, a danno delle persone coinvolte e dell’intera comunità.
Cosa succederà a quelle persone che si saranno rifatte una vita in Italia, dopo tanto tribolare, con una famiglia, un lavoro, una casa, ma per le quali saranno venute meno le condizioni molto particolari che hanno determinato il rilascio del permesso per protezione speciale? Dovranno lasciare tutto e tornare nel proprio paese di origine? Inoltre la previsione di rilasciare il permesso denominato “casi speciali” solo alle vittime di violenza domestica, tratta, sfruttamento sessuale e/o lavorativo contiene un elevato rischio di identificazione delle persone e di stigmatizzazione sociale.
Infine, le disposizioni transitorie prevedono che chi ha attualmente il permesso di soggiorno per motivi umanitari debba convertirlo prima della scadenza, per non entrare in un limbo molto rischioso per la propria posizione giuridica. È però molto difficile disporre dei documenti necessari per la conversione in tempi brevi, come ad esempio del passaporto, rilasciato dall’autorità consolare del paese di origine, oltre al contratto di lavoro, alla documentazione di disponibilità di un alloggio e a quant’altro possa essere richiesto dalle Questure territorialmente competenti.
Pertanto vi è il timore diffuso di una (ri)caduta nell’irregolarità amministrativa per migliaia di cittadini migranti, in conseguenza della nuova disciplina e delle prassi amministrative. L’Istituto per gli studi di politica internazionale stima in oltre 100mila le persone che diventeranno irregolari nei prossimi 2 anni, con un impatto rilevante sui territori e per le amministrazioni locali. Per non paralre dei Centri di identificazione ed espulsione (Cie) che hanno una capienza complessiva di poco più di 350 posti sull’intero territorio nazionale, con procedure alquanto farraginose ed inefficienti».

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