Quel Venezuela in una traversa di via Rubicone. La storia di Martha Meireles

Martha Meireles Venezuela
di Matteo Cavezzali

«Il solo vero viaggio non sarebbe quello di andare verso nuovi paesaggi, ma di avere occhi diversi, di vedere l’universo con gli occhi di un altro, di cento altri, di vedere i cento universi che ciascuno di essi vede, che ciascuno di essi è» scriveva Proust in Alla ricerca del tempo perduto, e così mi sono sentito quando sono arrivato “in Venezuela” curvando in una traversa di via Rubicone ed entrando in un – solo apparentemente – anonimo condominio.

Entrare a casa di Martha Meireles è come atterrare a Caracas. Fin dalle scale si sente la musica latino-americana il cui volume aumenta scalino dopo scalino. In casa il volume è quello che c’è in pista al Matilda.
All’ingresso è appesa la bandiera del Venezuela, tipo dogana dell’aeroporto, dentro ogni oggetto è rigorosamente d’importazione. Le prime frasi di benvenuto che mi rivolge Martha non riesco a sentirle, allora abbassa leggermente la musica.
«Scusa ma sto dando l’aspirapolvere e se abbasso non sento». Sentire la musica è per Martha una specie di obbligo, di precetto religioso, una sorta di droga a cui è totalmente assuefatta, è lei stessa a confessarmelo. «Quando è morto Juan Vicente Torrealba ho pianto» dice mostrandomi il cd di Sol Llanero, uno dei suoi grandi successi.
«Questo è il rum che mi ha portato mia sorella» mi dice versandomi un bicchiere di Diplomatico. «Si trova anche qui, ma costa tantissimo. Ci vuoi il ghiaccio?». Sono le 11 di una mattina con 40 gradi all’ombra, tento invano di declinare l’offerta, mentre mi riempie il bicchiere fino all’orlo. «Anche in Venezuela fa caldo, ma ti assicuro che si può bere comunque».

Martha è arrivata in Italia nel 2002 poi ha conosciuto Paolo e insieme hanno avuto una figlia, Deborah. Alcuni anni fa hanno divorziato e ora Martha e Deborah vivono assieme. Martha lavora in un bar del centro, Deborah ha finito da poco le superiori e vuole andare a vivere a Milano per tentare la fortuna.
«Non sono molto contenta che Deborah se ne vada, è ancora piccola ma ha trovato un’amica che la ospiterebbe e un locale in cui lavorare da settembre e ha già preparato la valigia. Poi una volta là ha grandi progetti, ma non so… è un mondo duro, ma lei ha una grande energia, vorrei che rimanesse qui ma sono contenta se segue i suoi desideri».

Mi racconta della sua vita a Ravenna, della scuola della figlia, del lavoro. Il rum si beve anche col caldo, ma lei beve l’acqua, il Diplomatico è per gli ospiti.
Poi si lascia andare: «Il Venezuela è allo sbando. Non so perché in Italia se ne parli così poco. Un paese meraviglioso lasciato andare alla deriva. Il Venezuela è un paese ricchissimo, c’è più petrolio in Venezuela che in Arabia Saudita, eppure i distributori non hanno benzina per le auto dei venezuelani! C’è l’oro, c’è il coltan, usato per i cellulari. Un paese così ricco di risorse in cui la popolazione è ridotta alla fame. Come è possibile? Chi ci ha rubato la nostra ricchezza? Gli Stati Uniti? I russi? I politici corrotti? Tutti si sono arricchiti, tranne il popolo. Spero che tutta la mia famiglia venga a vivere in Italia. In Italia non c’è nessuna risorsa, non c’è oro, n’è petrolio, eppure si vive nella ricchezza. Se ti assumono è cosa comune che alla fine del mese ti venga dato lo stipendio, e se questo non succede le persone protestano, in Venezuela è normale che lavori e poi quando è il momento di pagare non riesci ad avere quello che ti spetta. Vedi in questa stanza ho portato tutte le cose che amo del Venezuela, tutto il resto l’ho lasciato là. Purtroppo non si può pensare di vivere in quel paese adesso. Ti giuro che se avessi potuto non sarei mai partita. Ho lasciato mia madre anziana, sapendo che non l’avrei più rivista. Non avevo scelta. I nordamericani rifiutano i venezuelani al confine, però quando c’è da prendere il petrolio o il coltan dal nostro terreno non fanno tanto gli schizzinosi. Quando i conquistadores arrivarono in America Latina si spinsero fino al Venezuela, in mezzo alla foresta amazzonica, per cercare l’oro e rubarlo. Sottrassero tutto l’oro che poterono ai nativi. Ma perché ancora dopo tanto tempo non abbiamo imparato a convivere con gli altri? Non è cambiato niente. Ci sono molte oscure leggende sulla avidità di questi uomini, e quello che erano capaci di fare per un grammo d’oro. Hanno depredato questa terra fin da subito. Ma io, sono discendente anche loro, sono figlia dei nativi, ma anche dei conquistatori. Tutto si è mescolato. Quindi in me c’è sia la preda che il predatore. Forse per questo sono finita in Europa, per tornare da dove tutta questa razzia ha avuto origine».

In quel momento entra Deborah, doveva essere qui fin dall’inizio, ma ha tardato. Saluta frettolosamente me e sua madre e subito si fionda ad alzare la musica: «Questa canzone è bellissima!». Il ritornello dice: “No tengo dinero, ni nada que dar. No tengo dinero, solo amor para amar”.
Le due ballano, come se io non fossi più lì. Ballano come due ragazzine, e tutta la malinconia se ne vola via. Finalmente ho capito perché Martha tiene sempre la musica alta.

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