Chloé e il suo sogno di sconfiggere i pregiudizi tra immigrati

«Tanti amici italiani si stupiscono quando racconto che tra persone di diversa provenienza c’è poca solidarietà e spesso vero e proprio razzismo. Abbiamo tutti in comune la paura per il diverso»

Chloe
di Matteo Cavezzali

«Quando sono arrivata a Ravenna, non conoscevo altri camerunensi che vivessero qui. Avevo la percezione di essere la sola. Gli altri africani frequentavano ognuno la propria comunità: i senegalesi stavano con i senegalesi, i nigeriani con i nigeriani, i tunisini con i tunisini, i marocchini con i marocchini, eccetera. Io fin da subito ho provato a fare amicizia con persone diverse».

Chloé Beyala è una donna molto sveglia, parla rapidamente mentre sistema la scrivania e risponde alle mail. Ha solo un filo di trucco attorno agli occhi, e indossa una camicia colorata. È arrivata in Italia dodici anni fa, in aereo, ricongiungendosi al marito che viva già qui, e portando con sé i due figli. Poi le cose con il compagno non sono andate bene, avevano vissuto lontano per troppi anni, lui era cambiato, lei era cambiata. Oggi lui non abita più in Italia, è rimasta lei con il figlio maggiore, mentre la piccola ha al momento seguito il padre. «L’anno scorso Samuel, mio figlio, si è laureato in ingegneria, abbiamo fatto una grande festa qui in casa, a cui abbiamo invitato tutti i vicini. È stato un momento di gioia, ma macchiato dal pensiero della mia piccola, che non è potuta restare con me, ma spero che finito questo anno scolastico riesca a tornare anche lei in Italia».

Ma, tutto questo è successo dopo, torniamo ai giorni in cui arrivò a Ravenna. «Quando incontrai altri camerunensi mi accorsi che vedevano la mia amicizia con immigrati di altre provenienze come se fosse sospetta, strana, mi chiedevano “cosa abbiamo noi che non va bene? Perché giri sempre con dei senegalesi?” Alcuni italiani pensano che il pregiudizio sia solo degli italiani verso gli stranieri, mentre le varie comunità non vanno affatto d’accordo tra loro. Gli amici italiani che ho rimangono molto stupiti quando racconto, per esempio, che i nigeriani provenienti da diverse zone della Nigeria si detestano tra loro. Gli yoruba e gli edo spesso non vanno d’accordo. Ma in realtà non è affatto strano, se pensiamo all’Italia, che ha molti meno abitanti della Nigeria, in cui non è raro trovare un pregiudizio verso persone che arrivano dal meridione, ad esempio. I Nigeriani dicono che i senegalesi sono arretrati, perché usano gli abiti tradizionali, mentre i senegalesi dicono ai nigeriani che sono “tamarri” perché si atteggiano da afro-americani. Ogni gruppo ha il suo modo di essere razzista verso chi è diverso e, purtroppo, c’è poca solidarietà anche tra gli stessi migranti».

Un tema difficile da trattare questo, che spesso si preferisce eludere, ma che invece è importante affrontare. «Ho sentito dire – continua Beyala – “anche gli italiani sono migrati per molto tempo in America, in Germania, in Belgio, in Svizzera per cercare lavoro, come mai non riescono a capire i problemi che vivono gli immigrati che arrivano qui da noi”. Beh, è molto semplice, ognuno vede solo sé stesso, abbiamo tutti paura l’uno dell’altro. Non solo, se parli con i tunisini che vivono a Ravenna da dieci o venti anni, ti diranno che “i nuovi” arrivati non sono come loro, ma sono peggio. Da una parte questi discorsi sono assurdi, dall’altra sono anche comprensibili, perché molto umani. Forse è questa la cosa che ci accomuna di più, ognuno di noi è spaventato e cerca conforto in chi è più simile a lui».

Si interrompe un attimo – «Una chiamata importante» – mi dice, risponde in francese, dice al suo interlocutore che lo richiamerà tra mezz’ora.
«Il mio obiettivo è quello di far superare i pregiudizi tra immigrati e far capire che non c’è una competizione. Mi piacerebbe diventare una personalità politica, e in qualche modo quello che faccio è già qualcosa di molto politico. Essendo “isolata” mi sono dovuta arrangiare senza appoggiarmi ai referenti delle comunità, che a volte sono persone interessate al proprio interesse, più che alla comunità che dovrebbero rappresentare, come avviene con i peggiori politici. Questo succede anche con alcuni marabù. I marabù sono figure religiose e politiche per i senegalesi, ma a volte diventano quasi dei guru e riescono a manipolare a loro vantaggio il fatto che molti immigrati siano spaesati, e cerchino un riferimento che li aiuti.
Se si riuscissero a creare forme comunitarie interculturali, senza leader, questo aiuterebbe l’integrazione. È una cosa che dipende da noi immigrati, e non può arrivare dall’esterno. Io ero sola, senza un guru da seguire e questo mi ha aiutato a trovare lavoro come segretaria nello studio di un avvocato italiano. Oggi ho amici italiani, e di molti paesi. Fa bene conoscere persone che vengono da nazioni lontane, perché possono insegnarti a vedere il mondo da una prospettiva diversa. Tutti dovrebbero provare ad avere almeno qualche amico che è nato in un luogo lontano da quello in cui è nato lui.
Vi assicuro che è una esperienza che aiuta ad aprire la mente. Ognuno può provare, e lo dico agli italiani, ma anche agli immigrati. Presentatevi a chi vi sembra più diverso da voi, e parlateci per un po’. Se troviamo il coraggio di superare la diffidenza degli altri, questo può renderci veramente una comunità, e non solo persone che vivono nella stessa città senza conoscersi».

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