Anna Calvi? C’è di meglio…

Due anni fa il suo disco d’esordio fece gridare al miracolo in molti e  la cantautrice inglese Anna Calvi divenne un piccolo caso mediatico, probabilmente più per la smania di trovare finalmente una degna erede di Pj Harvey, che per il valore intrinseco di quel disco, che era sì buono, ma non certo un capolavoro. C’era dunque molta attesa per il difficile-secondo-disco della Calvi, annunciato dopo un breve periodo di depressione e come più sofisticato del precedente. Un disco della maturità, volevano farci credere. La verità è che l’album ci conferma (in aggiunta anche alle piuttosto anonime performance live) che in realtà non siamo di fronte all’erede di Pj Harvey. Piuttosto possiamo dire di essere di fronte a un’artista ancora alla ricerca di una propria personalità e probabilmente senza quel talento che in tanti speravano. L’impressione è quella di un album vagamente “costruito” per raggiungere l’obiettivo di essere un po’ cupo ma non troppo, vagamente sofferto, addirittura un pizzico sperimentale ma pur sempre rock. Poco autentico, se rendo l’idea. Il classico passo più lungo della gamba. Non un disco orrendo, alcuni pezzi ci sono, ma la Calvi utilizza troppo la propria voce come effetto speciale e ci sono alcune ingenuità che stonano, dai riff di chitarra quasi vintage ai passaggi di batteria a volte davvero troppo scolastica. E meglio di Anna Calvi, dopo la comparsa di Pj Harvey, hanno fatto in tante, se vogliamo dare una rapida scorsa ad alcune importanti figure femminili che hanno calcato i palchi del mondo negli ultimi due decenni, senza scomodare i mostri sacri degli anni Sessanta e Settanta.
Piuttosto che Anna Calvi, per esempio, riascoltatevi la prima Cat Power, fino al culmine di You Are Free (poi potete smettere). Piuttosto che Anna Calvi, buttatevi su Shannon Wright. O la Beth Gibbons anche senza Portishead. Piuttosto, riascoltatevi Hope Sandoval (e magari date anche un occhio al nuovo Mazzy Star). Piuttosto fatevi dare una scossa dalla ferocia (in senso lato) di Carla Bozulich. Piuttosto, riprendete in mano l’ultimo di Fiona Apple. Piuttosto, continuiamo tutti insieme a maledire la prolungata assenza dalle scene di Joanna Newsom e della sua arpa (e qui sconfiniamo nel folk). Piuttosto (per restare in tema) scoprite il talento di Josephine Foster. O la Marissa Nadler di The Saga of Mayflower May. O il debutto di Elizabeth Anka Vajagic. O piuttosto fatevi addormentare dall’ultimo album ambient-folk di Julianna Barwick. O fatevi cullare da Agnes Obel. Da Mirah. E poi fatevi risvegliare dal pop di St. Vincent.

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