C’era una volta l’indietronica

Vedere il cantante di quello che per qualche anno in gioventù è stato pure “uno dei tuoi gruppi preferiti” cercare di addormentare il figlio piccolo facendo su e giù con il passeggino in un parcheggio, al buio, prima di un concerto, oltre che essere divertente, se si hanno dei figli piccoli diventa un episodio quasi confortante. Mi è capitato al bagno Hana-Bi, dove il cantante, che è Markus Acher dei Notwist, si è esibito questa estate con la moglie, Valerie Trebeljahr, che è poi la cantante dei Lali Puna. Un tuffo nel passato, nell’epoca, fine anni Novanta, in cui si parlava di indietronica (tra i più brutti termini coniati dai critici musicali) per definire l’elettronica che si fa, più o meno, canzone pop. Ecco, ora lo possiamo dire, se non c’eravate, o se stavate dormendo, non vi siete poi persi chissà cosa. Ma alcune chicche meritano di essere recuperate, soprattutto in un periodo nostalgico come questo di fine estate. A partire da Neon Golden degli stessi Notwist, album da inserire in una delle tante liste dei dischi da ricordare del primo decennio degli anni duemila, dove la poesia e la malinconia, il gusto melodico del gruppo, vanno a braccetto con piccole sperimentazioni elettroniche e ne vengono fuori alcuni pezzi da lacrime, come “One with the freaks”, che poi il nostro Paolo Sorrentino ha scelto per chiudere il suo L’amico di famiglia, o la struggente Consequence, anch’essa finita nella colonna sonora addirittura di più film. E poi, se potete, rispolverate i primi due dischi dei Lali Puna, appunto, con sempre Sorrentino che ha fatto scorrere i brividi lungo la schiena agli appassionati mettendoli invece questa volta in apertura de Le conseguenze dell’amore. Oltretutto la band ha parte del merito della svolta elettronica dei Radiohead, come ha dichiarato più volte Thom Yorke. Ci sono poi altri dischi, di gruppi minori, che meritano una citazione, come il debutto dei Ms. John Soda (che poi erano un misto dei due gruppi sopra, che tanto per precisione sono tutti tedeschi), quello degli americani Postal Service (baciato da un successo incredibile con tanto di riempipista-alternative, “Such Great Heights”), qualcosa dei belgi Styrofoam (ma senza esagerare). O va beh, se si vuole si può inserire nella lista anche lo splendido modernariato pop dei grandi Stereolab, ma si va fuori tema (in Italia ci hanno provato a seguire il filone pure gli Yuppie Flu, che non saprei dirvi che fine hanno fatto, purtroppo). Credo invece sia un errore catalogare come indietronica pure i Broadcast, come leggo su internet, ma almeno è un modo per ricordare anche loro, la tragica morte (per una polmonite) della cantante Trish Keenan e un disco capolavoro (d’avanguardia, quasi, quello con Focus Group). L’indietronica era roba molto più leggerina. Che non vuol dire brutta. Da cuori sensibili, direi.

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