Da Lugo, alla scoperta di un altro mondo…

Nel 2014, nell’era di internet, della globalizzazione, nell’era in cui basta un buon programma per fare un album intero anche solo nella propria cameretta, meravigliarsi della provenienza di un artista è, diciamolo pure, una cazzata. Me ne rendo conto.
Però, davvero, credo non ci sia nulla di più distante tra la musica di Godblesscomputers e Lugo. Godblesscomputers è il nome d’arte di Lorenzo Nadalin e Lugo è la città dove è cresciuto Lorenzo Nadalin, che per la cronaca è considerato giustamente forse la più grande promessa dell’elettronica italiana dalla critica nostrana. Lo hanno scritto un po’ tutti: ha passato le sue canzoni e lo ha pure invitato a farci due chiacchiere nella sua trasmissione un’icona come Alessio Bertallot, Wired Italia ha pubblicato addirittura un documentario su di lui, senza contare  recensioni e interviste di un paio di pagine pubblicate un po’ su tutte le riviste specializzate e anche no. Non sarò quindi certo originale però mi pare interessante comunicare a voi, che in teoria siete ravennati, che c’è un tizio lughese che fa musica come quella che si fa a Berlino (dove naturalmente ha vissuto qualche anno), o a Londra. E non sto parlando di post-punk, indie-rock o elettronica sperimentale, che ormai sanno fare tutti in qualsiasi livello del globo. Ma di qualcosa che davvero nasce in tutto un altro contesto. Per fare quello che fa Lorenzo ci vuole una sensibilità e un coraggio che in Italia (non a Ravenna) hanno in pochi. Questo è un suono che è nato soprattutto in Inghilterra proprio grazie alle contaminazioni: la musica black che incontra l’elettronica, l’hip-hop che si scioglie in atmosfere orientaleggianti, il tutto cotto e servito anche per i club. Cerco di spiegarvi  meglio, magari scrivendo anche inesattezze. Per esempio, sì, che siamo dalle parti della musica lounge, che non è proprio vero, ma l’effetto per chi lo ascolta per la prima volta e non è ferratissimo sull’argomento potrebbe pure essere quello. È un elettronica molto calda, per nulla ostica: ci sono voci soul campionate, suoni registrati in natura, ritmo. Un locale serio di Milano Marittima, per dire, in un mondo migliore dovrebbe suonare a palla Godblesscomputers per i suoi ospiti fighetti che vogliono bersi un drink ascoltando musica diversa dal rock degli sballati. Ok, così suona male, perché in effetti sarebbe bello lo ascoltassero anche i rockettari sballati, anche se qui non ci sono chitarre. Dovrebbe finire in almeno uno spot pubblicitario di una grossa casa automobilistica, ecco. Per tutti gli ascoltatori più attenti e già abituati a certe atmosfere, invece, il nuovo disco di Godblesscomputers (che si chiama Veleno, non l’avevo ancora scritto) è semplicimente da ascoltare ad alto volume per godersi in primo luogo il suo suo suono, non tanto le canzoni. E per capire da dove sia nato tutto questo sarebbe bello che qualcuno si andasse a riascoltare alcune sue chiare influenze, pietre miliari che non dovrebbero mancare nella discografia di qualsiasi appassianato: penso al doppio mitico di Kruder & Dorfmeister, a tutte le produzioni di Burial e a qualcosa di Four Tet, per esempio. Sarà comunque un piacere.

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