Datemi un’altra Carmen Consoli

Quando eravamo poco più o poco meno che maggiorenni, sentire (e soprattutto vedere) Carmen Consoli al festival di Sanremo, diciamo la verità, fu una bella scossa di adrenalina. E forse non solo per noi, che abbiamo continuato a seguirla anche per il suo bel visino, Carmen Consoli ha rappresentato la cosa più eccitante capitata alla musica pop italiano – quella al femminile, quella di consumo – degli ultimi vent’anni. Una voce diversa da quasi tutte le altre fino a quel momento sentite per radio, quel modo di cantare così, quei testi ricercati, lontani dalla banalità di Sanremo, appunto, il piglio a volte rock da cattiva ragazza, altre alla riscoperta della tradizione. Oggi Carmen Consoli ha 40 anni e ha deciso di pubblicare un nuovo album quando ormai qualcuno pensava si fosse ritirata per sempre, sei anni dopo il precedente e con nel mezzo anche la maternità. Un disco che è un po’ un deja-vu, però. Non che sia brutto, ci sono sempre i testi ricercati, impegnati, in quel modo che fa tanto emozionare chi non è abituato ad ascoltare testi impegnati (si parla di omosessualità-mafia-barconi di Lampedusa-femminicidio, per esempio) ma il cliché Carmen Consoli è sempre lì, nelle orecchie di chi ascolta, dalle continue menate sui tradimenti e la fedeltà (nel deludente singolo che ha anticipato l’album) all’effetto nostalgia presente un po’ ovunque, dal suono dell’album in genereale, che è elegante e maturo ma troppo, troppo già sentito, fino al modo di cantare, nonostante alcuni tentativi di divagare, anche riusciti, come “La signora del quinto piano” (in cui i fan avranno di che gioire anche per la citazione della Matilde che odiava i gatti) o “E forse il giorno”. In generale, l’idea è sempre quella dell’intrattenimento di qualità, proposto a tutti gli italiani con una certa classe, che va bene, è anche bello, ma pure noioso alla lunga. Non che ci si dovesse aspettare da Carmen Consoli un disco diverso da questo. Ai fan piacerà, ai giornalisti dei quotidiani piacerà (sul Fatto già si parla di “gioiello”), continuerà a essere vista con rispetto un po’ da tutti quelli che ascoltano la musica distrattamente. E va bene anche questo. Però tutte le volte che l’ascolto non posso fare altro che pensare a come potrebbe essere una Carmen Consoli prodotta non dico da Rick Rubin (che poi bisognerebbe pensare a Johnny Cash e si fa peccato) ma anche solo da un John Parish, che ha già fatto rinascere Nada (ecco, così va meglio). Qualcuno che la prenda, la porti via dalla solita compagnia, dai soliti musicisti,  la chiuda in uno studio, la tratti anche male, la faccia soffrire ma se ne esca con un disco di un’altra Carmen Consoli, una che ancora non conosciamo.

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