E in estate il soul torna di moda… Ma l’anima dov’è?

Davvero credo che un po’ tutti ci meriteremmo qualcosa di più di  concerti o addirittura festival che vengono definiti a caratteri cubitali “Soul” solo perché ci sono vocalist (di solito le chiamano così) di colore, meglio se obese, che cantano da dio sempre sorridenti, accompagnate da sessionmen neppure scarsi, anzi, ma che suonano tutti uguali, meglio se con l’ausilio di qualche sassofonista che dà un po’ di allegria. Concerti estivi, soprattutto, che forse d’inverno non è il caso. D’accordo, il soul è anche quella roba lì, non lo voglio negare, nasce come un sottogenere dell’R’n’B (unisce il gospel con il blues, in teoria) con un certo appeal commerciale e riascoltiamoci tutti Otis Blue, Marvin Gaye, ma anche Aretha Franklin o James Brown. Però poi il soul dovrebbe essere anche la musica dell’anima, appunto, qualcosa di intenso e sentito, e non la riproposizione in eterno di quei canovacci al solo scopo di intrattenimento. Quindi, innanzitutto, tra i mostri sacri di cui sopra aggiungiamoci Isaac Hayes e Nina Simone, per andare un po’ più in profondità, e applaudiamo al modo in cui si è evoluto commercialmente il tutto, con Prince ovvio, ma anche in tempi più recenti con il Voodoo di D’Angelo e il mai troppo lodato Channel Orange di Frank Ocean, e mah sì, se proprio volete la leggerezza, andate su Janelle Monae e non scandalizzatevi se vi dico che è davvero riuscito, in special modo nei suoni, l’ultimo di Beyoncé, sì, Beyoncé. Poi però ci sono anche album che si allontanano dallo stile classico del genere ma che in qualche modo lo ridefiniscono, penso al mai troppo compianto Terry Callier, o saltando di palo in frasca al commovente disco d’esordio di James Blake in salsa elettronica, o ancora al compendio da manuale della musica black che ha realizzato Cody Chesnutt con il doppio The headphone masterpiece. E andando verso il rock, c’è dell’anima anche nel capolavoro dei Tv On The Radio, Return to Cookie Mountain, forse il disco più centrato per descrivere il suono metropolitano della New York degli anni zero, e il soul si sente forte e chiaro anche in alcuni passaggi dei dischi di quel genio che c’è dietro i Dirty Projectors. E così per un po’ le vocalist italo-africane le abbiamo giustamente fatte finire nel dimenticatoio.

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