Edda: dal rock all’eroina e ritorno

Magari qualcuno lo avrà visto anche nel salotto televisivo della Bignardi, con una maglietta bianca a maniche corte, completamente fuori posto, vicino allo scrittore Andrea De Carlo, «perché potrebbe essere il protagonista di un suo romanzo», diceva la conduttrice. Era il 2009, l’anno in cui era tornato a incidere un disco, il suo primo solista dopo 13 anni di silenzio. Dall’addio ai Ritmo Tribale, band di culto del rock alternativo italiano anni ottanta e novanta, che abbandonò all’apice del successo, più o meno. Poi il silenzio. con qualcuno che ne aveva ipotizzato addirittura la morte. In realtà Stefano Rampoldi, in arte e per tutti Edda, si stava solo drogando. Sei anni di eroina, grazie alla quale dice di aver scoperto l’amore totalizzante, «quel sentimento che ti fa pensare che senza quella cosa la tua vita non ha senso».  Poi però ha lasciato la sua amata eroina ed è entrato in una comunità, si è disintossicato e ha trovato un lavoro come operaio, sui ponteggi, «era quello che volevo fare, stare sospeso in aria». Fino a che qualcuno non lo ha costretto a fare di nuovo un disco, il suo debutto da solista, prettamente acustico, un ottimo punto di ripartenza in attesa del primo mezzo miracolo, il più sperimentale, elettrico e pure orchestrato Odio i vivi, e al suo terzo album che è proprio di queste settimane, uscito come ovvio senza clamori, Stavolta come mi ammazzerai?, che merita un ascolto solo per il titolo che è una citazione da Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, grande film di Elio Petri del 1970.
Il disco torna a sonorità rock (quando non punk), chitarre e batteria in primo piano, molto d’impatto e con Edda completamente fuori controllo:  canta, urla, vomita testi sulla sua famiglia (omaggiata anche con foto d’antan in copertina, «i miei, anziani, non hanno sentito l’album ma hanno visto il primo video e non gli è piaciuto», dichiarerà a Rolling Stone, oltre ad ammettere di essere stato «un figlio di merda» e d’altronde nel video canta “tutte le volte che vedo mio padre esco di casa con la voglia di ammazzare”), sulla droga, la malattia, sul sesso. Canta di donne che sono pelle e fica, di puttane da un euro, di violenza, di pedofilia, canta come fosse lui stesso una donna, Edda, giocando con il suo nome d’arte (che poi è quello della madre, citata anche lei in un pezzo: “Sono un figlio di puttana, la mamma è quello che è”). C’è della pazzia in questo disco che allo stesso tempo è sincero e straziante, quando non disturbante. Adesso Edda non lavora più sul ponteggio, è tornato a fare solo musica, anche se non ci mangia, dice, e si fa mantenere dalla fidanzata. Meno male. Perché il suo ultimo lavoro è uno dei dischi di rock in italiano più belli e veri che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi (parecchi) anni.

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