Il nuovo Coldplay: il bello del mainstream

Strana storia, quella dei Coldplay, fattisi conoscere all’inizio degli anni Duemila come una sorta di nuovi Radiohead, quelli che già non c’erano più, pop-rock, chitarre e voce malinconiche. Avevano già colpito e lasciato il segno un po’ in tutta Europa, tra i fan dei Radiohead, grossomodo. Ma i Coldplay volevano di più e così hanno dovuto conquistare il mondo, le ragazzine e le loro madri, tanto per intenderci, trascurando parecchio la qualità dei loro (successivi tre) dischi. Sono diventati star globali che possono tutto e se ne fregano di tutto (si fa per dire). Dopo tre anni di silenzio è arrivato poi l’anno scorso il sesto album, piuttosto di transizione, ma da apprezzare assolutamente per il suo contegno, il suo essere volutamente minimale, vuoto piuttosto che pieno, come a voler mettere un fermo a tutto quello che era successo prima. Uno stop prima di una nuova ripartenza, banalmente. Perché poi un anno e mezzo dopo, eccoci con il suo seguito che è completamente diverso. Annunciato quasi come un possibile canto del cigno, la fine di un percorso, anche se ancora non si sa se sarà davvero l’ultimo della band, ci troviamo con in mano qualcosa di molto simile a un inno al divertimento, musicalmente parlando. Dopo diversi ascolti in successione – in anticipo rispetto all’uscita ufficiale del 4 dicembre – dobbiamo però alzare le braccia: i Coldplay – anche se questa sembra in particolare la band di Chris Martin, più che altro – hanno fatto il disco che li metterà di nuovo contro snob duri e puri e i fan della prima ora, ma anche un disco che è il vero manifesto della loro arte, quello che probabilmente resterà tra i vertici della loro discografia. Ci sono la dance, l’r&b (“Hymn for the weekend” con Beyoncé è sorprendente), l’elettro, il funk, ci sono le loro ballatone strappacuore (anche troppo, penso a “Colour Spectrum”). Ci sono il pianoforte e l’elettronica, c’è un finale delizioso con cori e anche l’assolo di Noel Gallagher, mentre le altre chitarre sono ancora poco in evidenza. Molto in primo piano, invece, la voce di Martin, davvero ispirato. In generale, questo è pop a tutto tondo, il pop del 2015 da classifica al massimo del livello. Poi, sia chiaro, questo disco può anche non solo non piacere, ma far letteralmente ribrezzo a un certo pubblico, tendenzialmente sarà però un pubblico ribelle per indole nei confronti di qualsiasi cosa sia mainstream. E quindi non molto attendibile.

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