Il rock, gli Shellac e mister Steve Albini

Ci sono poche cose su cui si può contare a scatola chiusa, una di queste è senza dubbio il rock tirato e senza compromessi degli Shellac, che si rinnova a ogni disco, restando sempre lo stesso. La strepitosa apertura del nuovo “Dude Incredible” è la conferma che quello che è solo il sesto album in vent’anni di carriera, arrivato come al solito senza nessun tipo di lancio promozionale, che non trovate neppure su Spotify, è il solito disco degli Shellac. Detto con grande rispetto e anche con un certo entusiasmo, anche se non da vero e proprio fan. Il solito intreccio di chitarra, basso e batteria, il solito post hardcore-noise, i tempi asimmetrici, la tensione latente, i cambi di ritmo,  le geometrie, i testi cattivi: vent’anni dopo gli Shellac restano nella loro semplicità ancora unici, e questo forse è anche un po’ deprimente.
Ma almeno un loro nuovo disco, oltre a farmi muovere avanti e indietro sulla sedia, è l’aggancio perfetto per scrivere anche su Ravenna&Dintorni un nome e cognome: Steve Albini. Metti che qualcuno stia leggendo queste righe per caso, sia troppo giovane o non abbia mai ascoltato musica rock, Albini (oltre a essere uno dei tre Shellac e fondatore dei Big Black, per esempio) come scrive Wikipedia «è uno dei “guru” della scena alternativa americana», già, esatto. Il produttore (anche se lui preferisce il termine ingegnere del suono) di rock alternativo per antonomasia, l’anti-Eno, scrive qualcuno, nel senso che il suo marchio di fabbrica è il suono registrato dal vivo, quasi da buona la prima, che se ci si mette più di una settimana per registrare un disco – scriveva nella sua ormai celebre lettera ai Nirvana – c’è qualcosa che non va. Con una reputazione da supponente e vero rompicoglioni, è diventato con gli anni quasi un marchio, “prodotto da Steve Albini” era una garanzia per un disco, e noi tutti ci cascavamo, prendendo anche delle fregature. D’altronde ne ha registrati centinaia, tra cui capolavori o quasi che è sempre bello andare a ripescare se potete: dai più noti come “In Utero” dei Nirvana e “Surfer Rosa “dei Pixies, fino a quella pietra miliare del rock al femminile che è “Rid Of Me” di Pj Harvey e addirittura al folk barocco di “Ys” di Joanna Newsom; dal “Viva Last Blues” dei Palace Music di Will “Bonnie Prince Billy” Oldham fino al commovente slowcore di “Secret name” dei Low, dal noise-rock di “Goat” dei purtroppo dimenticati (o quasi) Jesus Lizard fino al mai troppo esaltato suono interamente strumentale dei Dirty Three di “Ocean Songs”. «Mi interessa lavorare solo a dischi che riflettono legittimamente la percezione che una band ha di sé stessa e della propria esistenza», scriveva sempre in quella lettera. Lunga vita, allora, a Steve Albini.

SABBIONI BILLB SYBY 18 03 – 07 04 24
SAFARI RAVENNA BILLB 14 03 – 03 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24