L’esperimento Cambogia. E quindi?

Riporto per dovere di cronaca anche ai lettori di questa rubrica che non trascorrono il loro tempo libero leggendo riviste on line di musica e non hanno amici su Facebook che ne condividono i contenuti. Circa un anno fa è iniziato a circolare il nome di Cambogia, un cantautore siciliano la cui identità è rimasta per tutti questi mesi avvolta dal mistero, se non per il suo nome di battesimo, Andrea, e alcune foto (il più classico degli hipster, con tanto di folta barba rossiccia). Facendola breve, dopo il successo del primo singolo, Cambogia ha pubblicato il suo album di debutto vero e proprio – dopo uno introvabile solo in cassetta, si diceva allora – che ha ottenuto un certo successo, tra il pubblico e pure la critica, con tanto di recensioni e – persino – interviste. Persino, dico, perché Cambogia ­– come ha poi rivelato Noisey (una delle riviste on line di cui sopra) – non esiste, né è mai esistito. Si tratta di un personaggio di fantasia creato da Ground’s Oranges, un collettivo siciliano che si occupa di videomaking.

«Andrea non sa cantare – si legge sul video rivelatore (qui sopra) che pone fine all’esperienza –, non sa suonare e non è nemmeno un attore, la voce che potete ascoltare in tutti i brani non è sua. Tra di noi non ci sono discografici, esperti di marketing o artisti conosciuti sotto mentite spoglie, non esiste ufficio stampa, non esiste etichetta discografica ma nonostante questo Cambogia ha ricevuto finora più di 40 proposte per live in tutta Italia, ha raccolto complimenti e insulti, rilasciato interviste su radio e webzine, scatenato haters e fatto incazzare altri artisti indie…», eccetera eccetera. E tutto questo «senza aver mai suonato live, senza nessuna gavetta o merito di alcun tipo».

E quindi? E quindi è stato un esperimento sociale – dicono i tipi di Ground’s Oranges – per sottolineare l’eccessiva importanza attribuita all’hype rispetto alla reale proposta musicale. «Abbiamo creato tutto questo dal nulla: riuscite a pensare quello che può fare un’etichetta reale abbinata ad un ufficio stampa di una certa grandezza? Potrebbero farvi amare un prodotto di dubbio valore?».

Esperimento riuscito e simpatico, ma in fondo solo un modo divertente per dirci quello che sapevamo già tutti. E quindi? Quindi resta il dubbio che più che altro (e la scena indie) sia stato un modo per prendere per il culo la stampa musicale, sperando ci cascasse (fa ridere, ragazzi, ma era impossibile non cascarci, lo sapete anche voi). Resta poi anche il fatto che, a parte tutti gli scherzi, il disco esiste davvero, è stato composto (in tre mesi e in un piccolo studio, ma non è la prima volta e non sarà l’ultima) da due musicisti e cantato da altre due persone (di cui almeno uno musicista a sua volta). Un disco chiaramente sopra le righe e (soprattutto ascoltato dopo la grande rivelazione) canzonatorio verso la scena indie italiana ma, oh, neppure così brutto come poteva essere e men che meno inascoltabile. Meglio dei Thegiornalisti, per dire.

E quindi?

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