Non solo Kendrick Lamar: i 20 album da non perdere del 2015

Le premesse sono sempre le solite, che palle le classifiche di fine anno, che divertimento le classifiche di fine anno e tutte le possibili variabili intermedie. Personalmente credo sia semplicemente l’occasione per fare un po’ di ordine e cercare di fermare, come in un’istantanea, quello che è successo di importante nell’anno appena trascorso.

Ecco dunque i 20 album da non perdere del 2015 scelti con criteri il più possibile oggettivi partendo da scelte inevitabilmente soggettive. A partire da quelli black, dove in questi anni sta succedendo davvero qualcosa, al contrario del più ingessato mondo del rock inteso come chitarre (basso e batteria). Non si può che partire dal rapper Kendrick Lamar e dal suo capolavoro “To Pimp A Butterfly”, disco più intellettuale e meno diretto rispetto al clamoroso precedente, quasi enciclopedico nella sua maestosa varietà. Ti colpisce subito alla pancia, invece, il “Wildheart”  di Miguel, forse il miglior erede del “Channel Orange” di Frank Ocean per la qualità del songwriting e l’attitudine moderna con cui interpreta soul e r&b. Restando nel mondo nero e un po’ tamarro, diciamolo, ecco altri due rapper: Drake, con un disco dal suono così fantasticamente minimale, “If You’re Reading This It’s Too Late”, e le mille contaminazioni di Vince Staples del suo “Summertime ‘06”.

Passando all’Africa, non è stata l’unica uscita degna di nota, ma se devo scegliere ecco l’incredibile mix di funk, hip hop, tradizioni ed elettronica dei Mbongwana Star con “From Kinshasa”.

Entrando poi nel campo davvero elettronico, l’ascolto più facile (e non è certo un difetto) è il grande debutto di Jamie XX di “In colour”, ma la sorpresa è quella di Oneohtrix Point Never, la cui carriera finora è stata molto altalenante ma che fa il botto con un disco dall’attitudine rock e allo stesso tempo sperimentale, “Garden of delete”. A unire elettronica e jazz con stile e grande eleganza una piccola chicca come il ragionatissimo “Elaenia” di Floating Points, mentre è musica d’avanguardia allo stato puro, però travolgente, quella dell’enorme Colin Stetson, al sassofono, in coppia questa volta con la violinista Sarah Neufeld.

Molto legata alla musica d’avanguardia o comunque alla classica contemporanea con inserti elettronici è l’ultima Bjork, il cui nuovo cupissimo disco è stato un po’ troppo poco considerato (forse a causa della sua pesantezza, che in questo caso però non affossa un album bellissimo). Restando in ambito femminile, il 2015 è stato davvero entusiasmante, a partire dal ritorno in grande stile di Julia Holter con il suo album forse più classico e riuscito (“Have You In My Wilderness”), fino al debutto più scanzonatamente rock dell’australiana Courtney Barnett. E restando in ambito indie-rock, segnalo un disco magari scontato ma rabbioso e intenso al punto giusto, quello degli sconosciuti (almeno per me) Hop Along (sempre una bella voce femminile) a fianco di una grande conferma come quella dell’ultimo Deerhunter.

Passando al cantautorato più classico, spezzano il cuore i nuovi dischi di Bill Fay e soprattutto Sufjan Stevens, disco dell’anno addirittura quasi all’unanimità (mi pare perfino troppo ma me ne farò una ragione) per le riviste specializzate italiane. Cantautorato ed elettronica minimale si incontrano per un altro album sul depresso ma che crea dipendenza come l’“Are you alone?” dei canadesi Majical Cloudz. Restano appese a un folk-pop piuttosto classico le stilose “Simple songs” di Jim O’Rourke, in stato di grazia, mentre è pop in stile Spice Girls tanto per intenderci, ma in versione tossiche, quello del nuovo disco di Grimes, tra i top dell’anno. Siamo già a 19 e allora l’ultima citazione è per un disco italiano – forse quello che ho più ascoltato e che si avvicina di più al mio disco dell’anno – l’incredibile mix tra canzone d’autore, elettronica, prog e lo-fi di “Die” a firma di IOSONOUNCANE.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24