Quei dischi “estivi” di Arcade Fire e Lana Del Rey

Mentre il mondo (quella parte di mondo) si scanna per l’ennesima classifica di Pitchfork – visto che i tempi per battezzare i migliori dischi dell’anno sono ancora lontani il nostro celebre sito-bibbia americano ha deciso di pubblicare la lista dei 200 album migliori degli anni sessanta, mettendo al primo e al secondo posto rispettivamente la banana dei Velvet Underground e “Pet Sounds”, quindi tutto a posto (in realtà su Nina Simone, James Brown e Aretha Franklin nei primi dieci si può ampiamente discutere) – l’estate nel mondo cosiddetto alternativo ha partorito due dischi che vanno molto oltre quello stesso mondo, di cui si parla tanto per intenderci anche su Vanity Fair e simili.

Everything Now è un buon disco – va detto subito – ed è molto divertente vedere come non sia stato digerito da buona parte dei fan storici dei canadesi Arcade Fire. Un gruppo che per fortuna – a differenza di molti altri loro colleghi che continuano a ripetersi ininterrottamente – si è evoluto rispetto ai (bellissimi) esordi, dimostrando coraggio e pure buon gusto, a tratti grande talento, abbandonando pian piano l’indie-rock, il post-punk, i suoni più sporchi, preferendo spesso e volentieri tastiere e suoni sintetici alle chitarre. Un pop a tutto tondo che in Reflektor (quattro anni fa) aveva trovato l’equilibrio giusto tra ambizioni e voglia di divertirsi e che con questo nuovo Everything now si ridimensiona, come forse inevitabile, nonostante un inizio più che promettente (“Everything now”-“Signs of Life”-“Creature Comfort” sono più che appiccicose, tra funk e Talking Heads). Un classico album di transizione, in definitiva, per un gruppo in continuo movimento che resta però ampiamente sopra la sufficienza, a differenza di quanto emerge invece da alcune stroncature un po’ telefonate. Così come telefonato sarà il successo di Lana Del Rey, una che con il mondo indie non c’entra praticamente nulla, se non – in effetti, ora che ci penso – per il tipo di musica. Una popstar in apparenza (e per il numero di dischi venduti nel mondo) che in realtà suona sognanti canzoni malinconiche pure un tantino depresse. Un paradosso vivente che in realtà funziona in entrambi i mondi. Il suo nuovo album si chiama Lust for Life ed è un altro ascolto piacevole: bella voce, bei suoni, alcune contaminazioni con il mondo hip hop per spezzare una certa monotonia di fondo.

In estrema sintesi, due buoni dischi che però non lasceranno alcun segno nella storia della musica di questi anni. Due dischi consigliati per questi ultimi giorni d’estate, da consumare senza troppe pretese…

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