È tornata la (lucida) follia dei geniali Maisie

1516185367217 Maisie Maledette RockstarDifficile da credere, ma nella scena musicale italiana esiste qualcosa di davvero unico e inarrivabile: il Festival di Sanremo. Ok, scherzo, parlo invece dei Maisie, gruppo di culto per antonomasia, anche se probabilmente ormai dimenticato dagli stessi tizi del culto di cui sopra, essendo passati nove anni dal loro ultimo disco (che già arrivava a quattro anni dal precedente). Il 19 gennaio è uscito “Maledette rockstar”, la loro “opera rock”, come si sarebbe detto negli anni settanta, un concept album sulla morte e la decadenza (della società contemporanea in generale, per farla breve), 31 brani divisi in due dischi, in un cofanetto cartonato con tanto di libretto di 56 pagine rilegato e cucito a filo (con disegni originali di Manfredi Criminale) e una “campagna promozionale” (tra virgolette) che si è limitata o quasi a un appello a comprarlo nei negozi tradizionali di dischi (la prima tiratura – di 800 copie – è andata in esaurimento dopo una quindicina di giorni). Circa 150 minuti di musica, in definitiva, che sono un grandissimo vaffanculo allo streaming, alla “riproduzione casuale” e agli ascolti distratti di questa nostra epoca. I numeri continuano con la settantina (71 per l’esattezza) di musicisti coinvolti (tra cui anche Bruno Dorella e Antonio Gramentieri, nostri orgogli di Romagna) dalla band siciliana in questo disco che è tutto un prendere o lasciare, una sorta di manifesto contro l’indifferenza, che se non è davvero frutto di dieci anni di lavoro (come vogliono farci credere) è in ogni caso qualcosa di enorme, comunque la si pensi. A partire naturalmente dai testi (quasi tutti di Alberto Scotti, quasi tutti cantati da due grandi voci femminili, quelle di Carmen D’Onofrio e Cinzia Le Fauci), lucidamene folli, provocatori, surreali (come altro definire Padre Pio “in carne, ossa e saio” che sfida in un incontro di pugilato il mafioso Matteo Messina Denaro?), comici (l’appello pre-elettorale in stile piddino “Se non ci votate torna Silvio/aiuto, aiuto, Silvio no, poveri noi! Silvio no/Silvio è cattivo perché è di destra/Noi, anche se facciamo cose di destra, siamo buoni perché siamo di sinistra”), truci (nel caso della vendetta del nanetto Pingping che torna dall’oltretomba per sgozzare e violentare senza pietà il cadavere di Barbara D’Urso, che l’aveva davvero ospitato in uno degli apici del trash televisivo italiano), geniali (qui la lista è lunga, ma si può partire dal Gesù che torna tra noi come casellante e che dice di non essere razzista “Ma, se mia figlia sposasse un negro, m’incazzerei”), citazioni sparse ovunque (a partire dai titoli dei pezzi – che non sono cover, a parte una di Pippo Franco – come “Certe notti”, “Aria”, “La canzone di Marinella”, fino all’unico strumentale dal sapore lounge e sognante battezzato “Dottor Marchionne, mi dispiace doverle comunicare che il suo tumore è maligno: le restano al massimo due settimane di vita”). Il tutto all’insegna di un modo di cantare elegante e retrò e in una continua ricerca della melodia, per un effetto ancor più straniante in un disco suonato e arrangiato comunque da dio, fra i generi più disparati (prog, folk, post-rock, suoni latineggianti, avant, noise, pop…) e riferimenti che vanno dalla furia iconoclasta di Frank Zappa alle migliori Storie Tese, fino a un’indole che potrebbe pure ricordare i Cccp. Naturalmente non tutto funziona, ma quando ricapita di passare due ore e mezzo così?

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