Ecco il profilo della Ravenna dell’innovazione

Come uscire dagli slogan e iniziare a declinare progetti concreti

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La città costituisce la carta da noi non ancora giocata per uscire dalla crisi. La nostra cultura urbana è ciò che abbiamo di peculiare e di inimitabile nella competizione mondiale, qui il filo della tradizione si intreccia con le opportunità del moderno.Solo a partire dai punti alti della nostra identità
sarà possibile cogliere le sfide del futuro.

Così come le altre, anche la nostra bella città è stata in parte sfigurata dall’industrializzazione, ma potrebbe diventare luogo ideale per la ricerca, le tecnologie, i servizi avanzati e l’alta formazione. L’innovazione in fin dei conti non è una questione di tecnologie, ma di creatività. È un processo sociale che favorisce la produzione dei saperi e delle arti, l’invenzione di nuovi prodotti, l’elaborazione di nuovi stili di vita, mutamenti dell’organizzazione civile, condivisione di conoscenze, contaminazione tra esperienze diverse, apertura verso le differenze, ricambio generazionale, mobilità nella scala sociale. Di fronte alla tendenza omologante della globalizzazione le differenze urbane diventano la risorsa in più.
Soprattutto noi dovremmo averne consapevolezza. Abbiamo realizzato cose egregie quando i produttori erano legati al luogo. Anche il miracolo economico è stato grande crescita urbana, l’invenzione dei distretti industriali ammirati nel mondo ha avuto il merito di trasformare l’antico gusto artigianale e la coesione sociale in fattori propulsivi della produzione. Potranno dare ancora molto se sapremo difenderli e rinnovarli, ma certo non saranno più l’energia propulsiva dell’innovazione italiana.
Ecco la svolta da compiere. Quello che siamo riusciti a fare di originale con i distretti industriali, dovremmo realizzarlo con la città come grande fabbrica postmoderna dell’innovazione. La vecchia industria aveva una certa indifferenza per il territorio e noi lo sappiamo bene; oggi invece la qualità dei luoghi diventa fattore decisivo per catalizzare le competenze. Nel distretto industriale la trasmissione delle competenze si realizzava in virtù dell’identità culturale e di legami sociali forti. Il lavoratore creativo, al contrario, ama le differenze, le relazioni aperte, i legami sociali deboli tipici dell’ambiente urbano.
Le politiche di innovazione riguardano l’intero Paese ma trovano in città il laboratorio privilegiato, in doppio senso, perché vi trovano le condizioni ambientali per maturare e perché forniscono un banco sperimentale di strategie più generali. Nei programmi di governo delle città non dovrebbero mai mancare tre cose.

78 79 ABITARE HABITAT:Layout 1 Coltivare competenze proprio come fa l’agricoltore con i suoi alberi, impiantarli, aiutarne la crescita, innestare nuove specie e aprire il campo ai venti lontani che portano spore di biodiversità. La qualità della scuola di ogni ordine e grado, la focalizzazione di attività formative sulle vocazioni produttive del territorio, il rango internazionale degli studi universitari sono gli obiettivi minimi che un’amministrazione locale deve pretendere da tutti i soggetti pubblici responsabili. Solo la città che attrae i giovani può candidarsi all’innovazione. Da qui la priorità per il welfare giovanile, per le borse di studio, le residenze e gli assegni di ricerca e l’accoglienza di studenti stranieri. Ma soprattutto per creare luoghi aperti alla libera espressione artistica e culturale e per mettere a disposizione servizi di sostegno alle start-up e alla sperimentazione sociale. Il trasferimento dei saperi dall’università alle imprese viaggia con le teste delle persone e bisognerebbe quindi avere molta attenzione alla sorte dei dottori di ricerca, dopo aver speso tante risorse per formarli, si deve incentivare il loro impiego nelle imprese e nelle amministrazioni come portatori di futuro.
Chiedere innovazione è compito delle politiche pubbliche. Bisogna prima di tutto creare domanda di innovazione se si vuole uscire dalla buca conservativa in cui è caduta l’organizzazione sociale. Proprio la politica possiede le carte per uscirne. Il governo della città ha bisogno della conoscenza e deve prima di tutto imparare a chiederla con trasparenza e qualità. Oggi la città va ripensata, si tratta di inventare funzioni nuove e di ridisegnare luoghi già segnati dai vecchi usi. E’ quasi un gioco che ci aiuta a vedere le cose in modo totalmente diverso, come immaginare, ad esempio, un giardino pensile su un’autostrada urbana dismessa. L’invenzione funzionale, però, oggi è frenata dalla rigidità dell’offerta che procede a ondate, prima tutte case, poi tutti uffici, poi tutti ipermercati, adesso di nuovo case e si ricomincia. Bisognerebbe invece diversificare la domanda di funzioni utilizzando competenze, la concertazione, i concorsi di idee, la promozione internazionale. La capacità di reinventare i luoghi e la molteplicità delle funzioni sono oggi i caratteri che fanno ricca la città.

78 79 ABITARE HABITAT:Layout 1 L’ingegno deve essere applicato all’organizzazione della vita collettiva. E’ incredibile il ritardo delle nostre città, siamo pieni di diavolerie tecnologiche a casa e in ufficio, ma nello spazio pubblico prevalgono sistemi obsoleti. La città è anche un’enorme banca di dati che dovrebbero essere accessibili come i suoi luoghi. Si tratta di una conoscenza non solo utilizzata ma anche alimentata dai cittadini: è bastato che prendesse piede quel gioco sui social sulle vecchie foto per ottenere un grande archivio di immagini sulla trasformazione urbana. Nei prossimi anni sarà decisivo questo software urbano, come insieme di open data, di servizi, di modi d’uso dello spazio. Non è solo una sfida per il governo municipale ma implica anche un riconoscimento dell’ingegno sociale. E ciò è possibile solo se i giovani entrano nel mondo del lavoro, nell’amministrazione pubblica, nella politica. L’innovazione è un vettore composto da due direzioni: il salto cognitivo e la qualità della cittadinanza. Su entrambi i lati ci aspettiamo buone pratiche dall’amministrazione comunale che avrà ricevuto la fiducia dei cittadini.
Creare valore nell’economia urbana migliorando l’organizzazione della vita collettiva. E’ possibile, anzi è una delle poche vie per tornare a creare lavoro. Altrimenti rimangono solo le chiacchiere che promettono la crescita continuando a fare le stesse cose che hanno provocato la crisi. L’economia di carta e di mattone ha impoverito le città e ha costretto tanti cittadini ad abbandonarle per andare a vivere nel forese consumando inutilmente altro suolo. Al contrario, la cura dei beni comuni può fornire nuove opportunità per fare impresa innovativa. L’agenda delle cose da fare è stata già scritta – la mobilità sostenibile, il recupero urbanistico, la riconversione ecologica degli edifici, il ciclo dei rifiuti, la saggia gestione delle acque, l’agricoltura periurbana, come anche la comunicazione digitale, la cura della persona, la scuola e l’educazione – e molti amministratori hanno già dimostrato che si possono coniugare qualità della vita e nuovi saperi della città. Bisogna mettere a frutto i beni comuni. Invece di svendere pezzi di patrimonio pubblico a prezzi stracciati forse sarebbe meglio utilizzarlo per case in affitto per i giovani, per atelier delle imprese innovative e per le strutture del nuovo welfare. Bisognerebbe valorizzare le aziende pubbliche e le multiutilities per farne strumenti specializzati nell’applicazione di tecnologie della green economy.
Però serve un cambiamento anche dal lato degli atenei e dei centri di ricerca. In futuro dovranno muoversi più liberamente nelle due dimensioni cruciali della crescita della conoscenza, nelle reti internazionali delle comunità scientifiche e nei luoghi urbani di agglomerazione delle competenze. La sua qualità sarà definita dal riconoscimento che otterrà nelle reti della conoscenza. E la sua efficacia dall’onda di creatività che riuscirà a diffondere nella propria città.
In quali direzioni, allora, dovranno migliorarsi le istituzioni della ricerca per aiutare la crescita civile ed economica del territorio? Una buona guida di riforma è fornita dalle Lezioni americane di Italo Calvino.
Prima lezione: Leggerezza per buttare via tutte le pesantezze burocratiche in modo da volare come una farfalla posandosi sui fiori dai colori più diversi.
Terza lezione: Esattezza per dedicare tutte le energie a cercare un ponte tra le cose visibili e invisibili, come fa l’artigiano che crea un oggetto da una materia informe o uno scienziato che trae una teoria dal caos dei fenomeni.
Quinta lezione: Molteplicità per tenere sempre a mente che soprattutto l’innovazione ha bisogno di riconoscere le differenze, di cercare strade nuove, di uscire dallo standard, di alimentare la biodiversità del sapere e del saper fare.

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