Così vicini, così lontani

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I due volti dell’Ucraina nelle parole di Tania,immigrata a Ravenna da qualche anno, e della madre con cui vive in città

È una delle prime sere in cui la stagione tardo autunnale si è riappropriata del suo clima e la temperatura è calata dopo un lungo periodo di anarchia metereologica. Sono le 20 e trenta ed in bicicletta mi reco a casa di Tania, una ragazza ucraina che vive a Ravenna da alcuni anni. Ho deciso di intervistarla dopo aver ascoltato qualche stralcio della sua storia e di quello che stava succedendo nel suo paese, mentre sorseggiavamo un buon caffè a casa di una cara amica comune. E così questa sera sono qui, pronta ad ascoltare la storia di Tania e di sua madre con la quale condivide l’appartamento. È la mamma che inizia a parlare, e riconosco immediatamente la sua urgenza di narrazione: un modo per acquietare un vissuto di fatiche, partenze forzate, paure, ansie, solitudini. Avverto il suo bisogno impellente di rivelare momenti di vita affinché qualcuno ascolti e dia un senso alle tante difficoltà affrontate; una richiesta di com-prensione che, se soddisfatta, può in qualche modo anche riappacificare.

«Uno sguardo attento al volto dell’altro non permette l’odio o l’indifferenza: se riconosco, scruto, penso come cosa importante
il volto dell’altro non sono capace
di indifferenza, né di odio»
Emmanuel Lévinas

Nata in Russia, la mamma di Tania, quando compie 15 anni si trasferisce a studiare in Ucraina dove vivono le sue zie, si diploma ragioniera, comincia a lavorare, si sposa con un uomo ucraino e nascono Serghei e Tania. L’8 dicembre del 1991 l’Unione Sovietica viene ufficialmente sciolta; il primo gennaio 1992, nascono le prime nazioni indipendenti di Russia, Ucraina e Bielorussia. La “macro storia” incide sulla “micro storia” della mamma di Tania; i mezzi di sostentamento non sono più sufficienti per mandare avanti la famiglia, e nel 1999 decide di partire in corriera e venire in Italia in cerca di lavoro (Tania ha solo nove anni). Giunge a Napoli, dove non conosce nessuno; le viene offerto di trovarle un lavoro in cambio degli ultimi soldi rimasti. Accetta e dovrà aspettare tre giorni, senza mangiare, bevendo alle fontane pubbliche e dormendo in pullman prima di iniziare a lavorare presso un’anziana signora. Di quel periodo ricorda che tutte le notti si chiudeva in bagno e piangeva. Nel frattempo le scade il visto di soggiorno e per alcuni anni non è in grado di rinnovarlo; riesce perciò a tornare a casa per rivedere i suoi cari solo dopo quattro anni; nel frattempo i figli sono cresciuti e fatica a riconoscerli. Sono tre anni che Tania, ormai cresciuta, l’ha raggiunta in Italia ed ora vivono insieme e, a guardarle e vederle muoversi in questa casa, si avverte quanto questo ricongiungimento sia benefico per entrambe. «Ho perso della mia vita le cose migliori ma almeno ho fatto qualcosa per i miei figli; hanno potuto studiare all’Università e sono riuscita a comprare loro una casa; ora però, con quello che sta succedendo in Ucraina, c’è il rischio che vengano bombardate».

Esiti dell’artiglieria su case  di Donetsk

Questa riflessione ci porta a spostare i discorsi sulle ultime vicende avvenute in Ucraina da quando, nell’aprile 2014, a seguito dell’accordo di libero scambio con l’Unione Europea osteggiato dall’allora presidente filorusso Yanukovich, poi destituito, la regione orientale del Donbass è stata travolta da un movimento secessionista e dalla reazione del governo di Kiev. A partire dalla secessione della penisola della Crimea, sul Mar Nero, che si è dichiarata repubblica indipendente, legata alla federazione russa, ma non riconosciuta né dal governo ucraino ne da gran parte della comunità mondiale. L’Ucraina, il più grande paese d’Europa per estensione geografica, una straordinaria terra di confine tra Est e Ovest, è luogo pressoché sconosciuto a lettrici e lettori italiani. Spesso confusa con la Russia, è una nazione ricca di storia in cui s’incontrano e dialogano culture composite (ebrea, polacca, armena, tatara, asburgica); il Bacino del Donec, noto anche come Donbass, è una delle sue regioni. Il toponimo “Donbass” nasce verso la fine del XIX secolo, quando in tale area furono scoperti numerosi giacimenti di carbone e fu coniato questo termine, per indicare questa nuova regione carbonifera nella sua interezza. Questo territorio, che è il più ricco dell’Ucraina ed in cui si trovano le autoproclamate Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk, versa ora nella più totale devastazione. Muoversi nel Donbass è diventato molto difficile per i numerosi posti di blocco che continuamente sbarrano il transito oltre che per il costante pericolo di finire sotto il tiro dei cecchini. La città di Lugansk è semideserta: scarseggiano gas, acqua, energia elettrica, generi alimentari e medicinali; molti dei suoi abitanti si sono rifugiati in Russia in campi profughi o presso parenti. Anche nella città di Donetsk la situazione è critica; nonostante nella zona centrale, nei dintorni del Palazzo dell’Amministrazione regionale e nella zona orientale, la vita sia ripresa, una vera tregua non c’è mai stata. I combattenti di Lugansk e di Donetsk sono volontari e la maggior parte di loro è costituita da ex minatori che ritengono che la guerra non si risolverà presto, convinti però che indietro non si torna. Il loro obiettivo è la creazione di una nuova entità statale, la “Novorossia”, che dovrebbe includere, oltre le due Repubbliche autonome di Lugansk e di Donetsk, anche il territorio da Kharkov fino a Odessa.
Tania e sua madre mi parlano anche di un problema molto sentito da filorusse/i rispetto all’uso della lingua d’origine. L’Ucraina è divisa in due macroregioni: un est russofono e industrializzato, un ovest ucrainofono prevalentemente agricolo. Negli ultimi anni una delle questioni che ha influenzato il dibattito politico in Ucraina è stata la volontà o meno di adottare il russo come seconda lingua ufficiale. L’ucraino è oggi, ai sensi della Costituzione, l’unica lingua di Stato, nonostante il paese sia prevalentemente bilingue – un quinto dei cittadini ucraini, infatti, parla il russo. L’elemento linguistico s’incrocia con aspetti territoriali e politici; la questione è quindi geopolitica e coinvolge l’eredità sovietica, la divisione est-ovest e le diverse accezioni dell’identità nazionale. Le distinzioni politico-culturali, le differenti economie e il problema linguistico hanno fatto emergere le identità regionali nel Donbass e, ad ovest, in Transcarpazia, con conseguenti richieste di autonomia. Mi spiegano che le distinzioni tra i partiti politici ucraini non sono legate solo a motivi ideologici, ma anche a linee di consenso che seguono problematiche territoriali, economiche (entrambi gli schieramenti sono legati a diverse oligarchie) e linguistiche.
Credo che una conoscenza approfondita della storia dell’Ucraina ci aiuti a comprendere meglio le profonde divisioni sia culturali che politiche di questo paese. Le regioni orientali dell’attuale Ucraina hanno storicamente fatto parte dell’impero russo per secoli, subendone profondamente la penetrazione della lingua e della cultura. Viceversa alcune regioni occidentali, oggi il perno del nazionalismo ucraino, sono divenute parte dell’Unione Sovietica solo dopo la Seconda guerra mondiale, avendo fatto parte in precedenza dell’impero austro-ungarico e poi della Polonia, della Cecoslovacchia, dell’Ungheria e della Romania. «Queste differenze culturali emergono anche dai testi giuridici, nei quali troviamo contraddizioni che derivano proprio dallo scontrarsi della concezione dell’Ucraina come Stato nazionale con la realtà multietnica che presenta. Non a caso, il processo di adozione della Costituzione è stato il più lungo fra le repubbliche ex sovietiche» (Simone Stefan, La difficile partita della lingua russa in Ucraina, in http://temi.repubblica.it/limes/la-partita-lingue-in-ucraina-russo/36280?printpage=undefined).
Secondo Ryszard Kapuściński l’immagine che abbiamo del mondo dipenderebbe anche dalle strutture della lingua madre; di qui la fatica del dialogo tra individui provenienti da diverse lingue madri, che li spinge a vedere il mondo in modo diverso.
Saluto le mie amiche dopo un intenso scambio di pensieri e, mentre torno a casa in bicicletta, rifletto sul grande dilemma del nostro secolo: dobbiamo dividerci o cercare di capirci? Ognuna/o di noi ha un senso molto forte della propria identità e ha bisogno di un tempo relativamente lungo per capire che ci sono anche delle altre/i diverse/i. L’unica certezza che ho in questo momento è che, comunque, tutte le culture, anche le più lontane, fanno parte dello stesso unicum che sono le donne e gli uomini.

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