Dai frutteti alle pinete l’azienda Marani cerca una nuova vita

La storia di un’attività sperimentale durata quasi un secolo fra frutticoltura e selvatico di pregio

Una grande serra dell'azienda

Oggi è chiamata biodiversità ed è indagata da una serie di discipline, è protetta da alcuni enti, a volte è valorizzata a fini economici e commerciali. Un tempo ci volle un Regio Decreto per dare vita a una serie di realtà di ricerca concepite in forma di aziende sperimentali. Così nel 1929 in provincia di Ravenna nacque l’azienda Mario Marani con la finalità di promuovere il miglioramento delle produzioni agricole grazie allo studio e la sperimentazione di tecniche idonee, e la dimostrazione e la divulgazione dei risultati ottenuti. Un soggetto concepito come Ente Morale, senza fini di lucro, che inizialmente si occupò di zootecnia, poi nel dopoguerra dell’attività fruttifera, di peschicoltura e di viticoltura fra i tanti ambiti sperimentati. Per arrivare in tempi recenti al filone agro ambientale imponendo una serie di ricerche sul selvatico di pregio delle pinete.

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La mappa dei terreni del podere

La Marani, nella seconda parte della sua vita, fu sottoposta al controllo e alla vigilanza della Regione, retta da un consiglio di amministrazione composto da rappresentanti nominati dalla Regione, dalla Provincia e dal Comune di Ravenna, dalle associazioni di produttori agricoli, dai sindacati dei lavoratori agricoli, da organizzazioni cooperative e Scuole Agrarie della Provincia di Ravenna. La lunga vita della Marani, descritta nel volume di Andrea Baravelli, Il Progresso Antico. Storia dell’azienda agricola “Mario Marani” di Ravenna 1929 – 2009 (Carocci editore), termina con la messa all’asta nel 2015 dei terreni, accorpati intorno al centro aziendale recintato di via Romea 248, che si estendono per 52 ettari. Asta allora andata deserta.
«L’azienda agricola sperimentale “Mario Marani” – scrive Baravelli – si prestò assai bene al progetto fascista di affidamento delle sorti dell’agricoltura italiana alle élite del sapere tecnico agrario. Affermatasi negli anni Trenta quale punto di riferimento di agricoltori e allevatori, nel dopoguerra l’azienda si trasformò in motore di un profondo mutamento della cultura agricola ravennate e nazionale, in particolare nel campo della frutticoltura. La storia della “Mario Marani” può essere anche intesa come uno strumento oggi disponibile per leggere i grandi cambiamenti intervenuti nel mondo agricolo del XX secolo».
Programmi di ricerca e sperimentazione agricola, progetti condotti per conto di Istituti di ricerca universitari, del Ministero delle Politiche Agricole e dell’Unione Europea, e di enti locali non sono bastati a salvare l’azienda colpita prima dal taglio delle risorse pubbliche unica fonte di sostentamento consentita,  e poi dai ritardi nei pagamenti da parte del ministero e di altri committenti pubblici. L’attività sperimentale, come ricorda Antonio Venturi, ex dirigente della Provincia laureatosi con un tesi sulla Marani, era inserita nella rete del consorzio emiliano romagnolo delle aziende sperimentali, occupava 5- 6 sperimentatori e un certo numero di operai stagionali. L’attività riguardava prove di valutazione varietale e di tecnica colturale nei settori di maggiore interesse per l’agricoltura ravennate: frutticoltura, con particolare riferimento al pesco, al pero, al melo e all’actinidia; orticoltura per la trasformazione industriale (pisello, fagiolo, fagiolino, spinacio, pomodoro), colture erbacee ed industriali (frumento, barbabietola, soia, girasole).

Il melone rampichino

Per l’azienda sperimentale si attende a breve l’udienza che potrebbe dare il via libera all’accordo di ristrutturazione del debito, la situazione debitoria è più alta del capitale. Il valore dei terreni e degli immobili nel 2015 ammontava a 2,1 milioni di euro.  Esiste un’offerta di un soggetto che vorrebbe avviare un’attività di tipo formativo riprendendo l’originaria vocazione sperimentale. Per certo la Marani così come descritta non esisterà più; in attesa di sapere se avrà una seconda occasione e una nuova vita è bene ricordare una delle attività più note ed apprezzate sia dagli esperti del settore che dai cittadini.
L’azienda sperimentale Mario Marani ha intrapreso uno studio su alcuni prodotti alimentari locali e alcuni selvatici di pregio che hanno caratterizzato il passato alimentare delle popolazioni di quest’area pensando ad un rinnovato utilizzo. Gli studi si sono concentrati nelle pinete storiche di Ravenna dove sono stai selezionati due cloni di asparagina di pineta, moltiplicati e distribuiti per la messa in coltura nelle aziende agricole e agrituristiche; lo studio si è esteso ai pinoli; alla rosa canina; all tartufo bianchetto di pineta; alla rucola delle dune; al raperonzolo; alla salicornia. Inoltre sono state valutate alcune vecchie varietà, tra cui il melone Rampichino e il cardo gigante di Romagna.

 

Sorta nel 1929 per promuovere  il miglioramento delle produzioni agricole grazie allo studio e la sperimentazione di tecniche idonee, oggi l’azienda agraria “Mario Marani” di Ravenna, è in gravi difficoltà economiche e rischia di non potere proseguire la sua pregevole attività di ricerca,in particolare sul “selvatico di pregio”.

Un’attività documentata nel bel volumetto Prodotti tradizionali spontanei, coltivati e selvatici di pregio del delta ravennate scritto dall’enologa con laurea in agraria e viticoltura Marisa Fontana e dal direttore della Marani Lamberto Dal Re. Il progetto era sostenuto da Delta 2000 Gal, da fondi europei e dalla Regione. «Quando la fame e la miseria erano tutt’uno – scrivono Marisa Fontana e Lamberto Dal Re – la conoscenza e l’utilizzo dei selvatici erano fondamentali per sopravvivere e la Romagna era attraversata tutta da un popolo di raccoglitori esperti che a livello locale conoscevano perfettamente la bontà organolettica e le proprietà curative delle piante presenti.

Questo popolo di raccoglitori, però, aveva come erede il popolo delle merendine, quindi molta della conoscenza orale di queste persone è persa o si sta perdendo: difficilmente chi ha a disposizione il superfluo cerca di imparare la sopravvivenza alimentare».

Divisi e schedati i prodotti di pineta sono stati testati per verificare le attitudini colturali delle varietà, le tecniche di coltivazione più idonee e la qualità organolettica. Così è avvenuto per L’asparago San Vitale (asparagus tenuifolius), fine di sapore gentile e per il “Bardello” (asparagus marittimus) più rustico e dal sapore pungente. Per i pinoli, soppiantati sul mercato da quelli cinesi, frutti di qualità decisamente inferiore rispetto al pinolo mediterraneo. E poi il raperonzolo dal fiore molto comune in pineta, ma più noto per la celebre fiaba dei fratelli Grimm, utilizzato nella medicina popolare, per le foglie e la radice presenti anche in cucina  in insalate, zuppe e minestroni. Del tutto particolare poi la ricerca sulla Salicornia o asparago di mare, dai germogli teneri mangiati crudi o lessati o conservati sott’olio o sotto aceto. Un’attività condotta sulla salicornia delle saline di Cervia per capirne le proprietà, utilizzo e coltivazione. E così per la rucola delle dune o selvatica, per il cardo gigante di Romagna, per la rosa canina e per il tartufo bianchetto e anche per il melone rampichino di Bagnacavallo.

Una foto satellitare della Marani lungo la via Romea

Foto satellitare dell’azienda

Prodotti e ambienti citati nell’ Istoria civile e naturale delle pinete ravennati del conte Francesco Ginanni, opera scritta nel 1774.
Un lavoro benemerito quello di Dal Re e Fontana che ha visto la partecipazione anche dell’associazione “Cheftochef emiliaromagna-cuochi” che ha coinvolto alcun nomi della ristorazione romagnola nella scoperta di inedite applicazioni dei prodotti locali e selvatici di pregio. Dagli asparagi secondo Silverio Cineri dell’omonimo ristorante di Faenza, ai cardi con i cappelletti di Fabrizio Mantovani del ristorante Fm con gusto di Faenza; al melone rampichino dello chef Mattia Borroni del ristorante Alexander di Ravenna; ai pinoli nella torta tenerina al cioccolato di Mauro Gualandi dell’omonima pasticceria di Argenta; fino all’insalata di raperonzolo dello chef stellato Vincenzo Camerucci del ristorante Camì di Savio;  alla vellutata di rosa canina di Massimo Piraccini di Chefservice; ai tortelli con rucola selvatica di Daniele Baruzzi del ristorante Insolito di Russi; alla salicornia e cefalo “dello chef per caso” ma “non a caso” Nicola Bombardini.

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