Dal palazzo alla palazzina

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Veduta dell’albergo Cappello

Palazzo Bracci, poi Casa Minzoni e oggi Albergo Cappello, conserva importanti elementi architettonici di età veneziana. Secondo la tradizione era qui ubicata una residenza polentana in cui sarebbe nata  Francesca da Polenta, ma è probabile che Francesca, figlia di Guido Minore da Polenta, fosse cresciuta nella casa vicino a porta Sisi, (vedi Trovacasa Premium n. 92 – Agosto-Settembre 2014, “I da Polenta ritornano al loro castello”). L’edificio quattrocentesco sorgeva sopra un terreno di proprietà del Monastero di Classe concesso “a livello” nel 1431 a Maddalena Gualdoni fino al 1456.  In questo periodo vi soggiornò con la famiglia lo storico e umanista forlivese Biondo Flavio. Il palazzo passò poi a Giovan Francesco Bracci, figlio di Bertuzzo, dottore in legge,  vicario di Ostasio da Polenta e nominato conte palatino dall’imperatore Federico III (1469).  Alla sua morte subentrò Paolo e la casa fu ristrutturata,  «forse da Lucrezia Malatesta (1481)», come scrive Gianfranco Andraghetti nel suo stradario storico di Ravenna.
Siamo in pieno periodo veneziano e su quella strada che portava alla rinnovata Piazza, all’angolo con il vicolo di San Michele in Africisco (ora vicolo Casa Matha), si sviluppa la bella dimora dalle linee architettoniche che si “aprono” al Rinascimento.
In seguito appartenne ai figli del cavalier Marcantonio di Giovan Francesco, il conte Girolamo (1518) e Maria (1533).
Nel tempo, fu poi l’abitazione dei Maioli Prandi e, infine, dei Minzoni, che la tramutarono in Albergo (1885) gestito da Pietro, detto Piron d’e Capèll, e Giuseppina Gulmanelli, genitori di don Giovanni Minzoni, il sacerdote ucciso dai fascisti ad Argenta il 23 agosto 1923.

Il Rinascimento ravennate
risplende dei bianchi marmi d’Istria.
Abitata da personaggi famosi,
la residenza polentana adiacente
a San Michele in Africisco, passò di mano – dai Bracci ai Maioli Prandi finchè Piron d’e Capèll dei Minzoni
la trasformò in albergo: arrivarono con
 i gran tour ospiti anonimi ed illustri.
La Palazzina Diedo, fatta costruire
dal podestà Francesco Diedi,
dal Quattrocento resiste allo scorrere del tempo e alle “orde assassine
dei Rasponi”. E resta un altro degli splendidi esempi di architettura veneziana sopravvissuti a Ravenna.

Nella ristrutturazione ottocentesca le quattro finestre del pianterreno lasciarono il posto a tre  ampi portoni; i lavori non rappresentarono soltanto una sbrigativa e incauta  modernizzazione poiché furono riportati alla luce  arabeschi del Cinquecento.  Prima della trasformazione d’uso, da una porta si accedeva all’ufficio dei “veglianti di Annona e Grascia” (istituito all’inizio dell’Ottocento) che successivamente  presero il nome di guardie municipali (1873).

Due foto d’epoca del Palazzo Bracci poi Albergo Cappello (a sinistra, quando non era ancora stato edificato il Mercato Coperto) e della facciata con l’ingresso della Palazzina Diedo

È curioso notare come i vigili urbani, nel secondo dopoguerra e fino agli anni Ottanta, avessero il loro Comando nella stessa via IV Novembre, poco più avanti verso la Piazza.  La strada in quei tempi era “il ventre di Ravenna”: davanti all’Albergo Cappello, attivo fino al 1984, dèmodè ma affascinante con il suo ingresso adornato di grandi vasi contenenti piante a foglia larga, c’era il Mercato Coperto con una delle tre entrate dalla quale uscivano profumi di formaggi e salumi.  Adesso, a fianco del rinnovato Albergo Cappello, da una vicina bottega di spezie, altri aromi si sprigionano.

La Palazzina Diedo col balconcino e la finestra a bifora

La “storica” rivendita di frutta e verdura “dell’Edvige” resta a testimoniare il passare del tempo, con le primizie in bella mostra, nei toni del verde così cari ad Edvige Pilotti: repubblicana storica e “commerciante azdora” d’altri tempi.  L’attività è passata a Caterina Rosetti, affiancata dalle figlie Chiara e Cristina, che tiene alta immagine e qualità.
L’albergo è stato acquistato da Raul Gardini fu sottoposto ad importanti restauri (conclusi nel 1993) che hanno riportato l’edificio agli antichi splendori: le 24 stanze dalla mobilia datata, si sono ridotte a sette, confortevoli e bellissime.  Durante la ristrutturazione sotto intonaci e strati di pittura, sono stati rinvenuti affreschi del XV e XVI sec. I cicli pittorici più importanti sono al piano nobile,  dove si sviluppano alcune sale e due stanze per gli ospiti, “Verso il blu” e “Sogno amaranto”.  Gli ambienti riportano ai tempi passati, in un succedersi di scene di caccia e decorazioni di gusto tardo rinascimentale,  con predominanti cromatiche: Salotto Blu, Salotto Rosa e l’ampio corridoio che porta al balconcino in pietra d’Istria a colonnine con due pigne angolari,  sostenuto da eleganti mensole ricurve.
L’Albergo Cappello è sempre stato al centro della vita cittadina, frequentato nel passato da illustri viaggiatori e letterati.  Alla fine del 1948, in una sua sala, si tenne una riunione che avrebbe portato alla costituzione del Rotary Club Ravenna.
Oltre la Piazza, seguendo la veneziana strada del Ponte Coperto, ora via Cairoli (Pal serrato), si giunge in breve all’antica via dell’Arcivescovado, poi Romolo Gessi, infine Raul Gardini. Su questa strada, a fianco del palazzo Guiccioli Baronio sorge una distinta ed essenziale costruzione: è la  rinascimentale Palazzina Diedo, uno degli edifici più belli del periodo veneziano.Caratteristici il balconcino in pietra d’Istria e la porta a bifora.  La cornice del portone reca l’arma della famiglia veneta Diedi (in origine Deusdei o Deusdedit), che si trasferì a Ravenna durante la signoria di Venezia. Francesco Diedi, dotto in filosofia e diritto, fu nominato podestà di Ravenna nel 1474.

Nelle tre foto in alto particolari del balconcino della Palazzina Diedo /In basso da sinistra: particolare del cornicione e del camino; il soffitto ligneo all’interno dell’Albergo Cappello; l’angolo fra le due vie dove sorge la palazzina

Un secolo dopo, la Palazzina fu teatro di un efferato crimine commesso dagli uomini del sanguinario Girolamo Rasponi.  Costui mosse alla volta di Ravenna dalle Torri di Savarna alla testa di cinquanta sgherri che assalirono casa Diedi alle tre di notte. I colpi d’archibugio, di spada e pugnale uccisero la nipote di Girolamo Rasponi, Susanna, incinta del secondo figlio. Suo marito Bernardino, ferito, si gettò da una finestra e fu finito dai sicari in strada.  Il fratello Antonio, si salvò poiché era finito sotto il corpo di un familiare. La figlia di Susanna e Bernardino Diedi fu salvata dalla nutrice. Scappando dalla città i banditi intimarono a chi s’affacciava di ritornare in casa, sparando all’impazzata: colpirono a morte Cristoforo, padre del poeta Giulio Morigi. Gli autori dell’orrenda strage, alla quale non scamparono neppure i gatti di casa Diedi, furono catturati e squartati vivi.

Girolamo Rasponi fu condannato all’esilio. L’orrenda vendetta di Girolamo allungò la scia di sangue lasciata a Ravenna dai Rasponi nel Cinquecento e la casata non riuscirà mai a cancellare la memoria assassina della sua ascesa.
La palazzina creduta maledetta e infestata da fantasmi,  restò abbandonata per molti anni. Venne poi usata come magazzino fino al suo acquisto da parte dei confinanti, i nobili Baronio, che la restaurarono nel 1878.  Lo scrittore francese Édouard Rod prese alloggio nella casa, dove scrisse L’ombre  s’ètend sur la montagne, pubblicato a Parigi nel 1907.
Ereditata dai Rasponi Bonanzi, fu acquistata dalla famiglia Ravaglia e quindi passò a Maria Ravaglia in Gueltrini, nipote di Elisa Rasponi. Il figlio, il dottor Sergio Gueltrini, l’ha fatta ristrutturare verso la fine del secolo scorso.  Nell’ampio atrio, in cui appaiono mensoline rinascimentali, la scala (in origine posta nel cortile come in molte case venete dell’epoca) porta ad un’ampia sala,  con mobili e quadri di pregio.

 

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