Elogio della strada stretta, pavé sconnesso, zeppa di bici

Serena Simonijpg03Serena Simoni • Ravennate, è docente di Storia dell’Arte
La sua prima formazione si è orientata alla realizzazione di cataloghi e mostre di arte contemporanea, collaborando con riviste specializzate del settore (“Tema Celeste”, “Flash Art”). Pubblicista, scrive per riviste settimanali articoli di arte, cultura e società.
Ha svolto ricerche e catalogato materiale antico a stampa per l’Istituto dei Beni Culturali dell’Emilia Romagna e partecipato a convegni, indirizzando lo studio verso l’arte del ‘500. In collaborazione con l’Università di Bologna, dove ha insegnato come professore a contratto presso il Dipartimento di Arti visive, si è inoltre occupata di didattica disciplinare e del rapporto fra arte e identità di genere. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni fra cui si segnala il recente saggio su La Colonna dei Francesi (Ravenna, Longo Editore, 2014). Con il testo Spigolando ad arte (Ravenna, Fernandel, 2013), uscito come rubrica sul settimanale “Ravenna & Dintorni”, ha vinto il premio Guidarello. Su Casa Premium cura una sezione di storia dell’arte e critica d’arte.

1 –    La città delle parole

Anche le parole costruiscono le città: Venezia non sarebbe la stessa senza Josif Brodskij, così Berlino si trasforma grazie a Walter Benjamin quanto Lisbona è in debito verso Pessoa. Ravenna non ha ricevuto che accenni e le parole dei grandi scrittori e artisti qui di passaggio si sono orientate soprattutto ai monumenti e alla sua storia.
Nel vuoto, le brevi parole degli abitanti – rigorosamente anonimi – hanno preso il loro spazio sui muri della città: se avete almeno 40 anni potreste ricordare quel fatidico “Peppino vola al cinema” tracciato sulla base della fontana di Marina di Ravenna, il cui motivo sfugge ancora a tutti, tanto quanto la sorpresa fu invece condivisa.
Meno nonsense e più frutto di quella salace ironia romagnolaccia è invece “Alé! Svegna in ‘tla muraja” (Alé! Picchia duro sul muro, ndr. ), scritta a fronte di una infida curva a gomito su Via Antico Squero, a fianco del Candiano. Un monito a rallentare secondo lo squisito dettato vernacolare, coperto varie volte e ricomparso regolarmente durante ripetute nottate. Definitivamente cancellato con l’abbattimento della parete su cui compariva grazie all’apertura della nuova strada, risulta ai più indimenticabile.

Serena Simonijpg04 Via Antico Squero a Ravenna (foto da web)

2 –    Il grande collezionista

Bisigole, cavallucci marini, legni contorti, ossi di seppia, ostriche senza perla: è quello che si poteva vedere in acqua e sulla riva di ogni giorno d’estate quarant’anni fa, mentre i nonni insegnavano con poche parole a individuare i segni delle vongole da pescare. Non ricordo chi mi ha raccontato poi che prima della grande guerra a Marina si poteva vedere una piccola colonia di foche monache (possibile?!).
Gli anni ’70 ci hanno regalato chiazze di catrame da togliere con la nafta, giocattoli interi o a pezzi, boe, ciabatte spaiate, parti di reti, bottiglie di vetro o plastica, rifuti di ogni tipo talvolta lanciati da aereoplani con striscioni pubblicitari. I segni di un’epoca attraverso i suoi resti, ripuliti dalle maree e disposti secondo una scansione da scavo archeologico.
Dopo il parziale disinquinamento del litorale, la pulizia costante della riva nel periodo della stagione balneare interrompe lo scorrere del tempo: occorre aspettare la bassa stagione e il freddo per recuperare attraverso i reperti buttati in riva dal mare un filo di un racconto che è storico, ma apre anche spiragli sui privati. Non è un cercatore d’oro chi passeggia sulla riva d’inverno, ma solo uno storico, un nostalgico, un voyeur o un poeta.

Lido Adriano – Il grande collezionista di Valeria Botrugno/Marina Romea – 7 Dicembre 2014 di Gian Marco Molducci/ Lido Adriano – Il grande collezionista di Valeria Botrugno

3 –    Chi viene e chi va

Molti di noi non riescono tuttora ad accettare lo sviluppo urbanistico e architettonico di Marina di Ravenna: nonostante la generosità del tempo, rimane inadatto e fuori scala l’intervento di Marinara, pesante e cupa la sede del centro civico, del tutto imbarazzante l’arredo disneyano dei contenitori per i rifiuti – tipo salvadanaio gigante dipinti di verde bandiera – lungo il viale centrale (e che importa la giustificazione del famoso designer che li ha inventati? … ogni oggetto vuole un contesto adatto).
In più, rappresenta un’asfissia mentale l’idea del permesso di costruzione di un grattacielo al posto dell’ex Xenos: “un cavolo a merenda” dicevamo da bambini, per indicare qualcosa che non c’entrava nulla-nulla-nulla con quello che c’era. Di nuovo il contesto, ma a quanto pare interessa solo ai bambini.
Una città è fatta di cambiamenti, è vero, ma anche di parole, di persone e vita. Cosa rimane di vitale nella capitale in declino della movida anni ’90?
Molti ravennati non hanno mai rinunciato alla passeggiata sul molo di Marina che – per quanto raddoppiato in piazza d’arme – riesce ancora a legare il chiacchiericcio sommesso dei pescatori alle attese dei passanti, dove navi enormi ogni tanto passano per il Candiano, causando uno sbalzo nel cuore che fa alzare il braccio al saluto.

4 –    La strada di Peynet

I fidanzatini di Raymond Peynet si incontravano quasi sempre all’aperto, fra alberi, fiori o seduti su una panchina. La versione ravennate dell’incanto amoroso degli adolescenti ha come sede privilegiata via Galla Placidia, la strada che corre lungo la cancellata del complesso di San Vitale.
Luogo prescelto per gli appuntamenti delle giovani coppie di innamorati, è stato definito “romantico” anche dagli adulti, anche se non lo frequentano nella veste di amanti maturi.
Di questa strada è interessante il fatto che per tacito accordo sia stata lasciata ad uso delle giovani coppie. Altrettanto piacevole è che l’elezione a luogo di promesse sia avvertito in modo transgenerazionale.
E dunque, quali sono le cause di una romantica percezione comune a grandi e piccoli, per un luogo senza panchine, né alberi o anfratti? Forse la protezione presunta della cancellata o l’ombra dei monumenti che sorvegliano come numi tutelari le coppiette, senza impegnarli in corsi di storia? Un contributo sembra venire dal pavè, consunto dal passaggio dei passi di molti. Forse il silenzio e la luce discreta, a sera, complice un’illuminazione artificiale non bianca o accecante, ma morbida, calda, come nel centro di Parigi.

5 –    Vista in sospensione

Merita una passeggiata la passerella inaugurata a maggio e sospesa sopra le dune davanti alla vecchia colonia fra Marina di Ravenna e Punta, costruita per preservarne il paesaggio (o quel che resta). Personalmente, devo ad una lezione di gruppo di tanti anni fa tenuta da Nicola Merloni –  docente del Liceo Scientifico di Ravenna – il chiarimento sulla delicatezza di questa tipologia di ecosistema, in cui una grande varietà di piccole piante radicano a fatica e crescono poco e lentamente, fornendo un apporto fondamentale alla tenuta delle dune, alla tutela della pineta retrostante e al mantenimento del litorale.
Fino a pochi anni fa, nel momento del boom di Marina, centinaia di passaggi a piedi da un happy hour all’altro oltre al parcheggio sulle dune di Suv e Land-Rover – stile Indiana Jones – lasciavano poca speranza al­l’ultima porzione di paesaggio naturale della costa ravennate.
Scongiurata la costruzione di un megabagno forse più per problemi economici-contrattuali che per le risentite proteste dei cittadini e degli ambientalisti, si è passati ad una linea ecologista. Il progetto è stato eseguito in legno di larice, rispettando criteri di tutela ambientali ed estetici (non tutti concordi), il che non è sempre detto dalle nostre parti, dove si sono già abbattuti alberi “perché fanno le foglie e poi si devono pagare gli spazzini”.
Un unico dubbio ci assilla: ma se questo progetto è pagato da ENI per compensare il territorio delle estrazioni di metano fatte al largo, e se – pare – le estrazioni sono una delle cause principali della subsidenza e della erosione della costa, non è che una mano toglie ciò che l’altra dà?

Canale a Marina di Ravenna – Chi viene e chi va di Valeria Botrugno/ Via Galla Placidia a Ravenna (foto da web)/ Passerella sulle dune a Marina di Ravenna (foto da web)

6 –    La città in rete

Fra le prove di candidatura 2019 che si sono susseguite è da segnalare il Festival della Street Art che ha coinvolto writers e muralisti di livello internazionale per operare in alcune zone della città fra cui la Darsena e la zona Stadio. Alcuni interventi hanno suscitato delle polemiche in difesa dell’architettura, brutalizzata – si è detto – dagli interventi.
Non entro nel merito della querelle fra tutela dell’architettura d’autore, libertà di espressione dell’arte di strada o legittima disponibilità dei proprietari sui loro immobili (il discorso si farebbe lungo), ma – dimenticando per un attimo gli edifici su cui si trovano i murales – circoscrivo l’incanto che producono questi lavori. Piacciono per l’allegria che comunicano, la sorpresa che suscitano, il messaggio che incorporano. Millo, ad esempio, sulle pareti dell’Istituto Tecnico Industriale, dipinge il rapporto fra gli adolescenti e la città: due giovanissimi giacciono distesi in mezzo ad un intrico di case e strade, in connessione telefonica con la città contrassegnata dai markers di Google Maps. Il nuovo mondo.
Ma dove si possa o non si debba intervenire è un bel dilemma: lasciar perdere gli edifici storici, belli o brutti che siano, e limitarsi a pareti di edilizia minore e a non-luoghi, zone franche che Marc Augé una volta chiamava “non-luoghi” (come il sottopassaggio della stazione)?
Lasciare integre le stratificazioni storiche interrogandosi sui confini della salvaguardia o pensare al tempo che trasforma, se pure con una leggerezza reversibile?

7 –    Disneyland

Fa ormai parte del tessuto commerciale ravennate e occupa lo skyline di chi transita sull’Adriatica in direzione Rimini, appena superata la città: lì c’è Finisterre, la Tellus mirabilis – terra meravigliosa – che incarna il superamento della vocazione agricola del nostro territorio verso il divertificio fatto di giostre spaziali, onde finte, spiaggie riportate, zoo-safari, scivoli giganti.
Rimini über alles, con buona pace del profetico Tondelli.
Tutti coloro che non frequentano il posto rimangono comunque colpiti dalla grande ruota panoramica che sovrasta la campagna: il cuore di panna lampeggia fin dalle prime brume, evidente per quasi quattro stagioni.
Numerosi artisti hanno scelto la ruota come soggetto del proprio lavoro o simbolo del territorio: Moira Ricci la usa come sfondo per una delle cartoline della serie-progetto Saluti da Ravenna (2012) – ironico remix anni ’60 – mentre Marco Neri la isola in alcuni fantasmatici dipinti che restituiscono la malinconia del grande gigante nel nulla, una poetica metafora dell’orizzonte dei criceti.
Ringrazio lo sguardo degli artisti e dei non abitanti, perchè ci indicano spesso ciò che siamo quasi impossibilitati a vedere.

8 –    Del passato, ai margini

Su consiglio di un amico giornalista, torno sulla questione della Colonna dei Francesi, non come monumento in sé, ma come esempio del vuoto di senso e conseguentemente di progetto che molti monumenti minori rischiano di correre (come ad esempio la Torraccia nella Marabina). Inutile ricordare quale potrebbe esserne l’esito.
Nata a ricordo della battaglia del 1512 e della pace raggiunta fra i guelfi e i ghibellini ravennati nel 1562, quando probabilmente venne eretta, è stata ricordata e dimenticata più e più volte, cambiando di senso a seconda dell’epoca: dimenticata la funzione originaria, nel ‘600 e nel ‘700 diventa meta del Grand Tour per intellettuali stranieri in visita al luogo della morte del principe Gaston de Foix. All’arrivo dei napoleonici viene abbattuta dai ravennati in quanto simbolo francese, per paura di ritorsioni da parte degli invasori. In epoca romantica, viene cantata dai poeti come luogo dove il sangue del mitico eroe caduto si mescola all’abbandono del posto e alla fragilità della memoria umana. Nel secondo Ottocento è solo un segnacolo storico della battaglia, mentre nel Ventennio viene sarcasticamente ricordata dai fascisti in funzione antifrancese. Un senso su misura per quattro e più stagioni, senza che nessuno ricordi in modo continuativo che si tratta (anche) di un’opera d’arte: minore rispetto ai monumenti Unesco, ma sempre importante.

Murales di Millo sulle pareti dell’Itis di Ravenna  (foto di Alberto Giorgio Cassani)/ Cartolina Souvenir da Mirabilandia di Moira Ricci , Osservatorio fotografico, 2012 / La colonna dei Francesi in una foto degli anni ’70

9 –    In difesa della botanica

Dimenticate Pamela Anderson e quel connubio fra sogno erotico, spiaggia, fiesta perché non esiste, almeno non negli USA. Santa Monica, la baia dove è stato girato Bay Watch, possiede sì una spiaggia lunga diversi chilometri e lambita da palme altissime, ma non ci sono lettini, né ombrelloni, né bar. La gente scende in spiaggia con un telo da stendere per terra e amen. Se la California sembra un incrocio fra il Parco naturale dell’Uccellina e un resort per surfisti e pensionati, da dove salta fuori la movida costiera che colpisce tutta Europa? Anni fa l’autorevole Times stilava la classifica delle spiagge più “in” mettendo al primo posto il Maki Hotel a Turkbuku, in Turchia, un luogo talmente lussuoso in cui si spende solo perchè si inala aria fatto di luci soffuse, legno, contrasti di bianchi e palme gigantesche. Secondo posto al Turquoise di Rimini: bagno composto da grandi quadratoni tipo monopoli, con lettini, tre bar e piste per ballare. Di nuovo legno, luci verdi e rosa, divanetti bassi e  … palme. Più giù il Bloomingdale in Olanda che ha sedie in legno, divanetti color grigio e naturalmente uno spruzzo di palme, qui un po’ meno sviluppate, oltre al Nassau di Ibiza  – teatro di sfilate osé in passerella e grandi feste a tema – il cui arredo è di legno, con luci soffuse e divanetti-bandiere-sdrai bianchi. Immancabili le palme. La formula ricorda un vecchio giochino da computer che si intitolava Beach Life in cui si costruiva un pezzo di spiaggia comprando alberghi, bar, discoteche e palestre, piccole torri da bay-watcher, piscine, lettini e servizi. Il giocatore poteva creare feste, vendere alcolici e monitorare il grado di soddisfazione dei clienti come un grande fratello. Difficile dire che colori avessero gli arredi – posso immaginare molto bianco, tanto legno, qualche bandiera – ma sono certa che si potevano comprare tante palme.

10 –    L’angolo

Ci sono luoghi in cui precipita il senso della nostra relazione personale con la città in cui viviamo. Non è detto che sia un luogo famoso, né bello, con monumenti illustri o negozi di lusso: quello che rimanda un luogo è il legame con quello che facciamo e che siamo, quello che segnala l’appuntamento con noi stessi.
La strada che mi piace – dedicata a Carlo Matteucci, scienziato forlivese e per un periodo farmacista dell’ospedale di Ravenna – è insignificante sotto vari punti di vista. Addirittura scomoda per chi deve passare, piena come è di biciclette messe in modo da costringere a slalom e imprecazioni.
Eppure mi è cara per la sua dimensione ridotta, la pavimentazione sconnessa e la costante presenza di giovani che vanno a studiare o semplicemente ad incontrarsi in Classense, la cui facciata si erge austera a chiudere la vista.
Ravenna è in queste presenze, nelle biciclette ammucchiate, nelle scritte sui muri, nei verdi giardini che si indovinano dietro, tanti ma nascosti agli occhi dei passanti.

11 –    Cinema

Circonvallazione esterna Ravenna per andare al multiplex: ok, ci andiamo se il film imperdibile lo proiettano solo lì. Va detto fuori dai denti che un bel numero di ravennati non ama andare al Cinema City, che pure è ormai meta obbligata per molte famiglie e orde di giovanissimi.
Cosa non va nel mega complesso ormai parte integrante e significativa della periferia urbana ravennate? Risposta: assomiglia molto ad un grande centro commerciale e poco a un cinema sia dal punto di vista estetico che funzionale, il sabato e la domenica è impraticabile, la pubblicità è tanta da disgustare anche una multinazionale (ma questo non c’entra con gli spazi).
Si sente l’assenza di cinema a misura d’uomo, quelli da raggiungere in bicicletta: tutti scomparsi o trasformati in ristoranti ad eccezione di due. Un unico è sopravvissuto in periferia, con la sua massa sgraziata anni ’70 che ha resistito al restyling più recente, il suo biancore appariscente, la megascritta sulla sommità, così rassicurante negli inverni nebbiosi di Via Trieste.

Spiaggia a Marina di Ravenna – Totobeach di Arianna Sansavini/ Via Carlo Matteucci a Ravenna di Gian Marco Molducci/Cartolina Astoria di Cesare Fabbri

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