La contea di Giaggiolo antico avamposto ravennate fra Bidente e Savio

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Il paesaggio, aspro e selvaggio fra crinali e calanchi

Itinerari sui sentieri e le strade traverse della storia.
I pedaggi perduti di Paolo Malatesta

«I percorsi più naturali, utilizzati quasi istintivamente fin dai primordi della civilizzazione, sono quelli
di crinale: a partire dal crinale appenninico, vero
e proprio spartiacque fra la Romagna e la Toscana, che rappresenta uno dei tratti più significativi della dorsale che si distende da nord a sud lungo l’intera penisola. Questo percorso, utilizzato già in età paleolitica, è stato per millenni la più importante via di comunicazione per le popolazioni che migravano da una regione all’altra dell’Italia. E in epoca storica se ne sono certamente serviti i pastori che dalle aree montane romagnole portavano le greggi a svernare
in Maremma; o i boscaioli che a dorso di mulo trasportavano il legname fino ai passi montani,

e da qui ai centri abitati di fondovalle».

Giordano Conti in Identità e territorio. La Romagna,
Bononia University Press, Bologna 2016

 

Le memorie di transiti e spostamenti umani, nell’Appennino romagnolo, si perdono nella notte dei tempi.

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Scendendo dal crinale appenninico, il passaggio dal castello di Giaggiolo è “obbligato” anche oggi!

Alcuni sentieri si consolidano e già nell’ultimo millennio prima di Cristo, ai tracciati che corrono sui crinali si affiancano itinerari di vallata, non meno impegnativi per i continui passaggi sugli affluenti che scendono al fiume principale da seguire ai suoi lati,  ora sulla sinistra orografica, ora sulla destra.
Tutti questi percorsi scendono a “pettine” verso la pianura e là dove incontrano la pista pedemontana, dal II sec. a. C. la via Emilia, costituiscono i principali nuclei d’insediamento territoriale.
Si sviluppano così, i siti di Curva Caesena (Cesena), Forum Populi (Forlimpopoli), Forum Livii (Forlì), Faventia (Faenza) e Forum Cornelii (Imola).

Queste città assumono tutte funzioni di coordinamento anche rispetto al territorio pianeggiante che viene colonizzato e appoderato, attraverso un’intensa attività di trasformazione e bonifica chiamata “centuriazione romana”.
Gli assi centuriali, prima del 187 a.C. (anno di costruzione della consolare Emilia), sono orientati ad caelum poi, a partire dall’Agro Forlivese verso ovest vengono impostati sull’asse della grande strada romana, che corre da est-sud est a ovest-nord ovest.

Il paesaggio romagnolo appare diviso in due parti: l’Appennino montuoso e collinare e la pianura, che un intenso lavoro dell’uomo ha privato del bosco, sostituito da una fascia agricola, coltivata in pre­valenza a cereali, che si spinge verso i ristagni acquidosi a ridosso del litorale.
Affacciandosi al colle Garampo, dove ora si erge la Rocca Malatestiana di Cesena, o sull’altro “promontorio” occupato da Bertinoro, un viaggiatore dell’epoca di Cesare avrebbe potuto ammirare i segni della potenza di Roma nella divisione territoriale, con la poderosa strada che corre verso la Gallia a marcare un confine geografico, facile da identificare anche oggi.

In quello schema, l’impianto antropico realizzato con la colonizzazione romana, era ben più ordinato e facile da controllare rispetto agli itinerari transappenninici di crinale e di vallata, che consolidavano primordiali transumanze e cammini dall’Italia centrale alla Pianura Padana.

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La Rocca di Giaggiolo si erge possente a 500 metri di quota sul livello del mare

I più antichi percorsi di crinale, in posizione elevata, che scendono verso la pianura, solitari e discosti dai fondovalle soggetti a frequenti controlli e pedaggi, tornano in auge nel Medioevo.
Dalla Toscana alla Romagna, ci si sposta caricando merci a dorso di mulo, utilizzando più l’asino, umile e frugale rispetto al cavallo, potente ma meno a suo agio su questi sentieri accidentati.
La conformazione di questo territorio ha favorito la diffusione di piccoli centri di coordinamento, affidati a famiglie nobiliari, titolari di feudi che accrescono il loro potere schierandosi, ora con la Chiesa, ora con l’Imperatore.A movimentare questo quadro politico capace di repentini cambiamenti, continua la forza dell’Arcivescovo di Ravenna, che non accenna a declinare neppure con l’inizio del secondo millennio.
I mercanti e i pochi viaggiatori si spostavano utilizzando itinerari tortuosi, al fine di passare per “terre amiche” e cercando di evitare cattivi incontri ed esose gabelle.

Anche le più importanti famiglie nobiliari dovevano fare i conti con questa realtà, impostando, per viaggi e spostamenti, un “ruolino di marcia” adeguato. Favori e regalie a volte permettevano di ottenere vantaggi e veloci “lasciapassare”. Ad ogni buon conto, era meglio transitare attraverso i propri “posti di blocco”:, torri e castelli situati in luoghi strategici, alti sui crinali e sulle selle, lontano dai borghi di fondovalle: dove c’era più traffico, i viandanti quasi sempre, camminavano senza some e senza somme!

Abbondavano nelle città trattorie e locande con stallatico, attorno ai loggiati si aggiravano prostitute e ladri pronti a saltare addosso a quelle prede esauste per i disagi del viaggio.
L’Arcivescovo di Ravenna che spinge i suoi presidi verso la dorsale appenninica romagnola anche dopo l’anno Mille, controlla abbazie, torri e castelli. Uno di questi, si erge solitario fra le valli del fiume Bidente e del torrente Borello, sopra una cresta che si allunga stretta fra due acque minori che ne scavano i fianchi: è il castello di Giaggiolo.
Giaggiolo vigilava sui traffici, alto su un crinale a poca distanza da Pieve di Rivoschio, che si trova sull’impervia strada di collegamento trasversale fra Civitella e  Piavola, sul torrente Borello che porta alla vallata del Savio.
Il toponimo Giaggiolo, molto probabilmente indica una derivazione da “gaggio”, nel senso diminutivo dal longobardo “gagi”: siepe. Passa poi al latino medievale ”gahagium”, terreno circondato da siepe. Così il Polloni, in Toponomastica Romagnola, (Firenze 1966).

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Il grande bastione ottagonale e la piccola chiesa parrocchiale

L’esistenza del fortilizio è documentata fin dal 1021, quando gli Arcivescovi di Ravenna, che ne detenevano la proprietà, lo affidarono a cinque fratelli ravennati, figli del nobile Rodolfo da Sigio. Dopo vari passaggi la contea di Giaggiolo fu concessa in feudo a Malatesta da Verucchio, il “Mastin vecchio” di dantesca memoria. Malatesta investì del titolo comitale il secondogenito Paolo, reso immortale con Francesca da Polenta nel V Canto della Divina Commedia. Siamo nella seconda metà del XIII sec. e la facile rendita dell’imponente torre può avere acceso l’ira del fratello Gianciotto più della gelosia nei confronti della moglie Francesca.
In una moderna visione processuale il delitto potrebbe avere avuto anche risvolti economici, ma lasciamo questa suggestione ai viaggiatori che oggi si inerpicano quassù. Il luogo, infatti, appare del tutto fuori dagli itinerari turistici, segno tangibile del passare del tempo.
Nel 1371 il cardinale Anglic de Grimoard riporta di un Castrum Glagioli che comprendeva la rocca e il palazzo, con 26 focolari.
Nel 1471, estinto il ramo maschile dei Malatesta, il castello passa ai conti, poi marchesi  Guidi di Bagno che utilizzarono il maniero come residenza estiva.
Inizia così la decadenza, come descrive mirabilmente Mons. Domenico Mambrini negli anni Trenta del Novecento: «Del castello rimane, in gran parte, intatta nel suo perimetro, la cinta alta e ferrigna. Questo rudero imponentissimo che di lontano sembra una grande nave abbandonata su uno scoglio fra le onde, in un mare immenso di valli contorte e di montagne altissime, affascina e conquide per le grandi memorie che rievoca, per i misteri che nasconde». (Mambrini D., 1935)

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L’interno della parrocchiale S. Maria Nuova in Giaggiolo, che appartiene alla Diocesi di Cesena – Sarsina.

Alla ricerca della villa di Teodorico

Per ulteriori approfondimenti, si può visitare  il Museo Civico Mambrini a Galeata in via Borgo Pianetto presso il rinascimentale convento dei Padri Minori.
Il museo si è arricchito nel corso degli anni di materiali provenienti dai siti archeologici galeatesi (città romana di Mevaniola e villa di Teodorico), dall’abbazia di S. Ellero e dalle chiese del territorio.

Contatti: tel.0543 981854 – mail: museomambrini@libero.it

 

 

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