Nel senso della partecipazione

Marina Mannuccijpg11Marina Mannucci • Negli anni ’70 ha svolto volontariato presso l’Istituto Cavazza per non vedenti e attività didattica per le comunità nomadi di Bologna. Capo Reparto per nove anni del Credito Italiano di Bologna, a Ravenna ha co-diretto per dieci anni la Scuola Materna e Doposcuola “il Girotondo”, realizzando laboratori didattici. Ha progettato, in collaborazione con il Sert, l’iniziativa “Giocare con l’arte”. Nel settore dei beni culturali – di cui è Tecnico della Conservazione – ha svolto attività di ricerca in Messenia e conferenze in collaborazione col prof. Andrea Emiliani (Facoltà di Beni Culturali). Ha coordinato il progetto dell’Asilo aziendale “Domus Bimbi” ed ha operato all’interno del Centro di Documentazione di Tuzla. È stata docente di Cittadinanza attiva presso Istituti secondari superiori. È coordinatrice del Circolo delle lettrici e dei lettori, in collaborazione con Ravenna Teatro. Fa parte del Comitato Rompere il Silenzio, del gruppo Rottama Italia ed è volontaria di Avvocato di Strada.
Nella rivista si occupa di temi riguardanti l’antropologia sociale e l’ambiente.

 1 – Ambientarsi

Nella primavera del 2015, i volontari di Skillshare Ravenna, Legambiente, Fiab, Associazione Naturista e Emergency, decidono di realizzare l’idea di Ermes Donati di piantare alberi lungo la pista ciclabile che parte da Ravenna ed arriva a Punta Marina. Dopo essere stati autorizzati dal Comune, hanno scavato buche, preparato il terreno e messe a dimora 80 piante. È stato poi avviato il progetto “A-Mare nel Verde”, per chiedere ai ciclisti, ai podisti che passano lungo la ciclabile di “adottare” una pianta e annaffiarla ogni volta che si trovino a passare di là, con un po’ d’acqua portata da casa o presa alla fontana lungo la ciclabile.

«Arrivato dove desiderava, cominciò a piantare la sua asta di ferro in terra. Faceva così un buco nel quale depositava una ghianda, dopo di che turava di nuovo il buco. Piantava querce. Gli domandai se quella terra gli apparteneva. Mi rispose di no. Sapeva di chi era? Non lo sapeva. Supponeva che fosse una terra comunale, o forse proprietà di gente che non se ne curava? Non gli interessava conoscerne i proprietari. Piantò così le cento ghiande con estrema cura. […] Ne aveva piantate centomila. Di centomila, ne erano spuntati ventimila. Di quei ventimila, contava di perderne ancora la metà, a causa dei roditori o di tutto quel che c’è di imprevedibile nei disegni della Provvidenza. Restavano diecimila querce che sarebbero cresciute in quel posto dove prima non c’era nulla».
Jean Giono, L’uomo che piantava gli alberi.

Jean Giono
L’uomo che piantava gli alberi
Milano, Salani, 2004

Tra i monti della Provenza un uomo solitario, all’età di circa 50 anni, inizia a piantare 100 ghiande al giorno con la speranza di veder nascere un bosco di querce. Le pianta in un suolo ed una terra che non gli appartengono ma da cui è semplicemente circondato. Dopo alcuni decenni, quel sito desertico e desolato si trasforma in un luogo pieno di alberi e di vita.

2 – Utopie frammentarie

La Darsena che vorrei, progetto partecipato del Comune di Ravenna svoltosi tra agosto e dicembre 2011, ha avuto come obiettivo di concorrere a delineare le linee guide del Piano Operativo Comunale (Poc) tematico, ovvero del piano urbanistico che avrebbe dovuto ridisegnare un’intera area cittadina storicamente dedicata all’industria e al trasporto marittimo e pian piano nel tempo abbandonata dalle produzioni.
La progettazione partecipata affonda le sue radici nel periodo che va tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo ad opera di Patrick Geddes. Nel suo Cities in Evolution (1915), Geddes teorizzava uno strumento di risanamento e pianificazione della città e del territorio in maniera ecologica, che avrebbe dovuto generare connessioni e com-prensioni tra i luoghi, la gente e ed il lavoro.
Alla luce di anni di sperimentazione è sempre bene tenere a mente alcuni rischi, o trappole, che l’applicazione della partecipazione ai processi di progettazione può comportare.
Due trappole di carattere generale sono (Paolo Fareri Rallentare, note sulla partecipazione dal punto di vista dell’analisi delle politiche pubbliche, paper non pubblicato, 1999):
•    la partecipazione “piace”, ma non basta mettere i soggetti attorno a un tavolo perché si produca magicamente una buona progettazione;
•    la partecipazione può essere facilmente manipolata, e strumentalizzata, a favore degli interessi specifici e impliciti dei soggetti più potenti di un setting partecipativo.
Un ambito partecipativo è normalmente caratterizzato dalla presenza d’interessi specifici e da un’ineguale distribuzione di potere e di conoscenze. Se ben condotto, il processo che scaturisce da tale contesto può corrispondere a un percorso di costruzione positiva del consenso che rimette in gioco e ridiscute profondamente gli interessi e i valori portati da ciascun partecipante. In una situazione così fluida il rischio “tecnico” è quello di accettare una visione “neutrale” del processo, mentre il rischio “politico” è quello di enfatizzare la partecipazione per presentare come condivise decisioni in realtà già prese altrove.

Luigi Zoia
Utopie minimaliste
Roma, Chiarelettere, 2013

Le “utopie minimaliste” sono obiettivi di buon senso per cui vale la pena lottare. Sono le domande dei cittadini che però restano inevase dalla politica. Sono l’ultima forma di resistenza al degrado non solo sociale e morale ma soprattutto delle nostre menti.

3 – Graffiti di un’umanità resistente

La Cooperativa Agricola Braccianti (Cab) di Mezzano (una frazione di Ravenna) decise, nel 1919, di fondare un teatro per i suoi soci e per tutto il territorio circostante – abitato perlopiù da mezzadri, contadini e braccianti –, per incontrare la cultura altrimenti molto lontana e affrancarsi così da una condizione di assoggettamento sociale e civile. I braccianti erano stati in prima fila e protagonisti nella bonifica delle terre attorno al fiume Lamone.
Nel 1918 i soci della Cab maturarono la convinzione di indirizzare i loro modesti guadagni verso il “ben-essere” delle loro vite, e individuarono due possibilità: case per i braccianti o teatro per il territorio. Nel 1919 l’assemblea dei 620 braccianti votò. Vinse il Teatro. E fu deciso di costruirlo accanto all’argine del Lamone, il fiume da poco domato.
Fra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, finita l’epopea bracciantile, il Teatro ha cessato la propria attività ed è stato dimenticato. Di fronte al rischio del suo abbattimento, il Teatro sottratto alle ruspe è stato salvato con un’azione d’interposizione civile ma attende paziente da anni la sua rinascita e restituzione al territorio. I braccianti di allora indicano la strada, “Lavoro Cultura Polis”, da costruire attraverso la partecipazione, come anche l’Europa sembrerebbe indicare. Recuperare, risignificare, riconvertire: dalla crisi alla partecipazione che progetta e “rimette al mondo”.

Tomaso Montanari
Privati del patrimonio
Torino, Einaudi, 2015

La religione del mercato sta imponendo al patrimonio culturale il dogma della privatizzazione. Ma se l’arte e il paesaggio italiani perderanno la loro funzione pubblica, tutti avremo meno libertà, uguaglianza, democrazia. L’alternativa è rendere lo Stato efficiente. Ma non basta: dobbiamo costruire uno Stato giusto.

 

Foto 1: Volontari, piccoli e grandi, del progetto “A-Mare nel Verde” (foto di Daniela Mingozzi)/Foto 2: Affissione dei ritratti fotografici dei cittadini che hanno collaborato alla Progettazione partecipata della Darsena di Ravenna (foto di Alberto Giorgio Cassani).  Foto 3: Particolare della parete ovest del teatro di Mezzano ,Ra (foto di Alberto Giorgio Cassani)

4 – Memoria, storia ed oblio

Nel 1737 viene modificato il corso dei fiumi Ronco e Montone che sono portati in un unico cavo, i Fiumi Uniti, che interrompe il canale Panfilio alla cui foce funzionava il porto Candiano. Il sito più idoneo per l’imbocco del nuovo porto canale è nella grande insenatura della Baiona, dove esiste un approdo alla foce dello scolo della città, la Fossina. I lavori di adattamento del porto Corsini inducono la Comunità e la famiglia Cavalli (titolari e gestori dei servizi sul porto) a costruire nuovi edifici e nel 1764 viene edificato il Casone di Sanità, noto in seguito come “Fabbrica Vecchia”, mentre nel 1881 i marchesi Cavalli erigono il “Marchesato”.
Dopo l’unificazione viene eretto un nuovo faro e la sede della Capitaneria di Porto che, in tal modo, lascia la Fabbrica Vecchia. Da allora quell’imponente edificio ed il Marchesato perdono le antiche funzioni e vengono adibiti ad alloggi per le famiglie di pescatori e braccianti (Breve storia di Marina di Ravenna di Pericle Stoppa).
Il Piano Operativo Triennale 2012-2014 dell’Autorità Portuale prevedeva il recupero ad uso pubblico della Fabbrica Vecchia e del Marchesato. Al ricevimento dei contributi statali per l’escavazione dei fondali, i risparmi derivanti dai ribassi d’asta, insieme ad altri contributi statali, sarebbero dovuti servire per gli interventi di restauro del complesso storico. Con il piano 2015-2017 è stato però deciso di rimandare l’intero recupero del complesso storico Fabbrica Vecchia e Marchesato all’esito della richiesta fatta allo Stato di utilizzo dell’otto per mille dell’Irpef; in mancanza di tale finanziamento, non sarà possibile dare corso all’intervento. Secondo il Comitato di salvaguardia della Fabbrica Vecchia e Marchesato, l’Autorità Portuale si è di fatto sottratta agli impegni presi.

Paul Ricoeur
La Memoria, la Storia, l’Oblio
Milano, Raffaello Cortina, 2003

Si parla di dovere della memoria di fronte a certi usi scaltri della strategia dell’oblio, grazie ai quali ci si impegna a non vedere, a non volere sapere, ad elidere la messa in questione del cittadino attivo e soprattutto passivo. In questo senso nei confronti di tale pratica dell’oblio il dovere di memoria significa il dovere di non dimenticare.

5 – Fino alla fine del mondo

Il 4 agosto scorso l’assessore all’Ambiente Alberto Bellini, alla guida delle politiche ambientali del Comune di Forlì dal 2009, così motiva le sue dimissioni: «Le idee e gli impegni assunti con i cittadini forlivesi su ambiente e inceneritori richiedono una condivisione con i livelli regionale e nazionale, condivisione che richiede obiettivi e tempi precisi. Come amministratore so bene quanto è difficile assumere scelte nette che vanno contro molte posizioni “storiche” o “controcorrente”. Tuttavia, l’attuale crisi ambientale e climatica non lascia spazio e tempo a mediazioni. Oggi l’inceneritore di Forlì è stato classificato come impianto di recupero energetico (R1) ex art. 35 “Sblocca Italia”, con parere contrario del Consiglio Provinciale, Sindaci e Amministrazione Comunale. Tale modifica prefigura la possibilità di aumentare la portata dell’impianto, trattare rifiuti speciali, e urbani extra-provinciali. Avevo un mandato preciso da parte dei cittadini forlivesi, mandato che ora non sono sicuro di poter rispettare. Come annunciato più volte, ritengo necessario un mio passo indietro».

Trashed
documentario, regia di Candida Brady
Festival di Cannes, 2012

Stiamo avendo un impatto ecologico sul nostro ambiente nella sua totalità. Ogni giorno buttiamo nell’ambiente cose che non si degradano. Jeremy Irons accompagna gli spettatori in un viaggio attraverso i cinque continenti per mostrar loro in che modo l’inquinamento sta mettendo sempre più in pericolo l’esistenza del genere umano.

6 – Manifesto per cambiare l’educazione

Edgar Morin, nel libro Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione, Cortina Raffaello, 2015, chiede che ogni università istituisca una cattedra di “comprensione umana”: sarebbe il luogo in cui prendere coscienza dei condizionamenti subiti, e che marchiano infanzia e adolescenza. La pratica inter/multi/trans-disciplinare proposta da Morin connette i saperi all’esigenza del ben vivere e di una vita buona; si tratta di sviluppare le proprie attitudini, trasformando le conoscenze acquisite in sapienza, in arte di vivere. Il compito dell’educatore è ancora quello che indicava Rousseau nell’Emilio: «Vivere è il mestiere che voglio insegnargli».  La virtù specifica del docente è la benevolenza, rileva Morin, quella che non deve mancare in chi dispone di autorità, una virtù che non si impone ma si diffonde, mediante un clima partecipe ed erotizzato. Di qui l’elogio dell’Eros, perché dove non c’è amore, ci sono problemi di carriera e di noia per l’insegnamento. Rimane l’antica domanda: “chi educa gli educatori?”. La risposta di Morin è che debbono auto-educarsi con l’aiuto degli educati, nel tempo in cui si aprono spazi di una democratizzazione della cultura. Al momento comunque non esistono meccanismi di formazione che certifichino il possesso di umanità.

7 – “Esistere ritualmente è far trovare”

«Ben vide Simonide o chiunque ne sia stato l’inventore che le impressioni trasmesse dai nostri sensi rimangono scolpite nelle nostre menti e che di tutti i sensi il più acuto è quello della vista. Per cui dedusse che la memoria conserva molto più facilmente il possesso di quanto si ascolta o si pensa quando le loro sensazioni entrano nel cervello con l’aiuto della vista. In questo modo la rappresentazione con immagini e simboli concretizza le cose astratte ed invisibili con tanta efficacia, che riusciamo quasi a vedere realmente mediante immagini concrete quel che non siano capaci di percepire col pensiero».
Marco Tullio Cicerone, De Oratore, II, LXXXVII, 357.

Foto 4: Interno di una stanza della Fabbrica Vecchia a Marina di Ravenna (foto di Alberto Giorgio Cassani).Foto 5: Senza parole. Darsena di città – Ravenna (foto di Alberto Giorgio Cassani)/Foto 6: Michael Newman alla tavola rotonda “The Summerhill school e il Manifesto dei Diritti Naturali di bimbe bimbi” svoltasi al Liceo Classico “Margherita di Savoia” il 14 settembre 2013(foto di Alberto Giorgio Cassani)/Foto 7 Monumento celebrativo per il Sindaco Pier Paolo D’Attorre, aprile 2000, ideato dall’artista Mathias Biehler e realizzato dagli studenti delle scuole di mosaico di Ravenna sotto la direzione di Luciana Notturni (foto di Alberto Giorgio Cassani).

8 – Immorali rinvii

Un giro nel mercato coperto è il modo migliore per cominciare la visita di una città. Da Rotterdam a Istanbul, passando per Barcellona, Bilbao, Firenze e Berlino, i mercati coperti sono luoghi ricchi di fermento già alle prime ore dell’alba e di forte interesse per cittadini e turisti: «[…] la Rambla si stava riempiendo del trambusto consumistico della sera e Carvalho oltrepassò lo scudo appeso all’ingresso del Mercato della Boqueria […]. Comprò della coda di rospo e del merluzzo freschi, un pugno di vongole e peoci, alcuni gamberoni. Dalle sue braccia pendevano le borse di plastica bianca piene di tesori e si mise a camminare nel placido risveglio serale del mercato» (Manuel Vázquez Montalbán).
Proclami, annunci, conferenze stampa si susseguono, ormai laconici, riguardo ai motivi dei rimandi dell’avvio del progetto di recupero-restauro del mercato coperto storico di Ravenna. Passano gli anni, e l’edificio continua a rimanere silenziosamente e tristemente in abbandono. Eppure riportare in vita questo luogo in un’ottica contemporanea, non è cosa ardua, anche per amministratori che malauguratamente dovessero essere “senza qualità”. Il recupero di un mercato coperto è sostegno all’integrazione, sviluppo e miglioramento delle condizioni di vita di una comunità, è d’interesse per una pianificazione urbana, centrale nella sostenibilità ambientale, nella creazione di nuovi posti di lavoro e imprenditoriali e nel supporto alla produzione culturale e creativa di una città.

Manuel Vázquez Montalbán,
Ricette Immorali
Milano, Feltrinelli, 2002

Mangiar bene, e bere ancor meglio, rilassa gli sfinteri dell’anima, sconvolge i punti cardinali della cultura repressiva e prepara alla comparsa di una comunicabilità che non va sprecata.

9 – Segnali di senso

Il cantautore, chitarrista, attivista giamaicano Bob Marley era solito affermare: «Vivi per te stesso e vivrai invano; vivi per gli altri, e ritornerai a vivere».
Da due anni Silvia Miglietti, Franca Strumbo e Emanuela Zecchini, gerenti del supermercato A&O di via Classense 76 a Classe (Ra), donano periodicamente alimenti del loro negozio ad alcune famiglie in emergenza alimentare. Gesti semplici, agiti senza clamore che racchiudono e danno una prospettiva di senso ai misteri del vivere.

Marcel Mauss
Saggio sul dono
Torino, Einaudi, 2002

I doni, da noi, si fanno e si ricevono a Natale o in occasioni stabilite come i compleanni. Non è considerato “normale” fare regali senza un motivo specifico: il dono è un’eccezione, dove la regola è tenere per sé le proprie cose e ottenerne altre tramite l’acquisto o lo scambio. L’antropologia ci ha invece offerto molti esempi di società presso cui il dono costituisce uno degli elementi fondanti. Mauss, nel suo saggio, mette in evidenza che il dono non è mai gratuito ma non è neppure uno scambio a fine di lucro. È piuttosto un ibrido poiché chi dona si attende un “controdono”. Negli oggetti donati esiste un’anima che li lega al loro autore, ciò li rende quasi un prolungamento degli individui e tesse una rete di rapporti interpersonali.

10 – L’isola del mito

Concludo questa serie di immagini della città in cui ora abito con un pensiero alla Sicilia dove invece ho trascorso parte della mia adolescenza. «Da lei come da tutti i siciliani che ho conosciuti, io non ebbi che gentilezze» (Cesare Brandi). Durante l’estate del 1970 andai a trascorrere alcuni giorni di vacanza ad Acitrezza nella casa estiva della famiglia di una mia compagna di scuola. Credo sia stato in quell’occasione che capii di avere un legame profondo con i luoghi e la storia di quest’isola, pur non essendovi nata. Da allora ho sempre pensato che è in una minuscola e francescana dimora che si affaccia sul mare di quest’isola che vorrei volgere il mio ultimo e scherzoso sguardo. L’indizio di un richiamo che durante il mio nomadismo non mi ha più abbandonata.

Cesare Brandi
Sicilia mia
Palermo, Sellerio, 2003

In Sicilia mia, del 1989, sono raccolti impressioni e appunti di una vita su una terra intensamente amata – e disperatamente: per le tante ferite che queste note denunciano.

Foto 8: Mercato coperto, Ravenna (foto di Alberto Giorgio Cassani)/Foto 9:  Silvia Miglietti e Emanuela Zecchini, due delle tre socie, davanti al loro punto vendita A&O di Classe (foto di Alberto Giorgio Cassani)/Foto 10:  Acitrezza (CT) (foto di Alberto Giorgio Cassani).

AGENZIA MARIS BILLB CP 01 01 – 31 12 24
AGENZIA CASA DEI SOGNI BILLB 01 01 – 31 12 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24