«Come un maremoto»: quarant’anni fa l’alluvione che fece andare sott’acqua la costa

‏Il 22 dicembre del 1979 l’Adriatico si era riversato nei paesi, allagando in particolar modo Marina di Ravenna e Lido Adriano. La cronaca di quei fatti che portarono al primo sciopero ecologico e alla legge speciale contro la subsidenza

Alluvione5

Le strade di Marina di Ravenna allagate nei giorni successivi al 22 dicembre 1979

 

Il mare aveva attraversato trecento metri di spiaggia, scavallato la pineta in alcuni punti e aveva invaso le strade, mentre il canale Candiano riversava acqua alle spalle del paese. Come un maremoto, e infatti gli abitanti di Marina di Ravenna pensarono proprio a questo quando si trovarono completamente allagati, come non era mai accaduto a memoria d’uomo e come non è più successo da quel 22 dicembre 1979 ad oggi. Tanto che lo spauracchio dell’evento, quarant’anni dopo, viene evocato a chi oggi minimizza le ingressioni marine ormai regolari lungo via Molo Dalmazia e quelle che nel novembre scorso hanno visto l’Adriatico risalire in fretta la spiaggia e invadere il piazzale della diga foranea.
Non c’erano i social media, nel 1979, e allora si telefonava alle redazioni dei giornali per raccontare quanto stava accadendo non solo a Marina di Ravenna ma lungo tutto il litorale romagnolo, con una particolare furia sui lidi ravennati. «Come un maremoto in Romagna», titolerà il giorno dopo l’edizione locale de Il Resto del Carlino in cui si parlava di «linee incandescenti» con telefonate provenienti da ogni zona della costa. A Marina, Lido Adriano e Lido di Classe pochissime case restarono all’asciutto, a Milano Marittima una classe elementare rimase bloccata perché la scuola era circondata dall’acqua. Un morto, per infarto: un pensionato non resse alla vista del mare che improvvisamente aveva attorniato la sua auto. Allagamenti anche al porto e a Ravenna, in zona Darsena e attorno al canale Lama.

Alluvione3

Le strade di Marina di Ravenna allagate nei giorni successivi al 22 dicembre 1979

Per far fronte alla mareggiata lavorarono quattrocento uomini: oltre ai vigili del fuoco i tecnici che avevano il compito di ripristinare la corrente elettrica perché l’acqua aveva invaso le cabine Enel facendo saltare l’erogazione della corrente mentre scattava il divieto di aprire i rubinetti per via della falda compromessa dall’alluvione. Scarseggiavano le ruspe, tanto che il Comune fece appello ai privati per chiedere disponibilità di mezzi utili ad intervenire. Il conto dei danni fu fatto una settimana dopo: cento miliardi di lire nella sola Ravenna, che chiese immediatamente lo stato di emergenza. Stabilimenti balneari, alberghi, impianti industriali, pinete allagate. Per le aziende del porto la Camera di Commercio stimò danni per un totale di sette miliardi. Dopo la conta, però, venne il momento di capire le cause del disastro e la parola sulla bocca di tutti era soprattutto una: subsidenza.

Da più di un decennio l’abbassamento del suolo era oggetto di convegni e dibattiti tra il Veneto e la Romagna. Tema caldo almeno dal 1966, anno di un’altra storica ondata di maltempo: quella che fece finire sott’acqua Firenze a causa dello straripamento dell’Arno e che segnò il picco massimo di acqua alta (194 centimetri) a Venezia. Le cronache del 1979 fanno notare che, nonostante tredici anni prima le condizioni climatiche fossero peggiori, i danni sulla costa romagnola erano stati più contenuti. «Questo dimostra che l’abbassamento del suolo, cioè la subsidenza nel territorio ravennate, ha raggiunto e superato i limiti del pericolo», si concluse durante la riunione convocata in Regione. Sul banco degli imputati non c’erano tanto le estrazioni di gas metano quanto i prelievi di acqua dal sottosuolo per il consumo. Per migliorare la situazione – si diceva – erano urgenti due opere: il completamento dell’invaso di Ridracoli e quello del Canale Emiliano-Romagnolo. Per quanto riguarda le estrazioni di gas, Uber Dondini – ai tempi penna del Carlino e fino a due anni fa presidente del museo Mar – ricordava che ai numerosi convegni organizzati sul tema i tecnici hanno fornito risposte «quanto meno reticenti». Si era in piena crisi energetica e l’argomento era delicato, tuttavia, chiosava il cronista, «il Paese non può dimenticare una zona che subisce tutti i danni del prelievo di gas».

Alluvione2

Le strade di Marina di Ravenna allagate nei giorni successivi al 22 dicembre 1979

Tra chi avrebbe voluto far luce sul ruolo delle estrazioni di metano c’era anche Antonio Patuelli, oggi presidente del gruppo Cassa e ai tempi ventinovenne vicesegretario nazionale del Partito Liberale: «Non vorrei che tra qualche anno, quando saranno completati il Cer e l’acquedotto di Ridracoli e saranno chiusi tutti i pozzi acquiferi, ci si accorgesse che il suolo continua ad abbassarsi per altre cause». Patuelli proponeva quindi una commissione di geologi per accertare il ruolo dell’estrazione di metano. La Democrazia Cristiana invitava qualche giorno dopo il giovane liberale a «non sollevare il solito polverone demagogico e qualunquista» e, in sostanza, a mettere da parte le polemiche. L’effetto del metano, diceva la Dc, è «secondario». La questione più grave, sottolineava il partito, è quella dell’estrazione delle acque di falda.

Il sindaco dell’epoca era il socialista Aristide Canosani. Alla stampa riunita in municipio il 28 dicembre 1979 si fece notare che una sola mareggiata era costata a Ravenna quanto tutti gli interventi definiti indispensabili per scongiurare devastazioni di quel tipo. Cinque mesi prima un dossier era partito da Ravenna indirizzato al Ministero: c’erano scritti i lavori necessari per fronteggiare il fenomeno della subsidenza. Ministro dei Lavori pubblici era l’onorevole Franco Nicolazzi, in quota Psdi, che prima dell’alluvione aveva annullato almeno un paio di incontri in cui fare il punto sul tema della subsidenza, attirandosi la furia della città. Nel frattempo le forze politiche si scatenavano: la Dc chiedeva il divieto di costruire in riva al mare, il Psi voleva un intervento straordinario dello Stato, il Pci pungolava la giunta ad esigere risposte precise al Governo. Gli ambientalisti puntavano il dito contro la deforestazione in alcune aree della costa e facevano notare il venir meno del ruolo di protezione delle dune. La svolta arrivò venti giorni dopo, quando la Democrazia Cristiana propose una legge speciale per la difesa della costa che prevedesse fondi speciali per finanziare in dieci anni le opere di protezione necessarie ad evitare nuove alluvioni. Era la prima bozza di quella che passerà alla storia con il nome di “legge Ravenna” (la numero 845/1980) e che permise negli anni successivi di realizzare arginature, studi e lavori di rafforzamento su tutto il territorio.

Alluvione1

Le strade di Marina di Ravenna allagate nei giorni successivi al 22 dicembre 1979

Intanto in consiglio comunale Canosani prospettava una difesa del territorio che imitasse quella degli olandesi, suggestione che torna puntuale ad ogni alluvione e che finisce nel dimenticatoio entro poco tempo. Il consiglio comunale si mostrava comunque concorde nel chiedere finanziamenti speciali al Governo. Alla riunione successiva a Roma lo Stato promise venti miliardi per le opere più urgenti che vennero identificate dal Comune nell’innalzamento di banchine lungo il Candiano e a Marina di Ravenna, scogliere davanti ai lidi, sopraelevazione di strade, argini su canali e scoli. Un totale di 29 interventi da realizzare negli anni successivi finanziati in questo caso con i fondi straordinari messi a disposizione dallo Stato.

L’alluvione del 1979 provocò infine a Ravenna quello che fu definito “sciopero generale ecologico”. Ad organizzarlo fu il Comune insieme a sindacati e imprenditori. Una protesta contro la subsidenza che sarebbe servita a spingere il Governo a muoversi in fretta per finanziare la legge speciale per la protezione del territorio. Così due mesi dopo l’alluvione, il 22 febbraio, nel pomeriggio l’intera città scese in piazza del Popolo. Era venerdì: se vogliamo un Friday for future ante litteram. Con una differenza: anziché gli studenti si fermarono i lavoratori e le imprese, insieme per non fare dimenticare l’emergenza che metteva a rischio l’intero tessuto economico del territorio, dal turismo al porto. Funzionò: dopo una prima tranche di 15 miliardi di lire, la legge mise a disposizione 75 miliardi contro la subsidenza. Nata da un’alluvione e da uno sciopero per il clima, è uno strumento indicato ancora oggi come idoneo per contrastare i disastri derivanti dall’abbassamento del suolo a cui ai giorni nostri si aggiunge il problema dell’innalzamento del livello del mare.

EROSANTEROS POLIS BILLBOARD 15 04 – 12 05 24
NATURASI BILLB SEMI CECI FAGIOLI 19 – 28 04 24
CENTRALE LATTE CESENA BILLB LATTE 25 04 – 01 05 24
CONAD INSTAGRAM BILLB 01 01 – 31 12 24