Cabaret bordello ai tempi di Weimar: al Cisim chiude la stagione di prosa

La nostra intervista alla compagnia che porta a Lido Adriano la satira di Café Berlin

Cafè Berlin«L’autore satirico è un idealista offeso: vorrebbe un mondo buono, ma il mondo è cattivo e perciò si lancia contro ciò che è cattivo. La satira esagera? La satira deve esagerare e la sua essenza più profonda è quella di essere ingiusta» scriveva nella Berlino degli anni ’20 Kurt Tucholsky. Erano anni in cui non era facile fare satira e sarebbero stati gli ultimi in cui la satira sarebbe stata legale prima dell’arrivo di Hitler e del degenerare del clima del paese che porterà Tucholsky a togliersi la vita nel 1935. Café Berlin – Kabarett bordello del Teatro della Contraddizione per la regia di Marco Maria Linzi, che andrà in scena al Cisim di Lido Adriano dall’11 al 13 maggio, si ispira proprio all’opera di Kurt Tucholsky.

Da dove è nato il progetto di Café Berlin?
«È nato due anni fa, è stata una lavorazine lunga. Stavo facendo una ricerca sugli anni ’20, che secondo me sono anni cardine per la formazione della cultura contemporanea, e ho conosciuto Kurt Tucholsky. Non si può mai dire come nasce uno spettacolo, ma ho trovato che la sua idea di fallimento fosse affascinante perché oggi nella nostra società non è pù consentito fallire, come se il fallimento fosse la negazione dell’esistenza».
“Ho fallito, ma con gusto” scriveva Tucholsky…
«Tucholsky è ironico, sarcastico, cinico, ma allo stesso tempo è un sognatore. Il fallimento vissuto nel modo giusto è la via per conoscere sé stessi, per rompere il guscio in cui siamo intrappolati. Il compito dell’arte è essere utile e non essere intrattenimento. Questa idea è un’utopia ed è un fallimento essa stessa».
Gli anni in cui viveva Kurt Tucholsky e in cui è ambiantato lo spettacolo sono gli anni della Repubblica di Weimar, un momento di sconvolgimenti e contrasti in cui sembrava potesse accadere di tutto e alla fine è accaduta la cosa peggiore perché è arrivato il Nazismo… Credi ci sia attualità in quella confusione?
«Credo che la Repubblica di Weimar abbia molti tratti in comune con noi sia a livello di persone che di società. Era un momento di grave crisi economica e di tensioni, ma fu anche un periodo esplosivo in cui l’arte ha toccato uno dei suoi livelli pià alti e Berlino era un centro di libertà. I personaggi dello spettacolo pensano di poter cambiare la vita, di poter spingersi oltre».
Tucholsky non è molto rappresentato in Italia, perché secondo te?
«In Germania è molto conosciuto e amato, ma non ha mai scritto con una bandiera in mano ed era attaccato dai conservatori come dai comunisti e questo ha penalizzato i suoi testi negli anni della dittatura, ma anche dopo la guerra. Non accettava verità dategli da altri. Anche per questo i suoi libri furono bruciati durante il nazismo…»
Il sottotitolo dello spettacolo è “kabarett bordello”, cosa intendi con questa definizione?
«Lo spettacolo si svolge dentro un’anima che è un bordello e i protagonisti sono puttane. Potremmo dire che è uno spettacolo “puttanocentrico” che vuole essere una spinta alla vita. Abbiamo ripensato kabarett degli anni ’20 che mescolava ironia a canzini storte e dissonanti alla Kurt Weill. Pur essendo un dramma è musicale. Sono tre ore di musica. I personaggi tentano di trovare la loro libertà attraverso la canzone composte da maestro Airoldi».
Siete un gruppo indipendente che è stato prodotto dal Teatro Elfo-Puccini che è diventato, forse suo malgrado, un’istituzione. Come è stata questa commistione?
«Non solo ci hanno prodotto, ma hanno lasciato che il debutto fosse nel nostro spazio teatrale, quindi hanno “obbligato” i loro abbonati a venirci a cercare, a volte facendoli perdere… Credo che l’Elfo sia uno dei pochi posti istituzionali che hanno ancora uno sguardo aperto».

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