Enrico Galassi, il “paziente alchimista” del mosaico

Una conferenza, in programma il 30 ottobre alle 18.30 al Salone dei Mosaici, ripercorre le relazioni con l’arte musiva dell’artista ravennate, amico carissimo di Alberto Savinio

Galassi Paesaggio Marino

“Paesaggio marino”, mosaico, anni Quaranta

«Pittore fra i più intelligentemente “moderni”, architetto genialissimo che crea le case dell’uomo dalle sue necessità interne, costruttore di macchine, inventore, uomo leonardesco, Enrico Galassi presenta ora i mosaici eseguiti nel suo Studio, sia su cartoni proprii, sia su cartoni di altri artisti. E come sarebbe rimasto insensibile all’aspetto del mosaico, lui che è nato a Ravenna, alla luce di quelle preziose tessere e di quei cieli d’oro?».

Così scriveva, in un’Italia impegnata in una guerra dal destino ormai segnato, Alberto Savinio, più anziano di sedici anni di Galassi (Ravenna, 14 novembre 1907 – Pisa, 1° settembre 1980), nel piccolo foglio di presentazione – quattro facciate in tutto – della mostra di ventidue mosaici esposti alla Galleria Ferruccio Asta & C, attiva per pochissimi anni, dal 1941 al 1943, in via Andegari 18, a Milano, dove oggi c’è un negozio d’abbigliamento.
E proseguiva, raccontando un episodio probabilmente confidatogli dallo stesso Galassi, suo amico carissimo: «Nel 1915 [in realtà 1916], bombe nemiche colpirono la venerabile facciata di Sant’Apollinare. Al restauro del soffitto furono chiamati il padre e lo zio di Enrico, che lavorarono con l’aiuto del loro figlio rispettivo e nipote. Fu in questo illustre tempio che il giovane Enrico vide lavorare il maestro Zampiga ed entrò nel segreto del mosaico». Enrico, prosegue il testo, «Frugava fra le macerie, estraeva le tessere colorate e brillanti dei musaici feriti, le appiccicava nella creta e componeva per gioco delle figurazioni secondo la sua fantasia. Questo mosaico-gioco, Enrico Galassi lo continua ancora e sempre lo continuerà, lui che essendo artista-nato, sa che l’arte è un gioco da dei, timorosi di lasciarsi prendere dalla noia di quaggiù».
E così Savinio terminava questo magistrale cammeo critico, regalando alla figura di Galassi mosaicista i tratti dell’artista-mago: «Le figure destinate a durare, l’uomo, prima che gittarle nel bronzo, pensò di comporle con “pezzetti di natura”, e così nacque il mosaico. Di quest’arte, Enrico Galassi ha riscoperto il carattere favoloso; e col gioco paziente delle tessere, come un coboldo, come un paziente alchimista, egli ricompone sulla superficie della terra e alla luce del sole, il “tesoro” fatto di immagini strane, bellissime e sciolte dalla logica degli umani “perché”, che la Terra nasconde nel suo tenebroso cuore».

Enrico Galassi Alternativa

Ritratto di Enrico Galassi (proprietà eredi Galassi)

Su questa mostra uscì un articolo, Musaici di Galassi, non firmato, ma di Gio Ponti, sulla rivista “Stile” (n. 17, maggio 1942, pp. 50-51), in cui si leggeva, in perfetto accordo con Savinio, come l’esposizione confermasse «un’idea che da tempo s’andava accertando: che il musaico è un’arte fine a se stessa, non un mezzo. […] Non più il musaicista che traduce in smalti un cartone; ma il pittore che crea un musaico. […] il musaico – nei lavori di Galassi e solo nei suoi – è un modo di intendere, di comporre, di esprimersi. Non è una tecnica, è un afflato come l’affresco, come la pittura. Un musaico deve nascere come una pittura, non può essere il prodotto d’uno sbrigativo cartone intenzionale, che assume plastica in mano d’un “altro” artigiano o mezzartista». Basterebbe guardare il mosaico dal titolo Paesaggio marino, pubblicato a corredo del testo di Ponti, per rendersene conto: un concerto di tessere colorate che sfumano l’una nell’altra grazie a una sapienza coloristica eccezionale.

Di lì a quattro anni, nell’Italia uscita distrutta dalla guerra, Galassi presenterà altri mosaici, assieme a tavoli di marmo, pietre dure, vetro filato e ceramica, in una mostra allo Studio d’Arte Palma di Roma, definita dalla critica «eccezionale» e di «una bellezza forse non più posseduta dall’epoca rinascimentale in poi» (Fortunato Bellonzi, Capidopera nello studio di Villa Giulia alla galleria Palma, in “Domenica”, 17 marzo 1946), esposizione che vide riuniti da Galassi i maggiori artisti dell’epoca – Carrà, de Chirico, Savinio, così come i giovani emergenti – Afro, Capogrossi, Leoncillo, Mirko, per fare solo qualche nome. Ponti, a sua volta, su “Stile” (n. 12, dicembre 1946), parlerà di tavoli «che un tempo costituivano quei pezzi che Sovrani e Pontefici si scambiavano in sontuosi regali».

Dove era cominciato tutto ciò? Il 1° di marzo del 1926, quando Enrico si era iscritto, a diciannove anni, alla Scuola del Mosaico, inaugurata solo due anni prima, dove l’ormai giovane artista ravennate aveva rivisto l’antico maestro Zampiga. Ma, “fuorilegge” come sempre sarà, soprattutto in quegli anni, Enrico frequenterà le lezioni solo saltuariamente.
Ammesso, come «libero», al IV anno di Decorazione, nell’a.s. 1926-1927, Galassi lascerà l’Accademia senza mai diplomarsi. Si era iscritto giovanissimo nel 1918, per poi ritirarsi e riscriversi nel 1922. Sempre “fuggiasco” dalla vita, come qualcuno ha scritto.
Dal 1926 al 1930, però, sulle colonne del “Corriere Padano”, quotidiano ferrarese fondato dall’amico Italo Balbo, l’ancor più amico giornalista Ipparco Galavotti, accoglierà alcuni articoli di Galassi dedicati a “Ravenna e il musaico”, ma non a “quel” mosaico che egli aveva appreso alla scuola di Zampiga. Nell’ultimo di tali testi, infatti, scriverà, anticipando di tre lustri l’affermazione sopra riportata di Ponti: «Molti lo credettero e “lo credono” un mezzo, ma la sua grandezza massima si ebbe quando divenne un’espressione di arte a sé: fu un fine, una meta».

C’era già qui, alla data del 1930, la consapevolezza di quella che sarà l’esperienza romana, assolutamente innovativa e unica, dello Studio di via Margutta prima e dello Studio di Villa Giulia poi; ben prima dell’“apertura” all’arte contemporanea fatta da Giuseppe Bovini, nel 1959, con la “Mostra dei Mosaici Moderni”, svoltasi a Ravenna, assieme a un importante convegno, e da sempre considerata la rinascita del mosaico nel secondo Novecento.

Galassi concludeva con questa domanda il suo articolo: «Non potrebbe anche Ravenna col musaico trovare una via d’uscita all’elemento artistico locale?». Da un’artista «fra i più intelligentemente “moderni”» non ci si poteva aspettare altra richiesta.

La mostra: Cinquant’anni dopo una retrospettiva

A cinquant’anni esatti dalla meritoria mostra organizzata dalla non più esistente Galleria Mariani di Ravenna, venerdì 14 febbraio 2020 s’inaugurerà, a Palazzo Rasponi dalle Teste, la prima esposizione istituzionale dedicata a Enrico Galassi nella sua città natale, programmata dall’assessorato alla Cultura in collaborazione con l’associazione culturale Tessere del ’900 nell’ambito del ciclo “Novecento rivelato”. A curare l’esposizione e il catalogo sarà Alberto Giorgio Cassani, che da anni si dedica alla ricostruzione della multiforme attività artistica del geniale artista.

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