
Nonostante il Covid abbia colpito duramente tutto il settore culturale costringendo i musei a file, prenotazioni, riduzione delle aperture e degli eventi, il territorio romagnolo ha mantenuto una vivacità di proposte che in molte zone italiane è puro ideale.
Nelle arti visive il tributo maggiore è stato versato dal settore contemporaneo ma ci sono sorprese come la mostra appena inaugurata a Bagnacavallo. Voluta dall’assessora alla Cultura Monica Poletti, Non giudicare è stata affidata all’organizzazione del collettivo MAGMA e alla curatela di Viola Emaldi.
Ripartire dal territorio è lo spunto della manifestazione: l’ampio spazio del bellissimo ex convento di San Francesco ospita una selezione di artisti dal curriculum consolidato, tutti legati per nascita, vita o professione alla provincia ravennate. Gli artisti ospiti non hanno bisogno di molte presentazioni; ricordiamo solo che l’occasione della tradizionale festa di San Michele ha costituito una buona occasione per visitare questa bella mostra che resta aperta al pubblico fino all’11 ottobre.
Immancabile è la visione del breve cortometraggio San Vittore (2018) realizzato dal ravennate Yuri Ancarani che ritorna con questa opera commissionata dalla Kunsthalle di Basel a quella sensibilità verso i temi sociali che ha contraddistinto la primissima fase del suo lavoro, presentato al tempo proprio a Ravenna. Il corto – girato con la solita impeccabile precisione stilistica – indaga lo spazio fisico del penitenziario milanese sorto dopo l’unità d’Italia. I protagonisti sono i bambini – i figli dei detenuti sottoposti al rigido protocollo dei visitatori – i loro disegni e le proiezioni sullo spazio e sulle relazioni col mondo degli adulti, suggerite da immagini delicate e terribili che sfuggono ad qualsiasi effetto documentaristico.
Nelle altre sale si possono ammirare gli evocativi collage di Sergia Avveduti e la serie dei disegni di Alessandro Pessoli che, riprendendo uno degli atti fondamentali dell’infanzia, articola una riflessione fra linguaggi alti e bassi di questa tecnica.
Il lavoro concettuale di David Casini si ispira invece ad un ritratto eseguito da Tiziano da cui vengono estrapolati alcuni particolari con un risultato surrealista e ironico, lo stesso che possiamo percepire nella scultura di Bertozzi e Casoni, un’irriverente traduzione a tre dimensioni della famosa Mademoiselle Rivière di Ingres.
Lo stesso processo di confronto con l’arte del passato si riflette nel lavoro di Marco Samoré: lo spazio senza tempo, claustrofobico e kafkiano di Piranesi si sedimenta nell’installazione dal titolo Globoool. La riflessione sull’arte del passato è la base di partenza anche delle opere di Silvia Camporesi, da sempre orientata alla tecnica fotografica: belle le sue immagini tratte dalla serie Mirabilia che indagano il patrimonio artistico e paesaggistico italiano, in particolare quello poco sconosciuto e con caratteristiche di forte stranezza compositiva.
Nel corridoio centrale campeggia a parete il grande dipinto scenografico di Enrico Minguzzi; l’effetto è condiviso con la serie di dipinti in dissoluzione di Nicola Samorì che affronta il martirio di Marsia tramite una sorta di spellamento progressivo della superficie pittorica.
Nonostante l’utilizzo di una tecnica tradizionale, le sculture di Italo Zuffi – copia fedele di oggetti mediante materiali archeologici come mattoni – si confrontano con le operazioni di memoria, ricerca e copia mentre l’utilizzo di pelle ovine nelle opere di Chiara Lecca riporta ad una poetica che indaga le relazioni fra uomo e natura. Non manca la ceramica che viene impiegata da Andrea Salvatori, secondo la sua usuale vena di còlto humour nero, e da Alessandro Roma che presenta un’installazione in collaborazione con la danzatrice Paola Ponti.
Anche il progetto da cui nasce il lavoro di Stefania Galegati, originaria di Bagnacavallo, ha un aspetto corale essendo nato dalla collaborazione fra 4 donne: l’enorme tela e il video che l’artista ha realizzato fanno parte di una serie dedicata alla Isola delle femmine, una striscia di terra che affaccia la costa settentrionale della Sicilia. Riserva naturale dal 1997, l’isola ha subìto la traslitterazione del proprio nome dall’arabo al dialetto siciliano e poi all’italiano, diventando nel tempo il luogo immaginario del confino delle “femmine cattive”. La proprietà oggi è privata ma il gruppo di donne che sostiene il progetto sta per lanciare un esteso crowdfunding femminile internazionale per acquistare l’isola, chiedendo di partecipare ad un atto simbolico che dirotta la storia, il nome, le leggende e il significato. In nome dell’arte, della natura e delle donne.
Non giudicare. Fino all’11 ottobre; convento di San Francesco, Bagnacavallo; orari: Mar-Ven 18-23; Sab 16-23; Dom 10-12.30 e 15-21.