Alessandro Pessoli e l’inesistenza di barriere tra vita e arte

Alla biblioteca Classense fino al 22 febbraio l’opera Me and Him dell’artista cervese, che oggi vive a Los Angeles

Alessandro Pessoli Me And HimA distanza di più di 20 anni dalla sua ultima mostra a Ravenna, Alessandro Pessoli torna in città grazie al curatore Paolo Trioschi e al prestito della Zero Gallery di base a Milano e New York.
Fino al 22 febbraio sarà possibile vedere Me and Him, una tela di grande effetto, nella Sala del Mosaico della Biblioteca Classense.

Dalla prima presenza di Pessoli a Ravenna in Santa Maria delle Croci nel 2000 – in una personale condivisa con la disegnatrice Francesca Ghermandi curata da Maria Rita Bentini per il ciclo “no border” – è passata molta acqua sotto i ponti sia in termini di progettualità che in termini di vita.
Pessoli, nato a Cervia nel 1963, allora lavorava a Milano e possedeva già un profilo solido in campo nazionale. Oggi vive a Los Angeles da più di un decennio con la famiglia e ha ormai un curriculo del tutto internazionale: i suoi lavori, trattati da importanti gallerie del mondo, sono stati esposti nei maggiori musei e spazi italiani e stranieri come la Biennale di Venezia, la Triennale di Milano, il Museo di Arte Moderna di San Francisco, così come a New York, a Parigi, Los Angeles e così via.

Fra la grande tela oggi a Ravenna e il nucleo di opere su carta presentate 20 anni fa rimane senza dubbio il collegamento costituito dalla immensa e sconfinata passione per il disegno: Pessoli ribadisce in alcune inter viste che questo rappresenta una sorta di eter no ritorno nel proprio lavoro, la sorgente e il mezzo che incarna il proprio racconto visivo interiore. Talvolta, disegnare diventa anche un rimedio distensivo a posteriori nel copiare un lavoro finito, quasi per riappropriarsene senza il disturbo della carica emotiva in atto. Me and Him – un dipinto di grandi dimensioni ad olio, pittura spray e acrilico su tela nel 2020 che è stato eseguito nella solitudine pandemica mondiale – riprende il tema religioso già affrontato dall’artista in alcune serie prodotte negli ultimi dieci anni.

Lungi dal testimoniare una conversione, è l’iconografia sacra nella sua stratificazione temporale a essere indagata, la drammaticità che le è connaturata, la pregnanza semantica accumulata nelle versioni del soggetto dal Medio Evo ad oggi. E se in questa pala d’altare sono presenti colori pop, gelati e fiori, faccine tristi e allegre, cuori e colombe, non è certamente per abbassare il registro del soggetto ma per mescolare il tema sacro alla vita nel suo raccogliere lento di resti di oggetti e frammenti di immagini. La realtà quotidiana costituisce infatti una sponda sempre presente nel lavoro di Pessoli, soprattutto nelle serie realizzate dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti. Questo, per così dire, “sporcare” la sacralità del tema e la stessa aura dell’opera è un altro elemento di continuità nel lavoro dell’artista: forse dato nell’imprinting ricevuto nel periodo dei primi studi al Severini di Ravenna e all’Accademia di Belle Arti di Bologna, il metodo ricorda il modo di procedere delle Avanguardie, in particolare del Futurismo e del Cubismo, nel loro operare con mezzi linguistici diversi – dal collage all’assemblaggio e alle scritte – per ribadire l’inesistenza di una barriera fra arte e vita.

Nel corso degli anni Pessoli ha ridotto la differenza fra la sfera artistica e la vita anche mediante l’utilizzo di mezzi espressivi misti, che vanno dal disegno all’animazione, dal collage a pittura, all’uso di tecniche differenti all’interno dello stesso lavoro. La pittura dell’artista è veloce e procede per associazioni più che per condensazione di un progetto: nel suo farsi, l’opera attinge ad un universo infinito di suggestioni che prelevano frammenti dalla realtà, come si diceva, ma contestualmente si ispirano e rubano al fumetto, alla storia dell’arte, alla fotografia, all’immaginario pop e di internet, al cinema e all’animazione, senza mancare prelievi alla letteratura. In questo modo di operare – che si potrebbe definire la vera quintessenza del postmoderno – la pittura si ammanta di colori sbavati e brillanti per sedurre lo spettatore mettendo alla prova la sua resistenza alla convivenza di registri opposti che fanno coabitare il grottesco, la solennità, il dramma o la surrealtà.

Davanti a questi lavori che operano per continui scarti ed eccessi – di immaginario, di colori, di contrasti, di registri linguistici – più che per sottrazioni, l’opera si presenta come un campo di lavoro e di lotta in cui le immagini si sovrappongono, si innescano e deformano, scompaiono e infine si stabilizzano. La parola fine, il punto definitivo del lavoro, vengono messi solo al momento della verifica della sua tenuta compositiva e emotiva. Nello stringere un accordo col tempo e la memoria, Pessoli sottolinea chiaramente come le immagini siano sedimentazioni continuamente slittanti di significati. Non garantiscono approdi o rifugi ma solo pause di senso in equilibrio precario. Così simili al procedere della vita.

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