mercoledì
02 Luglio 2025
scrittura festival

Antonella Lattanzi e il dolore della maternità: «La scrittura mi ha salvata»

Perdita, desiderio e speranze universali, i temi del nuovo romanzo presentati a Faenza dall'autrice

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Antonella Lattanzi Faenza

Ci sono cose che non si possono dire, perché farlo significherebbe aprire una diga di parole ed emozioni che a lungo abbiamo trattenuto dentro di noi, nascoste dagli occhi indiscreti degli altri. Per questo Antonella Lattanzi ha taciuto il suo dolore, finché non ha capito che l’unico modo per sperare di attribuirgli un senso era condensarlo nella scrittura, la sua, e renderlo un fatto universale.

Così nasce Cose che non si raccontano, romanzo autobiografico che ripercorre l’esperienza di Lattanzi con la maternità. L’autrice lo ha presentato lunedì 5 giugno a Faenza, nell’ambito del programma di ScrittuRa Festival, in dialogo con Ivan Tabanelli. Il suo è il racconto di una donna scissa tra due desideri: quello di diventare madre, da un lato, e quello di diventare scrittrice, dall’altro. Apparentemente inconciliabili a vent’anni, quando tutto deve essere ancora dimostrato e la voglia di affermarsi nel lavoro si fa più pressante. «Per tanti motivi diversi», Lattanzi decide di ricorrere due volte all’aborto, una scelta che torna a pesare anni dopo, quando cerca in tutti i modi di avere un figlio con il suo compagno senza riuscirci. È il segno per lei di una punizione divina, di un conto in sospeso da pagare con gli interessi: «Già quando ho iniziato a pensare di avere un figlio ho pensato che non ce l’avrei fatta: nel momento in cui mi è successo l’ho rifiutato, mi dicevo, e adesso che lo cerco sono un’egoista perché ho pensato prima al mio lavoro, ai miei desideri, alla mia ambizione». Antonella Lattanzi racconta la parte più oscura della maternità, quella più scomoda ma tanto vera quanto quella radiosa e infiocchettata. Il suo è un libro intriso di dolore che però serve a far luce su quanto avviene all’interno degli ospedali e sui limiti che la società ancora impone alle donne che “voglio tutto”, a partire dal diritto all’aborto: «Penso che l’aborto sia un diritto inalienabile e che noi viviamo in un’epoca in cui questo diritto non è più garantito, per cui è importantissimo parlarne e ricordarlo. Quando ho deciso di scrivere questo libro, alcuni dicevano “non dire che hai abortito due volte, di’ che hai abortito una sola volta così le persone ti perdoneranno più facilmente”. Ma per sancire un diritto e per far capire alle persone che chiunque abortisce non lo fa mai con leggerezza e che quello che ti rimane dentro ti rimarrà dentro per sempre, nonostante tu creda in questo diritto, mi sembrava importante essere onesti e raccontare le cose come sono andare veramente». Lattanzi racconta della violenza ostetrica subìta in ospedale, dove anche se stai per abortire «ti chiamano mamma e papà», e del senso di colpa e della rabbia che l’hanno assalita quando, anni dopo, ha deciso di sottoporsi a un lungo ed estenuante percorso di procreazione medicalmente assistita. La sua è una verità cruda, ricercata con ostinazione dentro se stessa. Si avverte la necessità di esprimere con parole esatte quanto la mente fa fatica ad ordinare e soprattutto ad accettare, utilizzando come unico appiglio la sterile terminologia medica. Allo stesso tempo, però, la paura paralizza l’espressione verbale: non si può parlare di gravidanza, perché farlo significherebbe esporsi al rischio di rendere reale qualcosa che non si osa nemmeno immaginare («Mi sconvolgeva come io fossi convinta che nel momento in cui pronunciavo qualcosa mi sarei scatenata il destino contro. Finché le cose non le dici non esistono. La parola fa sì che le cose esistano»).

«La speranza – dice Lattanzi – può essere pericolosa quando diventa certezza, e per questo è violenta»: quando anche l’ennesimo tentativo non va a buon fine, subentra la disperazione. Lei, però, è una scrittrice, e proprio nella scrittura, a un certo punto, trova la forza di reagire: «Mi sono resa conto che la rabbia che provavo poteva essere utile. Durante questo percorso ho visto delle cose orribili che accadono continuamente, ma le altre donne non hanno voce per dirlo, io avevo una voce e la dovevo usare». Così nasce l’idea di scrivere un romanzo su quanto le è accaduto, non tanto per stare meglio, quanto per nutrire una seconda speranza, questa volta positiva e «luminosa», di poterlo condividere aiutando altre donne e uomini a sentirsi meno soli: «Per me la letteratura racconta sempre cose che non si raccontano. Racconta le cose che nessuno vuole sentire. Le cose che non abbiamo il coraggio di dire e nemmeno di pensare, racconta gli aspetti più ambigui della società e delle persone ma soprattutto racconta cose assai semplici, sempre, perché nella letteratura siamo tutti uguali». Con questa convinzione Antonella Lattanzi ha scritto un libro in cui parla di sé in maniera universale, trasformando il suo dolore in un messaggio di denuncia e condivisione. Dimostrando che forse, in fondo, l’unico modo per sopravvivere al proprio dolore è parlarne e scriverne, mettendo nero su bianco quello che un tempo non osavamo raccontare nemmeno a noi stessi.

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