«La nuova legge urbanistica? Suolo minacciato e territorio merce per fare profitti»

Riforma bocciata dagli esperti nel corso dell’incontro organizzato da Cambierà e Ravenna in Comune. Il nostro report

2017 05 05 Sala Buzzi

La sala Buzzi gremita in occasione dell’incontro

Lo scorso 27 febbraio la Giunta Bonaccini ha approvato il progetto di legge  riguardante la nuova Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio, aprendo il dibattito tra forze politiche e associazioni anche contrarie alla proposta “licenziata” da viale Aldo Moro. Alcune di queste si sono ritrovate nel pomeriggio di venerdì a Ravenna per l’incontro dal titolo: “Un suolo in pericolo? La nuova disciplina regionale sulla tutela e l’uso del territorio”. L’evento è stato coordinato da Michela Guerra e Raffaella Sutter, capigruppo in consiglio comunale rispettivamente dei movimenti CambieRà e Ravenna in Comune che, insieme a Lista per Ravenna e Pd (era presente in sale anche l’assessore Federica Del Conte), hanno firmato un ordine del giorno atto a promuovere, presso la stessa Giunta Regionale, azioni necessarie alla modifica del testo di legge.

Dall’analisi fatta dai relatori emerge una bocciatura senza appello della riforma urbanistica regionale, sbandierata come strumento per perseguire il fatidico consumo zero di suolo. L’incongruità più eclatante sottolineata è proprio l’assenza di una reale politica di annullamento della cementificazione. Nelle sue premesse la norma si presenta come feroce nemica del consumo di suolo, ma i contenuti – indicano gli interventi – smentiscono questi principi. Sono infatti previsti la conferma di tutte le potenzialità edificatorie già approvate prima della nuova legge (tramite accordi e Piani Particolareggiati) e una concessione di nuove potenzialità per un massimo del 3 percento. Una percentuale apparentemente inconsistente ma che, ad esempio per una città come Ravenna, ha precisato Ezio Righi (responsabile territorio di Italia Nostra Regionale) può valere fino a 2,5 km quadrati di nuove urbanizzazioni che si aggiungerebbero a quelle già concesse.

Un secondo campanello d’allarme è costituito dalla privatizzazione della gestione del territorio paventata dagli intervenuti. Con la nuova legge l’assetto urbanistico delle città – questa la previsione – sarà soggetta agli accordi di programma di iniziativa privata i quali di fatto avranno un peso più ampio rispetto al Pug (Piano Urbano Generale, che sostituirà Psc e Rue) ridotto a semplice schema ideogrammatico.

La deriva neoliberista dell’urbanistica emiliano-romagnola (accezione che compare anche nel titolo di una piccola pubblicazione dedicata alle tesi contrarie al disegno di legge) rischia di annullare un immenso patrimonio di buone pratiche, riserve di servizi pubblici e aree rurali, accumulato e valorizzato negli anni luminosi che fecero di questa regione un faro riconosciuto nella gestione del territorio e progressivamente spentosi a partire dagli anni ’80: questo è il rammarico di Sauro Turroni, già senatore, presidente della Commissione parlamentare per la riforma del testo unico sull’Ambiente e ora responsabile territorio e passeggio per la Federazione dei Verdi. Sulla scia neoliberista e deregolativa della città emiliano-romagnola del prossimo futuro – è stato spiegato – si allinea la serie di meccanismi incentivanti e premianti previsti dalla norma per il settore immobiliare (ma negati al privato cittadino) dal quale emerge come il territorio sia considerato non come bene comune ma merce dalla quale trarre profitto e impostare la ripresa economica, nonostante sia stata proprio la crisi dell’immobiliare a trascinare le economie di mezzo mondo sul baratro.

Il rischio di depotenziamento non è solo degli strumenti pianificatori ma soprattutto di quegli “uffici di piano” da cui è nata l’urbanistica regolativa, modello per tutto il Paese anche nella tutela dei centri storici dove dietro il vessillo della rigenerazione urbana, sta rientrando la carica della rendita – questa la tesi di Paola Bonora, geografa e già docente dell’Università di Bologna – mortificata dalla sconfitta subìta nelle campagne ormai punteggiate di isolati insediamenti edilizi vittime della crisi. «La norma in discussione – prosegue Turroni – su 73 articoli dedica solo 3 commi ai centri storici», aprendo comunque la strada a demolizioni e ricostruzioni “anche non fedeli”, in nome dell’adeguamento sismico ed energetico.

La rendita privata, nettamente stigmatizzata nel corso della conferenza, è la strozzatura attraverso la quale sono passati tutti i tentativi di riforma urbanistica nazionale, dalla Legge Ponte (1967) fino ai giorni nostri. Questo dimostra, senza ombra di dubbio, che la sua demonizzazione brillantemente sostenuta in passato da intellettuali del calibro di Antonio Cederna, non ha mai sortito alcun durevole risultato. Piuttosto la grande mancanza della politica di ogni ordine, colore e grado, è stata quelle di non aver saputo governare, con decisione e nell’interesse collettivo, le spinte del principale settore economico capace di trasformare realmente il territorio.

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