Bilancio Hera, bene i profitti ma a quale scopo, in fin dei conti?

Se il compito dell’impresa è essere profittevole, la ricchezza prodotta – soprattutto se sotto controllo pubblico – deve essere oltre che economicamente equa anche socialmente sostenibile

Riceviamo e pubblichiamo questa ponderato intervento sul ruolo economico e sociale della multiutility Hera in occasione dell’approvazione e della valutazione dell’Assemblea del bilancio dell’azienda 2021. L’autore, per sua volontà, si firma con l’emblematico pseudonimo Zeus, di cui comunque la redazione garantisce la competenza e l’autorevolezza per la sua esperienza politica e amministrativa.

Sede Gruppo Hera Bologna

La sede centrale del gruppo Hera a Bologna

A inzio aprile il Consiglio di amministrazione del Gruppo Hera, società per azioni quotata alla Borsa di Milano, ha approvato il bilancio di esercizio 2021. La società nata nel 2002 da una felice intuizione dei sindaci della Romagna e di Bologna, attraverso la fusione societaria delle loro municipalizzate ha fatto nascere Hera. Procedendo poi negli anni a ulteriori incorporazioni fra le quali le società, ex municipalizzate, dei comuni di Ferrara, Modena, Padova, Udine e Trieste. Allargando le sue attività in regioni come la Toscana e lungo la fascia adriatica.

Anche nel 2021 Hera ha raggiunto importanti risultati gestionali confermando nel tempo la sua capacità di creare profitto. Di determinare utili in presenza di solidità finanziaria consentendogli di proporre alla prossima Assemblea dei soci un dividendo in crescita di 12 centesimo di euro per azione. Il Gruppo Hera è sicuramente una società che fin dalla sua nascita è stata ben governata e gestita, che mantiene legami con la lontana storia delle origini delle municipalizzate, aggiornandola, con il territorio in cui opera. Tutto bene quindi?

A tal proposito mi permetto alcune brevi riflessioni critiche con spirito costruttivo soprattutto per una società sotto controllo pubblico. Mettiamo subito in chiaro che uno dei compiti, non il solo, delle aziende, di tutte le aziende pubbliche o private che siano, sicuramente quello che le da ragione di esistere è l’essere profittevole, creare ricchezza incrementale, per usare un termine in disuso plus-valore. Ma tutte le aziende, in particolare quelle sotto controllo pubblico, dovrebbero a mio avviso porre più attenzione a come vengono impiegati i fattori della produzione, capitale e lavoro, che nel loro allargato interagire determinano i risultati gestionali e come la ricchezza prodotta viene distribuita fra i diversi portatori di interesse che partecipano al raggiungimento degli obiettivi societari, ben oltre la soddisfazione del dividendo.
Seppure in forma meno caratterizzante di altre società anche in Hera si sono affermate in questi anni le teorie gestionali di matrice anglosassone: dall’agente razionale del mercato alla massimizzazione del profitto, dalla massimizzazione del valore azionario alla attualizzazione dei flussi finanziari futuri e altro ancora.

Tomaso Tommasi Di Vignano E Stefano Venier 1

Tomaso Tommasi di Vignano e Stefano Venier, presidente e Ceo di Hera

Evidenzierò ora alcune modalità gestionali di cui anche il Gruppo Hera si è servito in questi anni, per il raggiungimento dei propri obiettivi, scusandomi per la sintesi delle argomentazioni.
Oggi accanto al conto economico e allo stato patrimoniale nelle imprese, in particolare quelle quotate, ha acquisito grande importanza lo stato dei “flussi di cassa” che, utilizzando modalità di calcolo finanziario (non economico), consente di stimare l’attualizzazione dei flussi di cassa futuri con logiche esclusivamente di breve periodo tanto amate dagli analisti finanziari e dalla stragrande maggioranza dei fondi di investimento. Parafrasando un vecchio film di Woody Allen Prendi i soldi e scappa. L’azienda attualizza la quantificazione stimata di valori futuri per offrire maggiori dividendi. Non crea valore ma estrae valore futuro anticipandolo. Ciò va a discapito di una maggiore patrimonializzazione societaria e alla capacità di investire con capitale proprio di rischio.
Altro esempio è l’utilizzo dello strumento del “buy-back”, l’acquisto di azioni proprie, utilizzando liquidità disponibili o indebitandosi. L’acquisto di azioni proprie è nella sua essenzialità una delle modalità di trasferimento di liquidità, di denaro, dalla società agli azionisti che vogliono vendere. E spesso le società procedono a comprare le proprie azioni quando il loro prezzo è alto trasferendo piu ricchezza a chi vende. Questa operazione riduce il numero di azioni sul mercato migliorando il rapporto fra utili e azione, uno degli indicatori per designare il successo dell’azienda ma anche la remunerazione dei manager di vertice. Questa modalità è ultimamente sempre più criticate anche a fronte del fatto che le imprese si privano di risorse che potrebbero promuovere nuovi investimenti e innovazioni tecnologiche di lungo periodo a favore dei territori e della collettività e questo può valere ancor di più per una società controllata dal pubblico.
Ultimo esempio, ma se ne potrebbero fare altri, è la compressione perpetua dei costi, un vortice continuo, che aldilà del giusto efficientamento organizzativo spesso si scarica sui fornitori ai quali si chiedono produzioni e servizi di beni a prezzi “contenuti” o attraverso le dinamiche di entrata e uscita del personale indirizzate alla riduzione delle persone occupate e all’utilizzo di personale a tempo determinato e stagisti.

Per concludere. La questione di fondo è, quindi, come redistribuire la ricchezza prodotta e a beneficio di chi. A partire dagli anni ottanta e ancora fino a oggi le teorie economiche neo-liberiste del valore hanno messo al centro della missione d’impresa solo ed esclusivamente la massimizzazione del profitto diversamente declinato a unico vantaggio dell’azionista.
L’economia, compresa quella aziendale, è economia politica, non è scienza esatta. Le teorie economiche sul valore non sono determinate solo dal mercato e dal principio di utilità in rapporto alla domanda e all’offerta di beni e servizi. È molto di più: è storia, geografia, sociologia, cultura. È visione politica e delle idee su come la società dovrebbe svilupparsi. Dagli anni ’50-’70 del secolo scorso le imprese venivano valutate in ragione dei livelli di patrimonializzazione e occupazione.
Come ho già detto ribadisco che compito dell’impresa, di qualsiasi impresa, è essere profittevole, produrre ricchezza incrementale, ma al contempo l’impresa non è solo economia, è un’organizzazione sociale. Il suo orizzonte deve essere il lungo periodo e la distribuzione della ricchezza prodotta deve essere oltre che economicamente equa anche socialmente sostenibile.
L’assemblea dei soci di Hera quindi dovrebbe essere l’occasione per discutere anche di questi temi e non limitarsi ad alzare la mano approvando il buoni risultati societari. In particolare da parte della proprietà pubblica.

Noi non abbiamo certezze ma il dubbio ci aiuta a riflettere.

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