«Il piano di Eni è lasciare la chimica di base, a rischio anche il sito di Ravenna»

L’allarme della Cgil. «La Cisl non contesta per non contraddire il governo, ma questo non aiuta i lavoratori»

Impianto Eni Versalis Ravenna

Una porzione dell’impianto Eni Versalis a Ravenna

Il piano di riorganizzazione di Versalis, annunciato da Eni, preoccupa molto la Cgil. A Fabio Rossi, responsabile Filctem-Cgil di Ravenna, abbiamo chiesto le conseguenze che potrebbero avvenire nelle industrie del territorio.

Il piano di Eni riguarda la chiusura di tre stabilimenti in Puglia e Sicilia, ma Cgil denuncia possibili ripercussioni per il polo chimico di Ravenna. Quali sono?
«Ci sono due ordini di conseguenze, immediate e a lungo termine. Le prime riguardano l’approvvigionamento della materia prima: a Ravenna si lavora il cracking proveniente dagli impianti di Brindisi, Ragusa e Priolo; perciò, se chiuderanno, bisognerà acquistare l’etilene dall’estero e farlo arrivare via nave. Ciò comporterà una profonda riorganizzazione logistica, nonché rischi di ritardi e necessità di stoccare scorte. Ma se ci fosse solo questo impatto di natura tecnica, sarebbe gestibile. Invece, il nostro timore è che questo sia solo il primo passo per dismettere l’intera chimica di base in Italia. Agli stabilimenti chiusi si potrebbe dunque aggiungere quello di Ravenna».

L’annuncio vi ha colto di sorpresa?
«No, il clima di tensione e dismissione era nell’aria già da anni. Molti reparti sono sottorganico da tempo e le assunzioni sono sempre state molto minori rispetto ai pensionamenti. D’altronde è noto, a chi conosce la storia di questo settore, che Eni non ha mai digerito facilmente il “regalo” della chimica».

Eni non ha parlato di dismissione, bensì di transizione e conversione degli impianti esistenti. In Sicilia la produzione di etilene sarà sostituita dai biocarburanti, in Puglia dagli accumulatori di energia elettrica. A Ravenna cosa potrebbe accadere?
«In questi tempi di crisi climatica, la transizione deve essere compiuta nel più breve tempo possibile. Ma non vogliamo che si ripeta uno scenario già visto: la chiusura degli stabilimenti avviene in maniera molto rapida ed efficiente, mentre la conversione e la riapertura vanno per le lunghe e non rispettano gli impegni presi. Detto questo, gli intenti di Eni su Ravenna al momento non sono affatto chiari. Voci di corridoio sostengono l’intenzione di riportare qui la produzione di elastomeri, attualmente situata in Sardegna, ma sono scettico. Sarebbero necessari degli ammodernamenti molto costosi e impegnativi. In ogni caso, non siamo al corrente delle tempistiche né degli investimenti necessari per questa eventuale operazione».

Tra le conseguenze che denunciate c’è anche l’aumento dei costi.
«È ovvio che importare etilene dall’estero costa più che produrlo in Italia. Nel suo piano, Eni ha annunciato l’intenzione di utilizzare materia prima proveniente dal riciclo; ma per ottenere alcuni prodotti come la plastica alimentare, è comunque necessario utilizzare una parte di cracking. Dal momento che Eni chiuderà gli unici impianti italiani che lo producono, sarà inevitabile acquistarlo sul mercato. L’impatto sarà soprattutto sui consumatori finali, dal momento che questa materia prima è utilizzata in una miriade di oggetti di uso comune».

Quali sono?
«L’etilene è un prodotto chimico di base che si utilizza per produrre qualsiasi materiale plastico, dagli imballaggi al polistirolo, fino ai prodotti finiti come le penne o i vasetti di yogurt. È una sostanza presente in quasi tutto ciò che ci circonda. Oltretutto, la plastica è contenuta in molti più materiali di quanto comunemente si pensa, come per esempio il cemento».

La Cgil ha annunciato un’imminente mobilitazione sul territorio; può darci qualche dettaglio?
«L’11 febbraio ci sarà un presidio a Ferrara, dove convoglieranno anche i lavoratori di Ravenna, Mantova e Porto Marghera. Non solo i dipendenti diretti del polo chimico – che sono 1.400 solo a Ravenna – ma anche quelli dell’indotto come metalmeccanici, edili, trasportatori».

Riguardo i piani di Eni, il fronte sindacale è diviso: la Cisl è su una posizione opposta alla vostra.
«Il diktat della Cisl prevede di non contraddire mai il governo in carica; dunque non ha contestato il piano di Eni, poiché è stato avvallato dal governo Meloni. Ma ai lavoratori che rischiano di perdere il posto, questo non interessa. Mi risulta che ci siano diversi mugugni tra gli iscritti a quel sindacato, perciò sarei molto contento se Cisl convogliasse verso la nostra posizione. L’unitarietà tra sigle è sempre un punto di forza».

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