Non solo un’osteria: la storica Baita che piace alla critica gastronomica

A Faenza l’unica “chiocciola” di Slow Food in provincia: enoteca, ristorante e bottega. Parla il titolare, Fabio Olmeti

Fabio Olmeti Staff Baita Faenza

Fabio Olmeti (al centro) con lo staff della Baita di Faenza

Con le “Tre bottiglie” del Gambero Rosso (uno dei soli undici locali a poterle vantare in Italia), la “Chiocciola” di Slow Food (unica in provincia) e segnalazioni sparse su altre guide gastronomiche, La Baita, a Faenza, è probabilmente il locale più apprezzato dalla critica di tutto il Ravennate.
Non solo un locale che vuole portare avanti la tradizione della migliore osteria, ma un luogo che è anche gastronomia – a un primo impatto soprattutto, con all’ingresso i banchi di fresco con salumi e formaggi nazionali e a fare da contorno paste, sughi, sottoli, oli – e soprattutto un’enoteca che può vantare oltre 800 etichette.
Ne abbiamo parlato con il titolare Fabio Olmeti, della famiglia che ha aperto uno dei locali che ha senza dubbio fatto la storia di Faenza nell’ormai lontano 1975.

«Siamo nati come una bottega che proponeva dal detersivo al salume, cercando sempre di coltivare le nostre passioni e differenziarci dagli altri, a partire dai primi vini proposti come enoteca. La svolta è arrivata con l’apertura dei primi centri commerciali, che ci ha spinto a trasformarci in salumeria ed enoteca specializzata, spostandoci nel 1993 nel locale dove siamo tuttora (in via Naviglio, ndr) e dove abbiamo iniziato a proporre gradualmente anche piatti caldi».

Come reagite davanti ai riconoscimenti di questi anni?
«Sicuramente i riconoscimenti fanno piacere e diventano anche uno stimolo in più per il lavoro quotidiano. L’importante è non adagiarsi sugli allori. Il segreto per ottenere dei risultati credo sia restare sempre umili».

Cosa intende premiare secondo lei la critica gastronomica, alla Baita?
«Credo un lavoro che dura da tanti anni: siamo un locale davvero radicato nel territorio, come abbiamo dimostrato anche in questi due anni di pandemia, senza fermarci mai».

Baita Faenza BottegaQual è la principale emozione che vuole regalare ai suoi clienti?
«Il mio obiettivo è farli sentire il più possibile a casa. Oggi, con la pandemia, i clienti, come forse tutti noi, hanno bisogno di sempre più attenzioni e di essere in qualche modo gratificati, anche mentalmente».

Come sintetizzerebbe invece la sua filosofia che si rispecchia nella cucina della Baita?
«Il tema resta quello dell’accoglienza, che declinata alla mia idea di ristorazione significa puntare su una materia prima buona e proporla al tavolo nella maniera più semplice possibile, per esaltarla. In una parola: semplicità. Ci sono molte osterie che stanno prendendo invece una strada diversa, quella minimalista, della nouvelle cousine, degli abbinamenti azzardati. Apprezzo anch’io proposte di questo tipo, ma credo che per fare un salto del genere bisogna essere pronti, e non sempre succede, con il classico passo che diventa più lungo della gamba».

Per un locale come il vostro, che propone anche vini ed eccellenze gastronomiche per la vendita, deve essere fondamentale il rapporto con i produttori. Chi sono?
«Quelli del territorio frequentano l’osteria, in questi anni con molti abbiamo stretto un’ottima amicizia. C’è spesso un rapporto diretto, a parte con quelli nazionali che lavorano tramite una distribuzione».

E il lavoro sui fornitori continua?
«Per quanto riguarda il vino, essendo anche enoteca con mescita, negli ultimi anni, soprattutto prima del Covid ovviamente, abbiamo sempre cercato di rinnovarci, partecipando a fiere e manifestazioni. Mi piace considerare la nostra cantina dei vini in continua evoluzione, con molte aziende differenti che durante l’anno facciamo “girare”. Così come ci aggiorniamo anche per gli altri prodotti, sopratuttto per quelli un po’ più di nicchia: si può andare a Zocca per un parmigiano interessante, per esempio, così come alla scoperta di un piccolo produttore di mora romagnola».

Baita Faenza EnotecaCi cita qualche fornitore della nostra zona?
«Tra le aziende locali posso citare nella zona di Oriolo la cantina San Biagio Vecchio e i vini di Ancarani, a Modigliana sempre per i vini Il Teatro e poi l’azienda agricola Menta e Rosmarino; a Brisighella ancora i vini di Gallegati e delle Vigne dei Boschi».

Quali sono i suoi piatti preferiti in questo momento in menù all’osteria?
«Innanzitutto va detto che ogni 15 giorni il menù lo cambiamo, con i piatti che seguono la stagionalità. Da quello attuale mi piace citare un’insalata di lesso e giardiniera, che è anche un piatto che sposa la filosofia del recupero. E poi i passatelli in brodo di fagioli e come secondo le mammole ripiene al tegame o la coda di bue in umido».

Un piatto che ha fatto la storia del locale, invece?
«La risposta scontata è il tagliere di salumi e formaggi. Per citare un piatto caldo penso alle nostre tagliatelle ai 24 rossi, anziché le classi- che 10 uova per chilo: una tagliatella molto più proteica ma allo stesso tempo delicata, con soffritto e bruciatini».

Qual è il vostro target di clienti? I riconoscimenti sulle guide ve ne hanno portati di nuovi?
«In realtà la nostra clientela è sempre stata più da fuori, che di Faenza. Diciamo con una proporzione del 60 e 40 percento. In generale posso solo dire che è davvero molto varia la nostra clientela, si va dai ragazzi di 25 anni alle persone di 70».

Ci consiglia un ristorante, che non sia il suo, dove andare a mangiare?
«Ne consiglio due, uno per la carne e uno per il pesce. Rispettivamente l’Osteria del Guercinoro a Brisighella e La Cucoma di San Pancrazio, con una nota di merito per il pesce azzurro, sempre molto presente».

In questo periodo è tornato Masterchef: la tv negli ultimi anni ha cambiato in meglio o in peggio il settore?
«Diciamo che programmi come Masterchef hanno inciso più sulle nuove leve. Sembrano nascere tutti “imparati”, ma purtroppo non è così. Fortunatamente io in cucina sono riuscito a creare un gruppo solido e unito, da 10-15 anni, ma quando ho dovuto fare degli inserimenti ho sempre notato questa cosa, che la gavetta sembra non esistere più, si vuole diventare “chef” troppo in fretta…».

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