Martini, Margarita, Mojito: tre grandi classici, molto diversi

Drink semplici da realizzare ma che non ammettono ingredienti di scarsa qualità

Martini

Prosegue il nostro viaggio nell’immenso mondo dei cocktail, nello specifico, per ora, di quelli a base di distillati bianchi, tra i quali non poteva ovviamente mancare il Dry Martini, o Martini che dir si voglia.

Chi ha preparato il primo Martini al mondo? Alcuni dicono un cercatore della California durante la corsa all’oro del 1849, altri il barman (un italiano di nome Martini) di un hotel di New York nel 1910, ma, molto probabilmente, il Martini è un cocktail che ha fatto la sua comparsa in più luoghi contemporaneamente. Un fatto è certo: la versione originale del drink era dolce, visto che i libri di cocktail del XIX secolo richiedevano regolarmente il vermouth italiano (dolce). Il Dry Martini ha assunto la sua consistenza attuale all’inizio del ‘900, quando il nuovo ordine del giorno era gin, vermouth secco e un goccio di amaro all’arancia.
Quando si prepara il drink, è imperativo utilizzare buoni ingredienti: non c’è posto per nascondere gin o vermouth di scarsa qualità in un cocktail così semplice. Si inizia con un gin stile London Dry (Bisbino o Elephant, per dirne un paio). Da lì, si aggiunge un po’ di vermouth secco. Il rapporto è negoziabile, ma le formule comuni per un Martini Dry si aggirano in genere tra le quattro e le otto parti di gin e una parte di vermouth. Volendo, una spruzzata di amaro all’arancia completa il tutto. E nonostante le esigenti richieste di una certa spia britannica, il Martini va mescolato, non agitato. Il cocktail deve essere limpido e senza frammenti di ghiaccio, quindi va mescolato per almeno 20-30 secondi per ottenere la giusta diluizione, necessaria a portare gli ingredienti in equilibrio. Poi va filtrato nel bicchiere conico che prende il nome dal cocktail stesso, aggiunta una scorza di limone ed ecco fatto il Dry Martini. Ci sono poi innumerevoli varianti, come il Vodka Martini (che si spiega da sé), il Reverse Martini (invertendo i rapporti tra gin e vermouth) e il Perfect Martini, che prevede una divisione uguale di vermouth secco e dolce.
Ricapitolando: in un mixing glass con ghiaccio mettere il gin (60 ml), il vermouth secco (10 ml) e mescolare fino a quando non è ben freddo. Filtrare in un bicchiere da cocktail raffreddato. Guarnire con una scorzetta di limone. Voilà.

Si cambia completamente immaginario con il Margarita, uno dei cocktail più popolari del Nord America. Combinando il sapore del lime e la dolcezza del liquore all’arancia (noto come triple sec) con il profilo gustativo caratteristico del tequila (piccola curiosità: in italiano – lo dice l’Accademia della Crusca – tequila è maschile, quindi, per quanto suoni strano, si dice “il” tequila), il classico Margarita rimane uno degli esempi più riconoscibili e intramontabili della categoria dei cocktail sour (quelli cioè che bilanciano un’acquavite con succo di agrumi acido e un elemento dolcificante). Meno certa è invece l’origine del drink. Sicuramente è nato in Messico, poi qualcuno dice che il nome Margarita nasce in onore dell’attrice statunitense Marjorie King, allergica ai distillati tranne che al Tequila, alla quale nel 1938 il barman dell’hotel La Gloria Ranch vicino a Tijuana servì per la prima volta il drink. Altri sostengono che il cocktail sia stato inventato nel 1948 ad Acapulco, quando una signora di Dallas combinò il tequila blanco con Cointreau e succo di lime per i suoi ospiti. E ci sono anche sostenitori di un’origine legata a una rivisitazione messicana di un precedente cocktail chiamato Daisy (margherita in inglese). Tant’è, a prescindere da come o quando sia stato inventato, il Margarita si è guadagnato la sua strada nel cuore dei bevitori. Partiamo dagli ingredienti e vediamo come gestirli.
Occorrono 35 ml di tequila bianco o mezcal, 20 ml di triple sec, succo fresco di lime, sale fino e ghiaccio. Nella scelta del tequila, la qualità è fondamentale. Optare assolutamente per un blanco prodotto al 100% con agave blu. Se non c’è scritto sull’etichetta, si tratta di mixto, un tequila composto fino al 49% di zuccheri misteriosi. Alcuni tequila eccezionali sono il Kah, il Patròn Anejo e l’Harradura (il top assoluto è il Clase Azul, ma il prezzo è imbarazzante). Poi, anche se molte persone continuano a scegliere il sour mix preconfezionato, l’utilizzo di succo di lime fresco darà vita a una bevanda di gran lunga superiore, ed è l’unico modo per preparare un Margarita di qualità. Il triple sec è uno degli ingredienti caratteristici del Margarita, tuttavia, con l’aumento della popolarità delle varianti della formula classica (Frozen, Green, ecc.), quello che una volta era un ingrediente obbligatorio è ora considerato facoltativo da molti. Un sostituto comune del triple sec è anche lo sciroppo d’agave, che costituisce ad esempio la base del Tommy’s Margarita. La preparazione è semplice: in uno shaker pieno di ghiaccio aggiungere tequila, triple sec, succo di lime e agitare fino a quando non si è ben raffreddato. Versare in un bicchiere basso e largo con ghiaccio fresco, guarnire con una fetta di lime e un bordo di sale (opzionale).

Mojito CocktailInfine, parliamo di un altro classicone, il Mojito, uno dei più popolari cocktail al rum serviti oggi, con una ricetta conosciuta in tutto il mondo. Le origini di questo classico drink si possono con certezza far risalire a Cuba, ma ci sono due teorie: la prima affonda nel tempo fino al cocktail El Draque del XVI secolo, così chiamato in onore di Sir Francis Drake, il capitano ed esploratore inglese che visitò L’Avana nel 1586. El Draque era composto da aguardiente (un’acquavite di canna antenata del rum), lime, menta e zucchero. Si suppone che fosse consumato per scopi medicinali, ma è facile credere che i bevitori ne apprezzassero il sapore e gli effetti.
La seconda teoria colloca il Mojito negli anni ’30 del ‘900, con la fama che arriva poi grazie a Ernest Hemingway, che soggiornò a Cuba negli anni ’50 ed era solito berlo nel celebre locale la Bodeguita del Medio. Gli ingredienti di questo spensierato e gustosissimo cocktail cono 2 cucchiai di zucchero di canna bianco, 45 ml di rum bianco, 20 ml di succo di lime fresco, 40 ml di soda, ghiaccio, 2 rametti di menta fresca (il rametto intero è più aromatico delle sole foglie). Il drink è tradizionalmente preparato con rum bianco non invecchiato, che conferisce un sapore leggero e frizzante. L’uso del rum cubano (Legendario o Havana, per dire) vi farà guadagnare punti per l’autenticità, ma personalmente prediligo altre provenienze, tipo Giamaica (l’Overproof di Wray & Nephew) o Guadalupe (L’Intenso di Karukera).
Preparare il Mojito è facile: in un tumbler alto si mettono i rametti di menta spezzati, poi lo zucchero di canna bianco, quindi il succo di lime. Ora si strofina la menta sulle pareti del bicchiere con un bar spoon, non va pestata. Si aggiunge la soda, poi il ghiaccio e il rum. Bella mescolata e olè, il gioco è fatto.

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