Il cibo di strada, tra socialità e territorio

Street food, tra storia e tradizioni: come riconoscere la qualità?  Ecco la ricetta della crescia

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Il festival dello Street Food andato in scena ai giardini pubblici di Ravenna a fine aprile

Se fino a qualche anno fa avremmo sostenuto che lo street food era una tendenza emergente, oggi possiamo affermare senza alcun dubbio che è una realtà economica stabile e consolidata. Porchetta e lampdredotto, gnocco fritto e arrosticini, panini, focacce, pizze, gelati artigianali, piade e crescioni, sfincioni e pani câ meusa, marroni, fritti e frittini… lunghissima sarebbe la lista di tutto quello che è possibile trovare nell’offerta del cibo di strada.

La chiave del successo? È facile e veloce da consumare, va dove vuole, si arricchisce di novità rielaborate in chiave golosa e costa poco (o quasi).
Poi, chi ha deciso di investire sullo street food ci ha anche messo del suo incrementando la qualità, puntando sulla comunicazione e spingendo sul valore di nutrirsi in maniera diretta.

Ancora, c’è la ritrovata socialità: il cibo di strada si condivide con chi sta passeggiando con noi, identifica uno stato d’animo, ci viene incontro nei momenti del bisogno, si consuma con le mani e abbatte le barriere del bon ton e delle posate. Il cibo di strada quindi come assoluta libertà espressiva in materia di cibo.

Street Foodjpg02Infine, sopra a tutto, e cosa non da poco, consolida il senso di appartenenza a una comunità attraverso la tradizione: il cibo di strada come il riassunto di una cultura gastronomica, come una lingua comune, come il dialetto. E si sa, le tradizioni regionali italiane sono e saranno sempre apprezzate dal pubblico: puntano sugli ingredienti tipici, sulle preparazioni locali, sono espressione autentica di un territorio.

Ma attenzione. Lo street food non è un fenomeno gastronomico alieno alla società e per questo non può non andare incontro a una serie di tendenze e influenze mutuate dalle nostre esigenze più o meno recenti o da oggettive necessità di salute.

Ora … come riconoscere la vera qualità e come scegliere fra le mille varianti? Prima di tutto la proposta deve essere semplice, chiara, trasparente e il focus deve essere la valorizzazione del Made in Italy. Sto parlando di territorialità e di stagionalità, di selezione delle materie prime, di ricerca e voglia di distinzione. Vanno apprezzate le preparazioni non omologate e caratterizzate da ricette molto locali. Vanno premiate le realtà che investono su prodotti certificati (spesso poco economici!) e sui presidi Slow Food. E non per questo va scartato il bio, il veg e il gluten free. È vero, non c’è stato scampo, sono queste le tre paroline magiche che negli ultimi anni hanno spopolato nello scenario gastronomico e che per forza di cose sono anche approdate nei cibi di strada. Salute o scelta etica, si tratta di target sempre più ampi che anche lo street food ha dovuto prendere in considerazione e “sposare” con la tradizione. Chi ci è riuscito con successo ha dato vita a proposte davvero interessanti.

Un po’ di storia
La cultura gastronomica, da sempre, è strettamente connessa con le strade e non solo perché, da quando gli uomini hanno cominciato a viaggiare, il “cibo di strada” è stato un fondamentale capitolo del loro modo di nutrirsi, ma anche, e soprattutto, perché la strada è stata essa stessa un veicolo di diffusione delle abitudini alimentari. Lungo la strada non viaggiano solo gli uomini, ma le loro idee e i costumi, le pratiche e i cibi. I Romani ne furono capostipiti, tanto che gran parte della popolazione consumava i pasti in piedi, velocemente, sostando in locali a cielo aperto adiacenti alla strada. Di queste strutture rimangono importanti vestigia a Pompei. Qui le taverne erano oltre che meta dei viaggiatori di passaggio anche il luogo dove i poveri si facevano riscaldare le vivande (non sempre disponevano di fornelli a casa loro).
Oltre alle “cauponae” e alle “tabernae” dove i passanti compravano o consumavano bevande fresche o vino caldo, numerosi erano i venditori ambulanti che offrivano pane, frittelle, salsicce, ecc. Le classi popolari urbane conoscevano il piacere di consumare a tavola solo il pasto serale.
Lo scrittore latino Marziale in un epigramma descrive il caos delle strade dell’Urbe prima dell’editto di Domiziano che aveva regolato l’esposizione e lo stazionamento di merci per strade e marciapiedi: «Non più fiaschi appesi ai pilastri… barbiere, bettoliere, friggitore, norcino; nel proprio guscio se ne sta ciascuno. Ora c’è Roma: prima era un casino».

La Ricetta

Crescia o torta del panaro, una specialità umbra
Crescia5Conosciuta con i nomi di “crescia” (Gubbio), “torta del panaro” o “pizza sotto il fuoco” (Terni), economicissima e facile da preparare, spesso nelle famiglie umbre era utilizzata come sostitutivo del pane. Nel comprensorio eugubino la crescia veniva fatta cuocere nei tradizionali “panieri” (testi) appoggiati al camino delle case contadine accanto al fuoco. Il testo di terracotta man mano, negli anni, è stato sostituito da quelli fatti con lega di ghisa e alluminio che permettono di cuocere la torta comodamente sui fornelli a gas, anche se inevitabilmente a scapito di un sapore più buono.
Ingredienti: 500 grammi di farina 0 (va benissimo anche la 1, anzi … forse forse è meglio), 1 uovo intero, 60 grammi di Parmigiano grattugiato, 230 millilitri di latte intero, 2 cucchiai di olio extravergine di oliva, 1 bustina di lievito per torte salate, 10 grammi di sale marino integrale, acqua a temperatura ambiente se serve per rende più lavorabile l’impasto
Preparazione: porre nel bicchiere dell’impastatrice tutti gli ingredienti ed impastare fino a che non si ottiene un impasto liscio ed omogeneo. Ora formare una palla e lasciar riposare per almeno 20 minuti. Trascorso questo tempo … stendere con il matterello fino ad ottenere un disco di circa 1 centimetro di spessore. Bucherellare con i rebbi di una forchetta perché non si formino delle bolle durante la cottura. Nel frattempo scaldare il testo sul fornello e, quando sarà ben caldo, adagiarvi sopra la Torta al Testo. Questa dovrà cuocere per 10/12 minuti (circa 6 per lato). Circa la cottura va detto che è necessario girarla almeno 5/6 volte per far sì che anche il centro sia perfetto!
Una volta cotta … ritirare dal testo, lasciar freddare per almeno 5 minuti (possibilmente su una gratella), tagliare e servire ancora calda.
La farcitura: Come per la nostra piadina, la Torta al Testo di può farcire in mille modi ma in Umbria le farciture tradizionali sono solo tre. Erbette e Salsiccia: le erbette sono le cicorie, le biete o un mix di queste. Solitamente viene lessata, strizzata e ripassata in padella con olio, aglio e peperoncino. La salsiccia invece viene cotta alla brace, tagliata a metà nel senso della lunghezza e messa calda a farcitura. Prosciutto crudo stagionato (di Norcia) e Stracchino e radicchio verde (adesso rucola). Io mi permetto di suggerire un’altra farcitura: melanzane grigliate (con aglio e basilico) e Pecorino di Pienza.

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