La carica dei giovani delle Tenute Tozzi: «Tutto è partito da nonno Franco…»

Dalla Terra dei Gessi di Casola Valsenio agli ettari acquistati sull’Etna «In vigna siamo per la sostenibilità: l’obiettivo è creare una vera oasi naturale»

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Virginia Lo Rizzo nella vigna di Casola

Tenute Tozzi di Casola Valsenio è una realtà giovanissima del panorama enoico romagnolo – anche se i suoi vini sono tutt’altro che “acerbi” –, così come giovanissima è la sua responsabile, la trentenne Virginia Lo Rizzo, nipote del fondatore Franco Tozzi, la cui passione per il vino ottenuto dal rispetto per il terroir è contagiosa.

Virginia, come sono nate le Tenute Tozzi?
«Tutto parte da mio nonno Franco, che è il capostipite. Nel 2015, a Casola Valsenio, il nostro paese d’origine, ha ereditato la tenuta che nel 2016 è poi diventata Terra dei Gessi, la nostra ragione sociale. Lui, che già aveva una grande passione per il vino, ha cambiato un po’ l’orientamento della tenuta, togliendo la frutta e piantando la vite. A oggi abbiamo quasi dieci ettari di sei tipologie diverse, scelte da lui col buon consiglio della nostra prima agronoma, Marisa Fontana. Forte di una buona altitudine – siamo a quasi 500 metri sul livello del mare –, il nonno voleva fortemente piantare pinot nero e merlot, in ricordo dei grandi vini dei suoi tempi e per suo gusto personale. Poi ha piantato l’albana, la nostra Docg, un vino su cui voglio puntare molto. In generale credo che la Romagna stia facendo un ottimo lavoro sull’albana; è ancora un po’ sconosciuta all’estero o comunque è conosciuta solo la versione passito, e credo sia ricordata in generale in maniera più antiquata. Insieme al pinot nero, di cui siamo molto soddisfatti, l’albana è il nostro prodotto di punta».

Siete una realtà molto giovane.
«Sì, come dicevo la vigna è stata piantata nel 2016, poi nel 2017 c’è stata la prima vendemmia ma abbiam fatto solo due vini. La prima vera vinificazione è del 2019, con tutte le vigne in produzione e la realizzazione di cinque vini. Ed è proprio dal 2019 che me ne occupo direttamente. Quando è iniziato il progetto, io per passione personale stavo già facendo il corso da sommelier e mio nonno è stato felice di lasciare la questione a me. Devo dire che sono estremamente contenta di potermene occupare, mi sta dando moltissimo, non ho fatto studi specifici, sono nuova del mestiere. Sto imparando e ovviamente mi aiutano dei consulenti, sia in vigna che in cantina. Inoltre anche il mio compagno, Peter Toschi, si è innamorato di questo mestiere ed è bellissimo fare le cose insieme, in famiglia. Tutto il team è giovane, siamo tutti sotto i 40, molto affiatati, il progetto è nuovo e c’è tantissimo da fare, ognuno si occupa di qualcosa ma allo stesso tempo di tutto. Io stessa do una mano in cantina, in vigna, mi occupo della comunicazione, del marketing, do una mano al commerciale, vado a tutte le fiere; non riesco per ora a identificarmi in un unico ruolo, perché voglio imparare tutto, essendo produttori che coprono tutta la filiera».

Mi racconti i vini che fate?
«Inizialmente siamo usciti con una linea di cinque vini, come i cinque nipoti di nonno Franco. Quindi c’è Vivì, cioè io, Virginia, che è pinot nero, poi Bidibidì, dedicato a mia sorella Agata, Pinot nero vinificato rosato e rifermentato in bottiglia; Tantalilli, per Natalia, la terza nipote, albana secco, Iko, ossia Federico, sangiovese superiore, e Ally, Allegra, la più piccola, albana passito. Le etichette sono disegni realizzati da mio cugino quando era piccolo. Questi nomi e queste etichette sono la nostra storia, non siamo una famiglia che fa vino da generazioni, ma comunque il nonno ha sempre fatto il vino per lui e i suoi amici. Attualmente produciamo tra le 30 e le 35mila bottiglie, ma vorrei arrivare sulle 80mila, che è quello che può fare la nostra vigna».

Che pratiche agricole utilizzate?
«In vigna seguiamo le pratiche della Sqnpi (Sistema di Qualità Nazionale Produzione Integrata), una certificazione di sostenibilità, con trattamenti solo se necessari, non a calendario, diserbo solo meccanico, sovescio inter-file, e puntiamo a fare una concimazione totale completamente organica, stiamo facendo il primo compost, vorremmo creare una vera oasi naturale in tutta l’azienda. Anche se ci vorrà un po’, questo è l’obiettivo».

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Il vigneto dell’azienda vitivinicola Tozzi in Sicilia, con l’Etna sullo sfondo

Poi c’è l’anta siciliana del progetto.
«Sì, dal 2018 siamo produttori anche sull’Etna, dove abbiamo acquistato e affittato qualche ettaro grazie a un amico nonché nostro enologo là, Paolo Caciorgna. Siamo nel versante nord, a Solicchiata, tra Linguaglossa e Randazzo, a 700 m slm. Abbiamo preso inizialmente cinque ettari in affitto di una vigna vecchissima del 1930 a piede franco, praticamente tutta a nerello mascalese, tranne qualche filare di carricante, e per equilibrare la produzione tra rosso e bianco abbiamo acquistato tre ettari dove abbiamo piantato tutto carricante. Anche lì l’idea è di arrivare sulle 80mila bottiglie, forse anche meno, perché la resa è inferiore».

Dove arrivano i vini di Tenute Tozzi?
«In Italia in questo momento siamo coperti a Milano e Roma tramite due agenzie di cui siamo molto contenti, mentre in regione siamo nelle province di Ravenna, Forlì e Ferrara. Poi c’è l’estero, che sicuramente fa la differenza, c’è un mondo là fuori. Al momento abbiamo venduto qualcosa negli Stati Uniti, mercato molto importante, forse il più importante. Sono appena partiti due bancali per la California. Poi abbiamo qualcosa in Olanda e Belgio».

In degustazione: il Vivì, pinot nero elegante

Tra i vini di Tenute Tozzi abbiamo scelto di degustare il Vivì 2020, pinot nero Ravenna IGP, dedicato a Virginia, nipote primogenita della famiglia Tozzi, che intervistiamo nel pezzo principale. Premesso che l’annata 2020 ha sicuramente ancora del potenziale inespresso, ci troviamo di fronte a un vino che mette subito le cose in chiaro, ossia la sua eleganza, la personalità quasi sfrontata, il religioso rispetto per il terroir, restituendo in pieno la componente argillo-ferrosa e calcarea delle colline casolane.
All’esame visivo il Vivì si manifesta con il tipico colore del vitigno, un rosso rubino scarico, contraddistinto anche da lievi sfumature che tendono al granata. Ma è il naso a dare tante emozioni, con profumi ampi e stratificati, in cui la frutta rossa (ciliegie e marasca), ben matura, si sviluppa su una trama composta da diverse note, derivanti anche dall’affinamento in barrique. In bocca è di corpo medio, armonioso, con un sorso delicato, sottile e fasciante, animato da tannini molto fini.
Sono curioso di riassaggiarlo tra qualche anno.

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