Alta cucina fra crudismo e piatti vegani. A tu per tu con la chef Daniela Cicioni

Free-lance tra i più innovativi e rinomati, a Ravenna per uno shooting fotografico

Daniela Cicioni Chef Vegana

Daniela Cicioni Chef Vegana

Lo shooting fotografico organizzato dall’agenzia Cambiamenti per “Ossigeno – Elements of Life”, pubblicazione bilingue sul benessere e stili di vita consapevoli, edita dall’azienda alimentare Euro Company di Godo di Russi, ci ha offerto un’importante opportunità. Presso il laboratorio gastronomico di Cescot/Tecnohelp, a Ravenna, abbiamo incontrato Daniela Cicioni, chef free-lance, consulente, insegnante di cucina vegana e crudista, fra i più innovativi e rinomati a livello nazionale. Daniela che a Ravenna ha presentato la sua linea di “fermentini” – formaggi vegetali in sintonia con la filosofia alimentare vegana – in effetti arriva da un mondo lontano, quello dell’architettura del paesaggio, molto diverso dal quello della gastronomia “naturale” in cui opera oggi.

Cicioni Vegan Chefjpg02Dopo alcuni anni vissuti a cavallo fra il mondo dell’architettura e la passione per le cucine vegetariana e vegana, poi ha scelto definitivamente la vocazione culinaria…

«Erano gli anni dell’università quando mi trovai ad affrontare l’esigenza, molto personale, di una alimentazione consapevole, adatta a me e al mio pensiero, consona con la mia ricerca di benessere. Poi venni a conoscenza di una scuola a Milano, “Sana Gola”, che, oggi posso dirlo con certezza, mi avrebbe aperto gli occhi. Lì appresi le prime basi della Macrobiotica e della Scienza dell’alimentazione, lì capii che già prendeva forma un sogno, che forse il mio futuro non avrebbe trovato terreno fertile nell’architettura. Ho preso coscienza che era necessario vedere le cucine vegetariana e vegana, quelle che stavo perseguendo, con tolleranza, senza estremismi e che era necessaria grande serenità nella gestione delle regole che volevo impormi. Poi è arrivata la laurea e la ricerca di una occupazione nel settore dei miei studi. Ho fatto varie esperienze, belle, formative ma presto mi sono resa conto che non era la mia strada. Nel cassetto c’era sempre il sogno della cucina, della mia cucina, fatta secondo la mia visione e in base alle mie conoscenze. Mi sono licenziata e ancora con le idee un po’ confuse ho seguito un corso di specializzazione in catering. In quel periodo un ristorante di Milano, vegano e crudista, cercava uno chef. Dopo il primo colloquio fu chiaro che di crudismo ne sapevo ben poco. Ho studiato, mi sono documentata a dovere… Al secondo colloquio mi hanno assunta. È stata una esperienza lunga – dal 2006 al 2012 – dura, ma molto importante per la mia formazione. Sono entrata per la prima volta in una cucina professionale, ho affrontato il rapporto diretto coi clienti, lavoravo in una cucina a vista, ed è stato una fase di grande crescita per me. Poi grazie a un importante incontro con Paolo Marchi, che fin da subito ha apprezzato e appoggiato il mio lavoro, mi sono sentita pronta per andare avanti sulle mie gambe e diventare una libera professionista».

Oggi da dove nascono Daniela i suoi piatti?

«Io ho deciso di vivere in un luogo molto bello, sul lago di Como, in cui il senso della vista è costantemente sollecitato. Nelle mia mente le immagini fanno nascere suggestioni e da queste inizia il ragionamento. Tutto sta nel cercare di ricreare quelle immagini con ingredienti coerenti, sani e vitali».

E arriviamo quindi alle materie prime, ai suoi ingredienti. Dove li cerca, come li sceglie, cosa pretende da questi alimenti?

«Beh, su alcune materie prime proprio non transigo: tofu, miso e similari li voglio di grande qualità e possibilmente bio. Sulle verdure invece, purtroppo oggi il termine biologico vuol dire ben poco: cerco quello che di meglio riesco a trovare nel mio territorio, nel rispetto della stagionalità. Confesso però che mi piacerebbe potermi creare una piccola rete di fornitori “artigiani della terra”, di persone che fanno il loro lavoro con passione e dedizione. Purtroppo non è facile».
Materie prime Cicioni Vegan Chefjpg01quindi tutte di origine vegetale e lavorate nel pieno rispetto della loro natura. Ci racconta cosa significa per lei “crudismo” anche per fare un po’ di chiarezza su un termine e un tema su cui si rischia di fare confusione?
«Parto proprio dal crudismo che non è una versione “estrema” della cucina vegana bensì una chiave di lettura della realtà che prende spunto dalle filosofie orientali e che esula dalla tradizione e dal modo che solitamente abbiamo di percepire i sapori. Personalmente cerco sempre di far convivere nei miei piatti la cucina vegana e quella crudista rispettando l’alimento e preservando la carica vitale di ogni ingrediente. E lo faccio partendo dalla consapevolezza che esistono tre momenti chiave dello sviluppo vegetale. Prima di tutto la germinazione: è lo stadio iniziale in cui “il seme viene riportato alla vita”, lasciandolo in acqua per 8 ore. C’è un grande cambiamento a livello cellulare in questa fase, si riattivano gli enzimi, vengono prodotte le vitamine, le proteine si scindono in aminoacidi, i carboidrati complessi in zuccheri semplici. Insomma, il seme mette in circolazione le energie necessarie per far nascere una nuova pianta. Se ne ottiene ottima digeribilità e ricchezza di nutrienti. La fase successiva è la germogliazione che inizia con lo sviluppo delle foglioline e coincide quindi con l’attivazione della fotosintesi clorofilliana: le riserve energetiche si trasferiscono dal seme ai germogli e la carica vitaminica ne risulta quasi centuplicata. Infine, aggiungendo acqua ai semi, si innesca la fermentazione, una trasformazione dovuta ai microrganismi “buoni” che cambia la consistenza degli ingredienti, conferisce un sapore acidino o effervescente e aumenta la digeribilità. Ecco, posso dire che la mia cucina poggia su questi cardini».

 

 

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