martedì
23 Settembre 2025

«Brutte lesbiche», 55enne a processo. L’Arcigay: «Pronti a costituirci parte civile»

Una delle due vittime avrebbe tentato anche il suicidio. La solidarietà dell’associazione

Arcigay 800x450Una 55enne ravennate è finita a processo per stalking, accusata (anche) di insulti omofobi («brutte lesbiche mi fate schifo») da due donne residenti nello stesso condominio, sposate con la cosiddetta legge Cirinnà. Una delle due vittime, a causa delle vessazioni, avrebbe tentato perfino il suicidio.

Il caso è riportato dal Corriere Romagna ed è al centro di una nota dell’Arcigay Ravenna.

«Un attacco a una famiglia è un attacco alle famiglie tutte – scrive il presidente dell’associazione, Ciro Di Maio –. Anche quelle formate da due donne».

«Tanta é la rabbia nel sapere che ancora si discuta della necessità di una legge nazionale che criminalizzi l’omofobia quando le cronache sono popolate da tali notizie con cadenza pressoché giornaliera – continua la nota inviata ai giornali da Arcigay –. Tanta è la solidarietà che la comunità Lgbt+ esprime a questa famiglia. Come Arcigay Ravenna ricordiamo alle vittime di questi vili comportamenti perpetrati nei loro confronti che le nostre volontarie e i nostri volontari sono disponibili per ogni necessità.
Nel caso in cui si dovesse arrivare a una fase giurisdizionale Arcigay Ravenna si costituirà parte civile e si tiene a ricordare che con la recente legge regionale contro l’omofobia anche la Regione Emilia Romagna potrebbe valutare di procedere in tal senso».

Social network e adolescenti, parla l’esperto: «Genitori, i divieti non servono»

Michele Piga va nelle scuole con progetti di educazione digitale: «La tecnologia ha prodotto una frattura generazionale»

Michele Piga
Michele Piga

Se c’è un’età in cui i social sono parte integrante della vita di ognuno e mezzo di comunicazione e partecipazione privilegiato quella è l’adolescenza, con tutti i rischi annessi e connessi, cominciando dal cyberbullismo.

Ne abbiamo parlato con Michele Piga, dell’associazione PsicheDigitale di Cesena che nell’anno scolastico appena iniziato collaborerà con l’associazione Femminile Maschile Plurale nelle scuole superiori del Ravennate con progetti proprio di educazione digitale, di cui anche i nativi digitali hanno bisogno.

«Spesso i ragazzi sono tecnicamente molto preparati, ma non hanno la consapevolezza dello strumento che hanno in mano. Per esempio conoscono le impostazioni della privacy meglio degli adulti e in generale preferiscono Instagram anche perché un profilo è molto più difficilmente reperibile rispetto a quanto accade con Facebook. La tecnologia ha prodotto una frattura generazionale per tanti versi senza precedenti e i genitori spesso commettono più errori dei loro figli, mentre i ragazzi hanno bisogno di sviluppare competenze che li aiutino a diventare “saggi digitali”, ad acquisire consapevolezza di come funzionano le persone che si mettono in relazione dietro quello strumento».

Divieti drastici sono inutili se non dannosi, secondo Piga. «Certo, perché il ragazzo arriverà comunque a quel mondo che è ormai il tramite per la socialità e in caso di problemi non avrà nessuno a cui rivolgersi, è importante invece mantenere un dialogo».

E per i genitori è importante anche avere idea di come quel mondo si sta muovendo. «Oggi è sempre più mescolato il piano ludico con quello social, basta pensare a giochi come Fortnite. I ragazzi condividono e raccontano cose di sé e si comportano come da sempre fanno gli adolescenti, ma con uno strumento costruito apposta per cavalcare l’onda emotiva, per darci poco tempo per la riflessione e per scatenare reazioni emotive che ci spingano subito all’azione. Quindi i ragazzi si trovano immersi, più delle generazioni precedenti, in un modo che riesce bene a sfruttare una fase della loro vita dove le emozioni sono molto amplificate».

Ecco allora che se un tempo ci si scambiava i diari tra amici o amiche del cuore, oggi ci si scambiano le credenziali del profilo Instagram con rischi molto maggiori. «Ma si è in quell’età in cui non si immagina che un rapporto di amicizia possa deteriorarsi con il tempo…».

Non solo, anche molte azioni di cyberbullismo nascono da comportamenti inconsapevoli, da scherzi di cui non si percepisce la portata o il danno. «Ecco perchè è importante – dice ancora Piga – aiutarli a lavorare sull’empatia, perchè il tramite dello schermo può complicare i rapporti, può rendere difficile far capire cosa intendiamo davvero con un messaggio e come questo viene percepito, ma senza demonizzazione dello strumento».

Insomma, gli adulti servono ancora a qualcosa in questo mondo in cui i momenti on line da quelli off line sono sempre più difficilmente separabili per i ragazzi che hanno ancora e forse più che mai bisogno di una guida, non necessariamente tecncologicamente avanzata.

Una mostra sul cammino Londra-Gerusalemme e nel 2021 il giro del mondo a piedi

I progetti del ravennate Elia Tazzari, protagonista con le sue fotografie al festival ItineRa

Elia Tazzari
Una foto di Elia Tazzari in mostra

Il ravennate Elia Tazzari ha camminato nel 2017 sotto le insegne di Trail Romagna dalla Stazione Victoria di Londra alla Basilica del Santo Sepolcro in Gerusalemme, lasciandosi alle spalle 113 giorni di cammino, una moltitudine di compagni raccolti attorno a sé nel corso del lungo viaggio e, naturalmente, una grande varietà di spazi attraversati e paesaggi dimenticati.

Al ritorno, Tazzari ha costruito una serie fotografica selezionando una trentina d’immagini fra le oltre 1.500 scattate con un paio di cellulari lungo il percorso, per raccontare i lati spesso rimossi o volutamente omessi dalla narrazione riguardante il cammino e la geografia propria dell’andare a piedi.

La mostra “Londra-Gerusalemme” – dall’1 all’8 ottobre al Palazzo dei Congressi di Largo Firenze, a Ravenna, dalle 14 alle 18 a ingresso libero, nell’ambito del festival ItineRa – si configura “come scabro viaggio fotografico che rifiuta l’abuso di paesaggi eclatanti e cartolineschi in favore dell’esplorazione dei margini fisici e metaforici, di suggerimenti paesaggistici a volte sinistri e allusivi, di indizi, epifanie e brutali squarci su quelle che spesso sono le strade obbligate del camminatore”.

Elia Tazzari all'eremo di Camaldoli
Elia Tazzari all’eremo di Camaldoli

Ecco allora susseguirsi in questa narrazione per immagini grandi pareti di pietra, pianure d’asfalto bruciate, ritratti distorti, carcasse galleggianti, piccoli santuari eretti ai margini di strade di campagna, la mole imponente dei Tir e monoliti svettanti nel nulla, in una sequenza che fa emergere gli aspetti che più affascinano Tazzari nel corso dei suoi cammini.

Elia Tazzari è nato a Ravenna nel 1990. Scrive, filma, fotografa e cammina. Vive a Savio di Ravenna.

La mostra anticipa idealmente quella che sarà la nuova impresa di Elia, prevista per il 2021 e per i tre anni a seguire: il giro del mondo a piedi, attraverso Europa, Stati Uniti, Australia e Russia, un’avventura “ecologista” attraverso alcuni dei paesi maggiormente responsabili dell’attuale disastro ambientale e climatico.

Un esposto all’Anas per il rumore della Classicana: «Disagi a Classe e Porto Fuori»

L’iniziativa della lista civica La Pigna, che pensa a barriere e pavimentazioni a bassa emissione

ClassicanaLa lista civica La Pigna ha inoltrato ad Anas un esposto per chiedere di fatto barriere anti-rumore a tutela dei cittadini di Classe e Porto Fuori, in particolare quelli che risiedono in prossimita della Classicana, «che sopportano i disagi dell’inquinamento acustico causato dall’intenso traffico pesante da e per il porto, a tutte le ore del giorno e della notte».

La Pigna chiede in particolare un monitoraggio acustico e «la valutazione dello stato attuale di inquinamento dovuto alle emissioni sonore prodotte dal traffico, in relazione anche all’installazione di barriere antirumore e pavimentazioni a bassa emissione del rumore del rotolamento».

«A questo – continua la Pigna – si aggiunga il fatto che il ponte della Classicana sui Fiumi Uniti, a causa dei giunti di campana sconnessi e della presenza di numerose buche dell’asfalto, causa ancor più rumore».

Standing ovation per Alex Zanardi, ancora da record all’Ironman di Cervia

A vincere la gara maschile un atleta australiano, tutto tedesco il podio femminile

Zanardi IronmanÈ stato ancora una volta Alex Zanardi il protagonista dell’Ironman di Cervia, la gara di triathlon estremo (3,9 km di nuoto, 180 km in bicicletta e 42,95 km a piedi) che si è svolta sabato 21 settembre a Cervia davanti a una folla di persone. 52mila le presenze turistiche stimate, per un indotto che sfiora i 10 milioni di euro, secondo l’assessore al Turismo della Regione, il cervese Andrea Corsini.

Oltre 6mila gli atleti da tutto il mondo, di cui circa la metà hanno partecipato alla gara più dura, l’Ironman di sabato, unica tappa italiana del circuito, dove Zanardi ha fatto segnare un nuovo record mondiale paralimpico, migliorando il suo dello scorso anno, con 8h25’30” e chiudendo all’ottavo posto assoluto.

A vincere la gara maschile è stato invece il 36enne australiano Cameron Worf, con il tempo di 7 ore, 46 minuti e 40 secondi, precedendo sul traguardo lo sloveno Jaroslav Kovacic (8 ore, 3 minuti e 11 secondi) e Giulio Molinari, il primo degli italiani (8 ore e 8 minuti).

Tutto tedesco il podio femminile, con la 62enne Caroline Lehrieder che ha tagliato il traguardo con il tempo di 8 ore, 48 minuti e 23 secondi, precedendo le connazionali Jenny Schulz (8 ore, 56 minuti e 39 secondi) e Mareen Hufe (9 ore, 2 minuti e 12 secondi).

Nella giornata di oggi (domenica 22 settembre) gran finale con la mezza distanza e il party finale che culminerà alle 22 con i fuochi d’artificio sulla spiaggia di Cervia.

L’esperto: «Social e smartphone, siamo a un punto di non ritorno»

Parla il sociologo Giovanni Boccia Artieri, tra gli studiosi che hanno dato vita al “Manifesto per una comunicazione non ostile”: «Dobbiamo augurarci più consapevolezza»

Boccia ArtieriL’educazione alla rete è il primo passo. Capire, cioè, che i comportamenti sul web si possono ripercuotere nella vita di tutti i giorni. Il secondo è la comprensione dello strumento: i social non sono fatti solo per comunicare ma soprattutto per costruire comunità.

Sono i due “fondamentali” che emergono dall’analisi di Giovanni Boccia Artieri – bolognese di nascita e ravennate d’adozione, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Urbino – uno dei maggiori esperti in Italia e tra gli studiosi che hanno lanciato il “Manifesto per la comunicazione non ostile”, una carta che elenca dieci princìpi utili a migliorare il comportamento di chi sta in rete.

Professore, come si deve comportare un Comune o un ente pubblico che riceve insulti sui social network?
«Di solito il fenomeno non si concentra sulle pagine istituzionali ma su quelle personali. L’attacco arriva laddove c’è un riconoscimento del singolo politico».

In questo caso cosa dovrebbe fare un sindaco o un amministratore? Meglio il dialogo o le vie legali?
«Si può dialogare soltanto se dall’altra parte c’è la stessa volontà. Altrimenti l’amministratore sulla sua pagina personale ha tutto il diritto di chiudere o cancellare i commenti e nei casi più gravi denunciare. Non bisogna subire passivamente».

Ci sono modi di prevenire questi comportamenti?
«Una policy di regole per i commentatori aiuta. Chi pubblica sui social network deve capire che è responsabile di quanto scrive: noi siamo gli stessi sia fuori sia dentro la rete e così come una persona non va in giro ad insultare la gente, allo stesso modo si deve comportare on line».

Sembrerebbe un concetto intuitivo, come mai non viene recepito?
«Perché molte persone trattano i social network non come uno strumento bidirezionale ma come se guardassero un talk show televisivo insultando i personaggi in tv, senza rendersi conto che in quel caso le parole restano confinate nel salotto mentre sul web potenzialmente vengono lette da tutti e restano lì».

A monte c’è un problema educativo?
«Certo. Tra le attività che svolgo infatti c’è un progetto nelle scuole medie ravennati che tocca proprio questi temi. Finora i laboratori più diffusi sono quelli che servono a preservare i minori da reati informatici di malintenzionati mentre la mia attività serve soprattutto far capire loro quale linguaggio utilizzare nelle piattaforme e in che modo salvaguardare i propri diritti».

L’impressione è che i giovani siano più “educati” degli adulti all’uso dei social. È vera?
«È una generalizzazione e in quanto tale lascia il tempo che trova. Tuttavia è vero che i giovani hanno mediamente capito prima che esiste una reputazione on line non distinta da quella della vita di tutti i giorni. Non è un caso che il social da loro più utilizzato – Instagram – sia spesso impostato come profilo privato (cioè non visibile da tutti, ndr). Poi, magari, hanno una rete molto allargata ma l’impostazione di base è quella di una maggiore riservatezza».

E gli adulti?
«Hanno avuto meno tempo di socializzarsi e hanno importato nella rete i vecchi schemi. C’è inoltre una questione di tematiche: ad esempio nella politica si creano meccanismi tipici della tifoseria. Qualcuno poi quando scrive un post nella propria pagina Facebook, lo fa come se parlasse ad un pubblico televisivo».

In che modo lo Stato, a partire dagli enti locali, può migliorare la situazione?
«Incoraggiando i cittadini ad utilizzare i social per ciò per cui sono nati: come strumento di partecipazione e di costruzione di una comunità. Fanno rumore solo gli esempi negativi ma ci sono innumerevoli casi di buone pratiche. Restando nella nostra regione: la polizia locale di Riccione ad esempio ha un corpo di agenti operativi formati per utilizzare i social network come strumento di infor- mazione. A Bologna via Fondazza è diventata la prima social street. Nelle Marche dopo il terremoto i vari gruppi cittadini su Facebook sono diventati importanti punti di riferimento».

Qual è il mezzo più adatto a questi scopi?
«I più diffusi e utilizzati sono due strumenti: il primo è un social network ed è Facebook, ancora dominante e conosciuto da tutti. L’altro non è un social ma un’applicazione di messaggistica istan- tanea: Whatsapp. Qui si entra in gruppi più ristretti rispetto a Facebook e soltanto su invito».

Su Whatsapp sono nate anche le “chat di vicinato” che hanno come scopo primario la sicurezza del proprio quartiere. Che pensa a riguardo?
«Da studiare sono molto interessanti. Il loro problema è il rischio di disintermediare rispetto al tema di cui si occupano. I cittadini rischiano di pensare di poter fare da soli anziché appoggiarsi alle istituzioni, entrando con loro in una logica di autogestione più che di collaborazione. Vale per le chat di vicinato ma può essere un ragionamento applicabile anche a quelle scolastiche. Fanno quindi bene le istituzioni a preservare il valore pubblico di tali iniziative confrontandosi con i cittadini che le lanciano e responsabilizzandoli».

Lei forma giovani che lavorano nel settore dei social media. Nel privato queste figure sembrano aver trovato una collocazione, nel pubblico c’è richiesta?
«Comincia ad essercene anche se rispetto al privato si è un po’ più indietro. A volte i profili social dell’amministrazione vengono affidati a chi si pensa abbia il lavoro più affine, come l’addetto stampa, anche se si tratta di mestieri diversi. Anche qui alcuni enti sono particolarmente sensibili: il Comune di Santarcangelo ad esempio è molto attento a queste figure».

Qual è l’aspetto più delicato dell’uso pubblico dei social?
«C’è un tema che prima o poi dovremo porci: tendiamo a dimenticare che le piattaforme sono società private. Quando si apre la pagina di un ente bisognerebbe invece tenere presente che si va a fare un’attività istituzionale sullo strumento di un soggetto che domattina può fare quello che vuole, non ha nessuna responsabilità pubblica e che non sempre è tenuto a rispettare le stesse regole di altri media. Si pensi ad esempio alla par condicio, Fb non ha obblighi in questo senso».

Ci sono rimedi?
«Si discute dell’ipotesi di una frammentazione della rete. Le piattaforme digitali dovrebbero avere sedi in diverse zone del mondo sui quali gli Stati possano far valere le proprie leggi. Si può ad esempio prevedere che l’uso dei dati – o altre tematiche sensibili – venga regolamentato secondo le norme dei singoli Paesi. Gli strumenti tecnici ci sono, serve la volontà politica».

Un’ultima domanda: si tornerà indietro rispetto all’uso che si fa oggi dei social media?
«Ormai siamo ad un punto di non ritorno: i social media e gli smartphone fanno parte della nostra vita quotidiana. Non so però come potranno essere in futuro: forse si trasformeranno, magari ci assuefaremo e ne faremo un uso meno smodato. L’augurio da farci è però soprattutto quello di un uso più consapevole».

“Anoressica, potrà farsi uccidere”. Polemiche per i manifesti contro l’eutanasia

Anche a Ravenna la campagna firmata dai movimenti Pro Vita. La Casa delle Donne: «Si cerca di terrorizzare le persone»

Eutanasia
Un manifesto a Ravenna

Anche a Ravenna è arrivata la campagna nazionale firmata dai movimenti Pro vita e Famiglia contro l’eutanasia.

E sui social scoppiano le prime polemiche. «Questa non è una campagna di sensibilizzazione, ma si cerca di terrorizzare le persone – è il commento della Casa delle Donne di Ravenna –. Perchè dice che chiunque, cioè qualunque categoria debole potrebbe utilizzare l’eutanasia per uccidersi: anoressici, bullizzati, disabili, disoccupati. Mentono. Queste categorie deboli possono già suicidarsi senza bisogno dello Stato e per questo vanno aiutate, assistite, curate. Non utilizzate come campagna politica. Le persone devono essere libere di scegliere come ritenere più giusto arrivare alla fine dei propri giorni».

A promuovere la campagna a Ravenna l’associazione culturale San Michele Arcangelo, in collaborazione con Pro Vita & Famiglia Onlus, la Parrocchia Ortodossa «Protezione della Madre di Dio» del Patriarcato di Mosca e Scienza e Vita Ravenna. Le due associazioni dichiarano: «Insegni la storia di Noa Pothoven. La ragazza olandese di 17 anni, vittima nell’infanzia di violenze sessuali, depressa e anoressica ha scelto di lasciarsi morire di fame e di sete, con il consenso dei genitori. Smettere di aiutare e sostenere chi attraversa momenti di buio e solitudine non solo non è civile ma non è umano. Per questo l’eutanasia e il suicidio assistito non devono passare».

Dal 9 settembre è iniziata l’affissione di cartelloni con questo slogan: «Se pensi che il “suicidio assistito” sia un traguardo per l’umanità, considera che alleviare la solitudine dei più deboli è il coraggio di tutti: dello Stato, della comunità e tuo». Contemporaneamente, sono esposti anche i manifesti di Pro Vita & Famiglia Onlus realizzati – scrivono i promotori – “per far riflettere contro la deriva eutanasica che imperversa in Europa e che ormai ha attecchito anche in Italia”.

22enne sorpreso a guidare senza aver mai preso la patente. E con assicurazione finta

Il giovane fermato in via Canale Molinetto, a Ravenna. Auto sequestrata e 8.500 euro di multa

Atv Confiscata
L’auto confiscata

È stato sorpreso alla guida di un’auto nonostante non abbia mai conseguito la patente. E in più ha mostrato agli agenti un’assicurazione contraffatta.

Il giovane – un 22enne italiano – è stato individuato dalla polizia locale grazie al sistema “targa system” in via Canale Molinetto, a Ravenna, giovedì 19 settembre.

Gli agenti hanno quindi sequestrato l’auto su cui viaggiava (ai fini della confisca), elevando nei confronti del giovane una multa da 8.500 euro. In attesa che la compagnia assicurativa coinvolta nella truffa non decida come presumibile di denunciarlo.

Morti sul lavoro, Ravenna seconda in regione. Appello Cisl dopo il caso di Lugo

Nel 2018 gli infortuni accertati dall’Inail sono stati quasi cinquemila in provincia

L’infortunio mortale a Lugo

Continua a far discutere la morte di Daniele De Michele, il 38enne legale rappresentante di un’azienda di Rimini precipitato in un cantiere di Lugo nel pomeriggio di ieri, 20 settembre.

Francesco Marinelli, segretario generale Cisl Romagna, commenta: «Una settimana tragica in Romagna, ieri a Lugo e martedì a Sarsina due incidenti mortali: l’allarme che avevamo lanciato nei giorni scorsi è purtroppo triste realtà».

Proprio nei giorni scorsi la Cisl Romagna aveva infatti presentato il secondo rapporto annuale “Gli infortuni sul lavoro in Romagna”, in cui emergevano i record negativi del territorio romagnolo.

«A Ravenna sono quasi raddoppiati i casi di decesso nei luoghi di lavoro, passando dai 5 morti del 2017 ai 9 decessi del 2018 – spiega il segretario – questo ha fatto balzare la provincia dal quinto al secondo posto in Emilia-Romagna con 5,2 sinistri letali ogni centomila occupati (dietro alla sola Ferrara, in testa con 5,5, ndr)».

Il rapporto analizza anche gli infortuni definiti “accertati” da parte dell’Inail e che non hanno avuto esiti mortali. Ravenna è in quarta posizione con 2,8 incidenti ogni 100 lavoratori, pur registrando una riduzione per valori assoluti di 50 incidenti, con 4.768 infortuni complessivi accertati nel 2018.

«Manca ancora nel nostro paese una vera cultura della sicurezza – continua il responsabile della Cisl –. La sicurezza non va considerata dalle imprese solo come un adempimento alle norme, ma una vera leva di sviluppo e crescita, che tiene insieme benessere delle persone e produttività. 
Purtroppo il Governo ha recentemente abbassato la guardia su questo argomento, infatti ha tagliato 410 milioni di euro sui piani d’investimento per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro».

«Non possiamo accettare che nel terzo Millennio si muoia di lavoro e per il lavoro, quindi come Cisl Romagna lanciamo tre appelli – termina la nota del sindacalista –: alle imprese perché migliorino l’organizzazione del lavoro e la formazione dei lavoratori per una cultura della sicurezza, all’Ausl perché collabori il più possibile con i Rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza e al Governo perché finanzi l’assunzione di personale presso gli Ispettorati Territoriali del Lavoro e costituisca una cabina di regia come quella prevista per il caporalato».

Terrorismo jihadista, rintracciato a Ravenna e poi espulso un “soggetto pericoloso”

Si tratta del fratello di un “foreign fighter” arrivato in Italia nel 2017 a Lampedusa

La Polizia di Stato, nell’ambito della consueta attività di monitoraggio e prevenzione del fenomeno del terrorismo di matrice jihadista, nella giornata di mercoledì 18 settembre ha rintracciato a Ravenna un giovane tunisino, fratello di un cosiddetto “foreign fighter”.

Il ragazzo – già noto alla Questura e da tempo non più rintracciabile – è stato espulso con decreto del Prefetto di Ravenna e accompagnato presso il C.P.R. di Ponte Galeria (Roma), in attesa del successivo rimpatrio. È stato anche sanzionato per l’inosservanza all’Ordine del Questore di Agrigento a lasciare l’Italia, emesso il 7 gennaio 2018.

L’attività di accertamento svolta dagli uomini della Digos della Questura di Ravenna avrebbe messo in evidenza la pericolosità del soggetto, delineata anche da ulteriori riscontri compiuti in ambito internazionale. Il ragazzo è stato infatti qualificato come “soggetto pericoloso” dalle autorità tunisine, alla luce di un suo viaggio in Siria attraverso la Turchia, per poi, nel 2017, fare ingresso illegale in Italia a Lampedusa.

La squadra di pallavolo nata per ricordare l’agente Pietro Pezzi, morto in servizio

La presentazione in municipio alla vigilia del campionato di serie C di volley maschile

19 09 21 Foto Squdra Volley Serie C Maschile 20192020È stata presentata in municipio la squadra agonistica di volley maschile Pietro Pezzi Ravenna, che parteciperà al campionato di serie C 2019-20.

LA STORIA DELLA PIETRO PEZZI RAVENNA

Il sodalizio ravennate, che diventa la seconda squadra cittadina a livello maschile dopo il Porto Robur Costa di Superlega, è l’espressione più autentica e sentita del ricordo di Pietro Pezzi, morto a 29 anni in un incidente stradale nel settembre 2017 mentre, con la divisa della Polizia di Stato, era in servizio. “Il sentimento di riconoscenza verso un atleta esemplare, in campo e fuori – si legge nella nota di presentazione –, è stato determinante per gettare quel seme che oggi sta producendo i primi germogli”.

La squadra, reduce da due campionati vinti consecutivamente fino ad approdare in serie C, è formata dagli amici e dai compagni di squadra di Pietro Pezzi, quelli con cui aveva condiviso momenti di aggregazione e di sano agonismo nelle discipline a lui più care, ovvero la pallavolo e il beach volley.

Sulle maglie della Pietro Pezzi Ravenna, anche quest’anno comparirà il logo che sintetizza l’attaccamento e la passione di Pietro per il proprio lavoro e per lo sport.

L’organico della Pietro Pezzi Ravenna 2019-20
Alzatori: Andrea Cerquetti e Filippo Brunelli; opposti: Manuele Cricca e Lorenzo Anconelli; centrali: Andrea Belloni, Marco Triossi, Christian Mazzavillani; schiacciatori: Alessandro Cardia, Gianluca Battara, Andrea Giugni, Marco Sternini; liberi: Francesco Bendandi e Federico Rambaldi. Allenatori Matteo Guerra e Claudio Velastri, assistente Jacopo Ranieri

San Michele saluta don Claudio Ciccillo con una festa: «Un vero sacerdote civico»

848b1936 E1f7 4c30 94c2 2234b2104a70In tanti a San Michele venerdì sera hanno salutato don Claudio Cicillo, per 11 anni parroco della piccola frazione alle porte di Ravenna. Non solo i parrocchiani e gli amici sanmichelesi ma decine di ravennati e collaboratori da tutta la provincia hanno voluto festeggiare don Claudio, da pochi giorni divenuto priore dell’Eremo di Cerbaiolo, in provincia di Arezzo.

Il sacerdote, commosso per tanta partecipazione, ha ripercorso le tappe della sua vita, «quella missione che mi ha visto, chiamato da Ersilio Tonini, prima nella parrocchia di Sant’Andrea di Montaletto poi a San Michele; nel contempo con il gruppo di San Damiano ho seguito il Ceis, poi ho gestito l’ex convento dei Capuccini di via Oberdan a Ravenna, ma voglio che mi ricordiate come il parroco di San Michele».

Il Comitato del paese gli ha offerto un vaso ricordo e l’ex vicesindaco Giannantonio Mingozzi, sanmichelese “doc”, nel saluto finale ha detto che «questo è un arrivederci a presto; all’amico che ha voluto la sede degli Scout laici a San Michele, che ha presieduto il Centro del volontariato ed ha avviato il progetto Traccia».

Un vero sacerdote civico, ha concluso Mingozzi, «capace di diffondere valori che uniscono idealità diverse e dal profondo significato morale».

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