Denuncia per ricettazione per il 51enne che aveva acquistato il veicolo
È uscito dal carcere da pochi giorni e si è già preso una denuncia per furto. È la vicenda di un 54enne di Faenza che stato individuato dalla polizia locale per aver rubato un monopattino in strada. Il veicolo poi è stato rivenduto e al 51enne acquirente è toccata una denuncia per ricettazione.
I fatti risalgono ai giorni scorsi in pieno giorno in centro in una zona coperta delle telecamere della videosorveglianza cittadina. Malgrado del ladro non vi fossero immagini per riconoscere il viso, gli agenti del nucleo di polizia giudiziaria di via Baliatico hanno notato alcuni particolari nell’abbigliamento che hanno fatto pensare a una vecchia conoscenza, un uomo già noto alle forze di polizia e che proprio qualche giorno prima era stato controllato durante un normale servizio preventivo.
I vigili hanno quindi si sono appostati nei pressi dell’abitazione del 54enne, uscito qualche giorno prima dal carcere di Ravenna a seguito di una condanna per reati predatori commessi la scorsa estate a Faenza, e hanno notato uscire un uomo con sottobraccio il monopattino rubato. Gli agenti sono intervenuti e hanno accompagnato in comando entrambi. Il mezzo recuperato è poi stato restituito al proprietario.
La polizia locale raccomanda, in caso di acquisti di merce usata, di sottoscrivere un atto privato con il venditore, contenente i suoi dati e una dichiarazione nella quale si attesta la provenienza lecita della merce. In caso di merce rubata, se pur l’acquisto sia stato perfezionato in buona fede, si incorre nel reato di ricettazione.
Confindustria, Confartigianato e Cna criticano il decreto legge Meloni che blocca il meccanismo per i nuovi interventi
Per tutte le agevolazioni fiscali in edilizia, sia superbonus 110 sia altri bonus ordinari, non è più possibile avere lo sconto in fattura o la cessione del credito: da oggi, 17 febbraio, è ammesso solo l’utilizzo diretto della detrazione da parte del beneficiario da esercitare in dichiarazione dei redditi. È l’effetto di un decreto legge approvato dal governo Meloni ieri.
Sono molte le critiche che arriva da più parti, anche a livello locale. Per Confartigianato della provincia di Ravenna è un provvedimento incomprensibile nel merito e nel metodo che metterà in crisi ed in difficoltà tutta la filiera casa. «Siamo allibiti – dice Cna Ravenna –. La situazione è drammatica per molte imprese e cittadini con crediti da cedere: il sistema è da migliorare ma è sbagliato cancellarlo». Il segmento romagnolo dell’associazione nazionale dei costruttori edili (Ance) che fa capo a Confindustria condivide gli allarmi sugli impatti economici e sociali di un provvedimento improvviso e non concertato.
Per i rappresentanti di imprese e artigiani il rischio è il blocco di centinaia di cantieri, fallimenti di centinaia di imprese, perdita di migliaia di posti di lavoro, avvio di contenziosi con condomini e cittadini.
Ance si augura che ci possano essere risoluzioni per la cessione dei crediti maturati nel passato e nei cantieri in corso, come emerge dalle dichiarazioni dei rappresentanti del Governo «dopo l’emanazione del decreto più veloce della storia della Repubblica».
Con norma di carattere transitorio, è stato previsto che l’opzione per lo sconto in fattura o la cessione del credito resta possibile solo nei casi in cui l’intervento sia iniziato prima della data di entrata in vigore del Dl. Nello stesso decreto-legge è stato introdotto il divieto per tutte le pubbliche amministrazioni di acquistare crediti di imposta scaturiti dalle opzioni di cessione.
«Riteniamo si tratti di un provvedimento incomprensibile nel merito e nel metodo – è la denuncia di Tiziano Samorè, segretario provinciale di Confartigianato – che metterà in crisi ed in difficoltà tutta la filiera casa: imprese edili, impiantisti, serramentisti, professionisti e, ovviamente, anche i cittadini. Il Governo smentisce sé stesso e, soprattutto, smentisce la concertazione con le Parti Sociali e l’interlocuzione con il mondo della rappresentanza d’impresa azzerando, di fatto, buona parte delle commesse sottoscritte, o che stavano per essere sottoscritte».
Per Cna siamo di fronte a una tempesta perfetta che si sta abbattendo sul settore dell’edilizia e relativo indotto: «Nei mesi scorsi la Cna era intervenuta direttamente con un accordo con la banca Bcc in base al quale l’Associazione tramite la propria società di servizi ha acquistato da Bcc un plafond molto significativo di crediti da bonus edilizi già validati, presenti nel cassetto fiscale della Banca da destinare alle proprie imprese associate. Il plafond si era esaurito in brevissimo tempo».
Restano in vigore le sole detrazioni fiscali che però necessitano, visti gli importi degli interventi edilizi, di una grande capienza fiscale che corrisponde normalmente ai ceti più abbienti, escludendo quindi da questa possibilità tantissimi cittadini.
Solo la Cna di Ravenna ha attualmente in gestione circa due milioni di crediti fiscali di privati che hanno in corso interventi edilizi e che faticano a trovare istituti o banche che li acquistino ai quali si aggiungono altri 4 milioni delle aziende che avevano in corso le procedure per nuovi lavori con sconti in fattura o cessione. «A livello nazionale si stima che i crediti fiscali incagliati derivanti da bonus siano 15 miliardi, circa 25mila imprese a rischio fallimento».
Alla Trisi fino al 31 marzo, è una iniziativa in occasione della giornata internazionale della lingua madre. Il 21 e 22 febbraio letture per bambini anche in cinese
Alla biblioteca Trisi di Lugo c’è un jukebox che legge storie per bambini invece di suonare canzoni. Fino al 31 marzo si possono ascoltare storie provenienti da tutto il mondo tratte da albi illustrati, racconti, fiabe e romanzi, in italiano e altre lingue. È un progetto dell’Associazione Tararì tararera di Cento (Ferrara) e prende spunto dall’installazione del professore Mauro Cappotto che per primo ha avuto l’idea di trasformare un vecchio jukebox degli anni ’90, sostituendo le canzoni con brani tratti da poesie
Il jukebox cantastorie fa parte delle iniziative promosse per festeggiare la giornata internazionale della lingua madre istituita dall’Unesco nel 1999 con l’obiettivo di difendere e preservare le diversità linguistiche.
Martedì 21 febbraio la biblioteca Trisi accoglie un’iniziativa per bambini da 4 a 6 anni, realizzata in collaborazione con i Volontari Nati per Leggere e Mamma Lingua di Lugo e con l’associazione Fatabutega di Ravenna. Appuntamento alle 17 in sala Codazzi dove “Il piccolo Bruco mai sazio” di Eric Carle, un albo illustrato conosciuto da tutti i bambini, verrà letto in cinese, francese, italiano e spagnolo dai volontari. A seguire un laboratorio creativo a cura dell’associazione Fatabutega di Ravenna.
L’iniziativa è organizzata nell’ambito del progetto La Mappa e il Tesoro: letture dei grandi ai bambini e alle bambine, percorsi per leggere in famiglia dell’Associazione Fatabutega di Ravenna, di cui la Biblioteca Trisi è partner insieme alle biblioteche Classense di Ravenna e Manfrediana di Faenza, e verrà proposta, nello stesso giorno e orario, anche a Faenza e Ravenna.
Mercoledì 22 febbraio alle 17.30 in sala Codazzi, il gruppo di Lettura “Libriamoci” propone l’appuntamento del mese con la lettura condivisa del libro “Le città invisibili” di Italo Calvino. Il Gruppo di lettura si è costituito nell’aprile del 2013 ed è formato da lettori adulti disponibili a condividere esperienze di lettura; ci si ritrova per parlare e discutere dei libri che si è letto mettendo in comune difficoltà e piaceri della lettura. Da quest’anno anche il Gruppo di Lettura ha aderito al Patto provinciale per la lettura sottoscritto dai sindaci dei Comuni della Provincia di Ravenna, uno strumento promosso dal Cepell – centro per il libro e la lettura – per lo sviluppo di reti territoriali di promozione della lettura che coinvolge soggetti pubblici e privati.
Il primo firmatario è l’ex direttore della pinacoteca comunale: in via Zucchini trovano spazio mille anni di storia della città
Foto di repertorio
Sauro Casadei, ex direttore della pinacoteca comunale di Faenza, è il primo firmatario di una petizione rivolta al Comune di Faenza e all’Unione della Romagna Faentina per chiedere l’apertura al pubblico della nuova sede del polo archivistico cittadino in via Zucchini 29.
La raccolta firme è stata lanciata nei primi giorni di febbraio e vuole sottolineare quanto un archivio sia un servizio pubblico essenziale per la conoscenza del passato, la comprensione del presente e la crescita civile della comunità. Il nuovo polo archivistico unisce l’Archivio di Stato a quello Comunale e conserva al suo interno la memoria di almeno mille anni della storia di Faenza.
I rallentamenti dell’apertura al pubblico della sede, secondo le informazioni a disposizione dei firmatari, sembrano legati al mancato completamento di alcune pratiche burocratiche. «Ma già durante ultimi anni di apertura dell’archivio – afferma Casadei – gli utenti sono stati penalizzati da periodi di chiusura più o meno prolungati e da orari molto limitati, restrizione dovuta anche alla carenza di personale, con grave danno per tutti coloro che si dedicano alla ricerca storica e per i tecnici del settore edilizio».
I cittadini che vogliono sottoscrivere la petizione possono farlo alla Bottega Bertaccini in corso Garibaldi 4 negli orari di apertura della libreria.
Sbandata fatale: tre anni e otto mesi per un 64enne
Aveva avuto una crisi ipoglicemica per il diabete mentre era alla guida di un suv e svenendo aveva travolto un ciclista uccidendolo sul colpo, ma il rinnovo della patente era avvenuto grazie a documenti che aveva falsificato per sottrarsi alle visite mediche periodiche. Per questo un 64enne di Faenza è stato condannato a una pena totale di tre anni e otto mesi di reclusione per omicidio stradale e falso. La procura aveva chiesto sette anni e 10 mesi. La circostanza è riportata dal sito dell’Ansa che riprende i quotidiani locali.
L’incidente stradale risale al 10 ottobre 2019, la vittima sulla via Emilia a Cosina di Faenza era un ingegnere 67enne di Villagrappa (Forlì-Cesena) che stava rincasando dopo un giro in bici. Il conducente è stato trovato privo di sensi da carabinieri e 118.
La falsificazione del certificato per la patente era avvenuta a settembre 2016 e gli garantiva due anni di guida invece che solo uno prima della ripetizione degli esami. Nel 2018 l’escamotage era stato usato di nuovo, questa volte per tre anni.
In aula è emerso che il 64enne aveva un dispositivo sottocute per monitorare il livello di glicemia. Il giorno dell’incidente, invece di fermarsi, l’uomo aveva continuato a guidare accettando il rischio di un possibile incidente.
Se ne parla il 18 febbraio per gli incontri al bar Moog, con i “ricercatori” Marco Parollo, Daniele Pezzi Pezzi e Matteo Bertaccini
Parollo, Pezzi e Bertaccini
Sabato 18 febbraio alle 18, al Moog Slow Bar di Ravenna (vicolo Padenna), si tiene il quindicesimo incontro della rassegna “I sabati del Moog”, curata da Ivano Mazzani.
Marco Parollo, Daniele Pezzi e Matteo Bertaccini – un trio intraprendente che ha frequentato gli ambiti della fotogrfia, della videoart e della musica giovanile – racconteranno del progetto che è un vero e proprio work in progress avviato da qualche anno, intitolato “Memorie Magnetiche”, un documentario che vuole raccontare la scena musicale e culturale indipendente nella provincia di Ravenna tra il 1977 e il 2000. Verranno mostrati i documenti e le locandine degli eventi e sarà l’occasione per condividere parte delle storie raccolte nelle interviste ai protagonisti animatori di quel periodo.
In particolare, la serata è dedicata ad approfondire le vicende del Comitato Spazi Sociali nato nel 1989, raccogliendo le istanze di una serie di gruppi e collettivi eterogenei che decidono di unire le forze per ottenere dal Comune un vero centro sociale cittadino. Dalla prima esperienza di autogestione dell’ex Macello e dell’ex Cofar, seguirono altri spazi ed esperimenti che culminarono nel 1994 con l’apertura del Valtorto Autogestito, che per tutti gli anni 90 ha ospitato gli eventi indipendenti della scena culturale e musicale locale.
La Ocean Viking attraccherà il 18 febbraio. La stazione marittima sarà divisa in tre settori: sanitario, ristoro e polizia
Saranno 260 gli operatori impiegati al terminal crociere di Porto Corsini domani, 18 febbraio, per gestire le operazioni di sbarco degli 84 migranti a bordo della nave Ocean Viking della Ong Sos Mediterranee. Lla metà (136) saranno agenti delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri, guardia di finanza, guardia costiera e vigili urbani) che dovranno garantire in particolare le procedure di identificazione e fotosegnalamento. Altre 45 persone sono volontari di protezione civile e Caritas. Il resto è personale medico.
All’interno della stazione marittima sono previsti tre settori, uno sanitario a cura di Ausl Romagna, Croce Rossa Italiana e Servizio 118, dove verrà effettuato uno screening e il tampone Covid su tutti i migranti (che non dovrebbero presentare, in base alle notizie ricevute, particolari problematiche di carattere clinico); un altro settore sarà gestito dalla Caritas Diocesana di Ravenna e fungerà da punto ristoro, mentre un terzo settore servirà per gli adempimenti di polizia.
Il giudice offre una lettura dei fatti che sposa l’ipotesi della difesa: «I tre imputati hanno alibi e mancano indizi contro di loro». Il corpo fu trovato incaprettato: «Impossibile riuscirci solo leggendo una rivista bondage». L’intercettazione: un accusato dice di aver ricevuto un’offerta di 400mila euro per parlare
I tre imputati sono stati assolti «per l’assenza totale e conclamata non solo di prove, ma anche di indizi». E così «l’omicidio di Pier Paolo Minguzzi resta tutt’ora un mistero. Anzi, un segreto». Una cosa però è chiara: non è stato un rapimento di persona a scopo di estorsione, ma un sequestro per omicidio, più precisamente «un omicidio di stampo mafioso, un classico esempio di “lupara bianca”». È la sintesi in poche righe delle 280 pagine firmate dal giudice Michele Leoni, presidente della corte d’assise di Ravenna, per motivare la sentenza di giugno 2022 nel processo per la morte nel 1987 di un 21enne studente di Agraria, carabiniere di leva a Mesola (Ferrara) e terzogenito di una facoltosa famiglia di imprenditori ortofrutticoli di Alfonsine. L’accusa chiedeva tre ergastoli.
Il magistrato non solo smonta pezzo per pezzo il castello accusatorio costruito dalla procura (pm Marilù Gattelli) nel corso delle 17 udienze (qui la cronaca di tutte), ma offre una lettura dei fatti che inquadra la vicenda in un contesto segnato dalla criminalità organizzata, ipotesi proposta anche nell’arringa della difesa di Tarroni (avvocato Andrea Maestri).
Gli imputati e le accuse
Alla sbarra c’erano tre uomini: il 58enne Orazio Tasca di Gela e residente a Pavia, il 59enne Angelo Del Dotto di Ascoli Piceno e il 67enne Alfredo Tarroni di Alfonsine. I primi due, all’epoca dei fatti, erano carabinieri in servizio alla stazione di Alfonsine. Il terzo era l’idraulico del paese e loro amico stretto. Secondo l’accusa, i tre avrebbero rapito Minguzzi nella notte fra il 20 e il 21 aprile di 36 anni fa e lo avrebbero ucciso poco dopo, perché il giovane li avrebbe riconosciuti, e per dieci giorni avrebbero telefonato ai familiari chiedendo 300 milioni di lire (una somma paragonabile grossomodo come valore a 350mila euro odierni). «Perché uccidere il rapito se si voleva ottenere il riscatto?», obietta il giudice. L’1 maggio il corpo affiorò nelle acque ferraresi del Po di Volano. Nel 1996 la chiusura dell’indagine. Nessuno è mai stato indagato fino al 2018, alla riapertura del fascicolo con un esposto dei familiari. Il trio di imputati però fu condannato nel 1988 per omicidio e tentata estorsione in una vicenda dai contorni analoghi nella stessa Alfonsine.
Gli alibi
Sono ben 14 le pagine in cui il giudice ricostruisce gli alibi dei tre accusati. Partendo da un assunto consolidato in giurisprudenza: “Non averne uno non significa essere colpevoli”. Circostanza applicabile in particolare a Tarroni che nell’interrogatorio in aula ha ammesso di non ricordare cosa facesse la notte del rapimento. Leoni sfida chiunque a ricordare dove fosse un giorno qualsiasi del 1987. Del Dotto era di turno come piantone in caserma – dove dice di aver ricevuto nella notte le telefonate della madre di Minguzzi preoccupata perché non vedeva rientrare il figlio, ma la donna nega – e non ci sono prove che sia potuto uscire per partecipare al rapimento. Tasca invece era inquadrato dalla procura come l’anonimo telefonista, ma la prima chiamata ai Minguzzi arriva alle 21 del 21 aprile e a quell’ora il carabiniere di origini siciliane era al Casinò di Venezia con un commilitone.
Il casolare del sequestro
Le motivazioni vanno a scardinare anche punti sui quali nemmeno le difese avevano insistito in modo particolare. Il nascondiglio dove Minguzzi sarebbe stato detenuto dei sequestratori per un periodo non ben precisato era stato individuato in un casolare nel podere Ca’ Cella nella località Vaccolino. «Ipotesi totalmente infondata», scrive Leoni. A sostegno di questa tesi accusatoria c’è la corrispondenza fra le inferriate dell’edificio e la grata di 16 kg cui era stato legato il corpo del rapito prima di essere gettato in acqua. Ma il giudice passa in rassegna la descrizione dei luoghi riportata dai verbali dell’epoca: «Si trattava di un luogo per incontri sessuali e quindi frequentato da persone». La maglietta bianca da pelle ritrovata in quel capannone non poteva essere di Minguzzi – nonostante l’indicazione delle unità cinofile – perché il cadavere ne indossava una.
Gli scarponcini del comacchiese
Nel maggio del 1987 i carabinieri di Comacchio trovarono un paio di scarponcini in possesso di una persona residente a Mesola (nella frazione Pesce) che avevano una suola con impronta simile a quelle repertate dai militari nel casolare di Vaccolino dove sarebbe stato detenuto Minguzzi dopo il rapimento. Lo riporta il giudice che ritiene di non nominare il nome della persona “per opportunità”.
Il cadavere incaprettato
E poi le condizioni di ritrovamento del cadavere. L’autopsia dice che la morte è arrivata per soffocamento e quindi l’immersione è successiva: un tentativo di occultamento del corpo, legato con la tecnica dell’incaprettamento (polsi e caviglie unite dietro la schiena con una corta passante attorno al collo: la distensione degli arti causa la stretta al collo e lo strangolamento). Nell’armadietto di Tasca venne trovata una rivista hard con illustrazioni di pratiche di bondage, ritenute compatibili con il modo in cui era legato Minguzzi. Il giudice ritiene improbabile che gli imputati possano aver imparato una tecnica così complicata dalle figure di un giornaletto.
I giudici togati della corte d’assise per l’omicidio Minguzzi: il presidente Michele Leoni, a latere Federica Lipovscek
I 400mila euro offerti all’imputato
Un investigatore privato, ex capitano dei carabinieri, avrebbe offerto 400mila euro a uno dei tre imputati in cambio di informazioni utili per ricostruire la vicenda. La circostanza rimasta inedita nel corso del dibattimento è emersa dalle motivazioni della sentenza Minguzzi che riportano alcuni passaggio delle intercettazioni telefoniche a carico dei tre accusati. In particolare l’episodio riguarda Alfredo Tarroni. L’uomo ne parla al telefono con un’amica a maggio 2018, quando la squadra mobile sta lavorando al caso. L’avvicinamento del detective sarebbe avvenuto nella prima metà di marzo di quell’anno mentre Tarroni era in ospedale per sottoporsi a un intervento chirurgico. Sempre stando a quanto raccontato dal 67enne, l’investigatore mostro una valigetta con 200mila euro in contanti promettendone altrettanti dopo otto giorni se avesse fornito informazioni. Dopo quell’episodio nella buchetta delle lettere di casa arrivarono fotografie plastificate del volto di Minguzzi e della lapide di Taglio Corelli in ricordo del carabiniere ucciso nell’operazione Contarini.
L’agendina di Minguzzi
Una annotazione investigativa firmata da un maggiore dei carabinieri il 18 aprile 1989 chiedeva accertamenti sull’identificazione di un Alex annotato in un’agendina di Minguzzi con recapiti telefonici di località in Usa e Messico. Il pm nega l’esistenza di questo oggetto. Il giudice ribatte: «Nella storia giudiziaria vi sono stati episodi eclatanti di agente e/o borse scomparse: nessuno eccepirebbe mai che la borsa di Moro o l’agenda rossa di Borsellino non siano esistite perché mai sequestrate».
Il rapporto tra il sedicente Alex e la fidanzata di Minguzzi Il quarto e ultimo capitolo di cui si compongono le motivazioni della sentenza, vergato dal giudice Michele Leoni, si intitola “I lati oscuri”. Per un centinaio di pagine il focus si concentra in particolare su due persone che sono state sentite dagli investigatori e anche in aula come testimoni durante il dibattimento. Si tratta di Sabrina Ravaglia e Enrico Cervellati. La prima era la fidanzata della vittima all’epoca dei fatti e, secondo la procura, l’ultima persona ad aver visto Minguzzi in vita. Il secondo è un 63enne lughese che all’epoca dei fatti faceva il cameriere e tenne una lunga corrispondenza con Ravaglia, via telefono e via lettera, cominciando da due giorni dopo il rapimento e andando avanti per quasi due anni nascondendosi sempre dietro al nome di fantasia di Alex (peraltro lo stesso nome che compare in un’agenda di Minguzzi non ritrovata (vedi box a destra). Cervellati racconta a Ravaglia di essere coinvolto nel sequestro. Sostiene di averla pedinata e di aver tenuto sotto osservazione Minguzzi negli ultimi giorni prima del sequestro. Durante l’interrogatorio in tribunale, il sedicente Alex ha detto che erano tutte millanterie di un giovane che si sentiva solo e voleva fare colpo su una ragazza di cui aveva scoperto l’esistenza dai giornali che trattavano il caso di cronaca. Per la corte non è così: Leoni è convinto che quel cameriere ci sia dentro fino al collo, al punto da aver trasmesso gli atti alla procura con una denuncia per falsa testimonianza e reticenza. Non solo: «La Ravaglia non è credibile», scrive il giudice mentre passa in rassegna l’attendibilità di alcune dichiarazioni rilasciate nella ricostruzione dei fatti di quei giorni.
Una volta esaminata nei dettagli la stesura delle motivazioni, la procura decidera se fare ricorso in appello, l’auspicio già avanzato dai familiari della vittima come parti civili.
Un approccio costituzionalista anni Quaranta per cercare di spiegare la difficoltà di comprendere la geografia stradale ravennate
Tra le cose che preferisco di Ravenna c’è la capacità della sua geografia stradale di sfuggire alla mia capacità di memorizzare la geografia stradale. Faccio un esempio per cercare di spiegarmi. Mettiamo che io voglia andare al PalaCosta a vedermi una partita della Teodora, o quel che è: esco di casa e mi trovo sempre a pensare a che strada devo fare. So perfettamente dov’è il PalaCosta, so perfettamente dove conviene parcheggiare, so anche – a grandi linee – il tempo che ci vuole ad arrivarci da casa mia, a seconda di quale giorno della settimana e a che ora. La domanda è: che strada devo prendere? Uscito dal quartierino in cui vivo devo andare a destra o a sinistra? Una volta superato il cavalcavia mi conviene andare verso viale Europa o buttarmi in via Rubicone? La cosa in fondo non avrebbe niente di male, in sé: succede in tutte le grandi città, o almeno credo che succeda in tutte le grandi città. La questione è che, in linea d’aria, tra casa mia e il PalaCosta ci sono circa due chilometri, e il mio cervello rifiuta categoricamente di dover affrontare dubbi logistici in merito a qualcosa che dista meno di due chilometri. Così semplicemente a volte prendo l’auto e inizio a guidare per strade che sono semplicemente abituato a percorrere in attesa che la mia mente si attivi e inizi a decodificare segnali esterni che le permettano di capire che, ok, sei sulla strada giusta e tra poco sarai arrivato a destinazione.
Nei primi anni della mia residenza a Ravenna era una cosa che un pochino, ammetto, mi infastidiva. Ai tempi ero fomentato da questioni di campanile, dovute alle origini cesenati e alla ferrea convinzione che nessun essere umano che possedeva un’automobile con scritto “RA” sulla targa, anche in piccolo, fosse in possesso dei rudimenti culturali che servono a guidarla. E posso io stesso testimoniare di aver visto succedere cose che voi umani, sulle strade della mia città di origine, e poi aver letto “RA” sulla targa posteriore del mezzo. Naturalmente il sentimento era assolutamente reciproco. Nel preparare l’articolo parlavo con Luca Manservisi, che da ravennate Doc mi parlava della ferrea convinzione dei ravennati che i forlivesi siano totalmente incapaci a guidare. Ci sono diverse ragioni per cui gli abitanti di una città sono convinti che gli abitanti delle città vicine siano incapaci a guidare, a partire dall’odio istintivo tra campanili che ha fatto la fortuna dei guerrafondai ai tempi in cui Dante non era ancora diventato un ravennate ad honorem, per arrivare a ragioni di puro buon senso. Nei primi anni delle mie frequentazioni ravennati studiavo diritto costituzionale e ho imparato cosa intendevano i giuristi per costituzione materiale: un insieme di regole non scritte che si sviluppa accanto all’insieme di regole scritte, e che è fondamentale per farle funzionare. Quindi, ad esempio, si possono prendere tutti i manuali di guida di questo pianeta e imparare alla perfezione quali comportamenti tenere e quale velocità e quali corsie occupare nell’affrontare una rotonda, ma nessuno di quei manuali contiene le informazioni che ti servono davvero per sopravvivere sulla rotonda sull’imbocco di Viale Randi alle sette e tre quarti di un mattino feriale.
Nelle altre città è diverso. Come ti insegnano in seconda elementare, quasi tutti i capoluoghi di provincia emiliano-romagnoli si sviluppano storicamente su una direttrice lineare che li collega uno all’altro, la via Emilia, un’invenzione talmente geniale che nel progettare i duemila anni di sviluppo successivo del territorio gli esseri umani non hanno trovato niente di meglio che costruire altre due strade che ne mimassero il corso (l’A14 Adriatica e il tratto ferroviario Bologna-Rimini). E quindi pensiamo alla geografia delle nostre città come a una lista di tacche su un righello che teniamo continuamente infilato nei pantaloni (e infatti a Rimini, in cui la via Emilia finisce poco dopo l’ingresso nella città, facciamo una gran fatica a muoverci). Il popolo ravennate, glorioso come nessun altro nei paraggi della sua storia, ha dovuto pensarsi in maniera alternativa, e guardando alla sua storia classica ha deciso d’esser dantesca e quindi fatta a gironi, e oggi credo sia l’unica città italiana sotto i 200mila abitanti che pensa a se stessa come il centro di un imponente Grande Raccordo Anulare (Classicana/SS16/Romea eccetera), con un sistema complesso di rotonde e diramazioni che nei primi anni ’90 tutti prendevamo per il culo, e poi abbiamo capito (ma non l’ammetteremo) che fosse semplicemente vent’anni avanti sul resto della geografia stradale romagnola, e/o che in mancanza di colli a strapiombo sia diventato l’unico modo di difendere la città dai nemici che vengono da fuori. E così mi piace immaginare che se Dante fosse vivo oggi avrebbe pensato ad un reboot del suo Inferno in cui Red Ronnie è condannato per l’eternità a girare con la sua station wagon intorno alla Romea Dir. urlando improperi in diretta Instagram contro il sindaco Matteucci.
Io di mio sono qui da dieci anni e ho fatto qualche progresso: ho comprato la mia prima automobile targata RA e sulla rotonda di Viale Randi mi suonano ormai molto raramente. Mi tengo l’appartenenza cesenate solo nel ricordo lontano della persona che ero, e nella mia totale incapacità di imparare a livello istintivo quale strada prendere per andare al PalaCosta. Mi affido alla tradizione e punto su via Rubicone, dal nome del fiume che tutti quelli nati a Calisese pensano essere quello che passa vicino alla chiesa di Calisese (i savignanesi non sono d’accordo, ma per capire che di loro non bisogna fidarsi basta vedere come guidano).
* Cesenate trapiantato a Ravenna, Francesco Farabegoli scrive o ha scritto su riviste culturali come Vice, Rumore, Esquire, Prismo, Il tascabile, Not
Il 18 febbraio una serata, prodotta dall’associazione Capit Ravenna, rievoca i brani che hanno segnato la storia della musica leggera italiana
Domenico Modugno
Sabato 18 febbraio dalle 21 al teatro Alighieri di Ravenna va in scena la nuova produzione di Capit, “Quando le canzoni diventano poesie”. Sarà l’autore dei testi e regista Alessandro Braga, insieme all’attrice Elisabetta Rivalta del Piccolo Teatro Città di Ravenna, a condurre il pubblico in un viaggio attraverso le composizioni dei grandi poeti della canzone italiana.
La soprano Valentina Rambelli, il tenore Fabio Naldini, il baritono Gaspare Fazio e il Coro lirico Città di Faenza interpreteranno una ventina di brani accompagnati dall’Ensemble Mosaici Sonori, con coreografia e immagini prodotte dagli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
Fra le canzoni in programma melodie indimenticabili lungo oltre 50 anni come Arrivederci Roma, Vecchio Frack, Il cielo in una stanza,Mi sono innamorato di te, Che sarà, Margherita, fino ai capolavori di Lucio Dalla.
A Palazzo Vecchio fino al 19 febbraio le immagini di Ruffini
A Bagnacavallo fino a domenica 19 febbraio c’è la mostra fotografica “Spettacolosi” con gli scatti del bagnacavallese Paolo Ruffini, classe 1940, che ritraggono numerosi personaggi del mondo dello spettacolo che dagli anni Settanta sono passati da Bagnacavallo, dal Teatro Goldoni, dalle piazze o da altri luoghi della città. Ci sono nomi noti del teatro, del cinema, della musica e della danza, da Lindsay Kemp a Gianni Morandi, da Ivano Marescotti a Paolo Rossi, da Lucio Dalla a Riccardo Muti. La mostra resterà aperta sabato 18 dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 18 e domenica 19 dalle 10 alle 12. Ingresso libero.
Le foto esposte a Palazzo Vecchio, quasi tutte autografate dai personaggi ritratti, sono soltanto una piccola parte del grande patrimonio fotografico costruito nel corso dei decenni da Ruffini, il quale intende la fotografia innanzitutto come documento della storia e della memoria piuttosto che come espressione estetica.
Il 15 febbraio la sindaca Eleonora Proni ha visitato la mostra insieme all’autore. La sindaca si è complimentata con il fotografo per il prezioso lavoro da lui fatto per Bagnacavallo e ha sottolineato che il Comune è molto interessato alla fotografia sotto i più diversi aspetti, come dimostra il progetto Fototec@ gestito dall’Archivio storico comunale, che vede lo stesso Ruffini tra i protagonisti.
L’esposizione rientra nell’ambito della rassegna CuCù (curiosità culturali), ideata e organizzata dall’associazione culturale Controsenso con il patrocinio del Comune; associazioni partner: Amici di Neresheim, Associazione Comunicando, Associazione musicale Doremi, Avis, Circolo Arci Casablanca. La direzione artistica è di Michele Antonellini.
Martedì 21 febbraio alle 19.30 al circolo del Partito democratico “Calderoni – Ca’ Rossa” di Ravenna (via delle Industrie, 9/A), si terrà una cena di autofinanziamento per sostenere la candidatura di Elly Schlein alle primarie del del 26 febbraio.
Sarà presente Mattia Santori, promotore del Movimento delle sardine e consigliere comunale del Partito Democratico di Bologna.
Per partecipare occorre prenotarsi al 338-6759675 entro domenica 19 febbraio.