«Cadavere legato in modo compatibile con immagine di rivista porno di un imputato»

Udienza 10 / Il medico legale Giovanni Pierucci eseguì l’autopsia sul 21enne di Alfonsine nel 1987: «Morte per asfissia prima di essere gettato in acqua». Il corpo aveva mani e piedi dietro la schiena con una corda che passava dal collo: è l’incaprettamento del bondage raffigurato in una pagina de “I Piccanti” con un segnalibro nell’armadietto del carabiniere Orazio Tasca

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La riesumazione della salma di Pier Paolo Minguzzi nel 2018

Il modo in cui era legato il cadavere di Pier Paolo Minguzzi – ritrovato l’1 maggio 1987 dopo dieci giorni dal rapimento a Alfonsine per tentare un’estorsione da 300 milioni di lire – è compatibile con una pratica erotica di bondage illustrata su una pagina con un angolo piegato come segnalibro di un numero della rivista hard “I Piccanti” sequestrata nell’armadietto della caserma di Alfonsine assegnato al carabiniere Orazio Tasca, uno dei tre odierni imputati nel cold case. Il giudizio di compatibilità è stato espresso dal medico legale Giovanni Pierucci che eseguì l’autopsia 34 anni fa e oggi, 8 novembre, è stato ascoltato in tribunale a Ravenna come testimone nel processo per omicidio che vede alla sbarra anche Angelo Del Dotto e Alfredo Tarroni, rispettivamente un commilitone di Tasca e un amico idraulico.

Davanti alla corte d’assise (presidente Michele Leoni, a latere Federica Lipovscek), l’ex professore dell’università di Pavia ha illustrato con lucidità le informazioni emerse dall’esame autoptico cominciato già con l’ispezione sul luogo del rinvenimento. Il novantenne Pierucci, operativo fino a pochi anni fa, ha risposto alle domande dell’accusa e della corte – nessuna invece dalle difese nonostante la pesante dichiarazione sulla compatibilità delle tecniche di costrizione – senza incertezze, senza mai pronunciare un “non ricordo”, a differenza di quanto molto spesso si è sentito dire nelle udienze precedenti da altri testi.

Giovanni Pierucci

Il professor Giovanni Pierucci è il medico legale che eseguì l’autopsia su Pier Paolo Minguzzi nel 1987

Minguzzi era il terzo genito di una famiglia di imprenditori dell’ortofrutta e faceva il carabiniere di leva alla stazione di Mesola mentre studiava Agraria a Bologna. Il suo corpo privo di vita fu individuato da un gruppo di canoisti nelle acque del Po di Volano, in località Vaccolino (nel Ferrarese, tra Comacchio e Lagosanto): mani e piedi legati dietro la schiena con un nodo scorsoio che passava attorno al collo, ancorato a una inferriata di un metro per 85 cm del peso di 16,5 kg, asportata da un vicino casolare in abbandono dove probabilmente i sequestratori lo portarono. Il sequestro di persona avvenne nella notte tra il 20 e il 21 aprile: poco prima dell’una il ventunenne partì in auto da casa della fidanzata ad Alfonsine per coprire i pochi minuti che lo separavano da casa ma non arrivò mai.

Una serie di elementi portarono Pierucci a collocare il momento della morte più a ridosso del rapimento che del ritrovamento. Non è quindi da escludere che al momento della prima telefonata estorsiva (alle 21 del 21 aprile), Pier Paolo fosse già morto e i rapitori stessero cercando di fare cassa in fretta. Anche così si spiegherebbe l’insolita somma esigua per il tipo di reato e per le disponibilità della famiglia. «La causa di morte è sicuramente da ritenere un’asfissia meccanica», dice Pierucci. I segni sul collo sostengono l’ipotesi che lo strangolamento sia stato per la corda con cui era legato. Nei tessuti del corpo non vennero individuate le tracce da aspirazione di acqua: se ne deduce che il corpo venne gettato in acqua dopo il decesso.

IMG 4809L’autopsia accertò anche un colpo al capo: «Probabilmente con un corpo contundente, ma dai segni si può escludere che sia stato la causa di morte. Forse causò lo stordimento e in seguito arrivò la morte dopo essere stato legato».

Il medico svolse la prima autopsia nel 1957, prima che nascessero due dei tre imputati. E sui 64 anni di esperienza si basa una delle domande del presidente della corte: quanto è frequente che i morti per strangolamento vengano poi buttati in acqua? «Accade molto spesso, sia per ostacolarne il ritrovamento e sia per confondere le indagini facendo sembrare un annegamento. Per questo ci siamo concentrati a lungo sugli elementi che smentissero l’annegamento».

7La rivista “I Piccanti” venne trovata in occasione della perquisizione di luglio 1987 successiva all’arresto dei tre odierni imputati per l’omicidio di un altro carabiniere al culmine di un altro tentativo di estorsione (per questa vicenda furono condannati e hanno scontato pene tra 22 e 25 anni, dichiarandosi sempre estranei al caso Minguzzi). Di fronte all’immagine del cosiddetto “incaprettamento” raffigurato sul giornalino, Pierucci non ha avuto dubbi: «Quella tecnica è qualcosa che può condurre alla morte».

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