“Dante e la visione dell’arte”, un kolossal espositivo a Forlì da non perdere

Fino all’11 luglio, in mostra ai Musei di San Domenico 300 opere fra dipinti e sculture che celebrano l’anniversario del Poeta

Giotto di Bondone - Taddeo Gaddi Incoronazione della Vergine tra angeli e santi (Polittico Baroncelli), 1328 circa tempera e oro su tavola, Firenze, Basilica di Santa Croce

Giotto di Bondone – Taddeo Gaddi, “Incoronazione della Vergine tra angeli e santi” (Polittico Baroncelli), 1328 circa, tempera e oro su tavola, Firenze, Basilica di Santa Croce

Prendetevi da un minimo di un due ad un massimo di quattro ore almeno per vedere la mostra di Forlì Dante. La visione dell’arte perchè è talmente ricca e bella da meritare una visita attenta, il che – detto da una ravennate doc – è un suggerimento da prendere in considerazione.
I musei di San Domenico ospitano infatti fino all’11 luglio una sorta di kolossal espositivo che ha tutti i crismi per passare alla storia come la mostra più importante che celebra il settimo centenario della scomparsa del poeta. Indubbiamente la collaborazione stretta con gli Uffizi di Firenze, la quantità e la qualità delle opere esposte – circa 300 – provenienti da tutta Italia e da prestigiosi musei internazionali, il numero sensibile degli sponsor e l’esperienza dei curatori – Antonio Paolucci e Fernando Mazzocca – coadiuvati da un qualificato comitato scientifico, hanno reso possibile questa operazione di grande rilievo.

Diciamo che l’effetto mediatico di questa mostra farà ricordare il passaggio di Dante esule alla corte forlivese degli Ordelaffi, nell’autunno del 1302. Non ultimo, la scelta di questa sede “neutrale” come afferma Schmidt, direttore degli Uffizi, farà in modo di superare la «secolare rivalità tra Firenze e Ravenna» rilanciando l’idea di un Dante tutto italiano. In poche parole, nel fatidico 2021, fra i guelfi e i ghibellini … il terzo gode e su scala nazionale.

Tralasciando l’ironia del direttore e attendendo il giorno in cui si potrà progettare in modo diffuso sul territorio senza campanilismi datati e purtroppo ormai strutturali, la mostra è veramente bella fin dalla prima sezione, dedicata al tema del Giudizio Universale. Il Cristo, giudice dei vivi e dei morti alla fine dei tempi, è il protagonista della grande sala iniziale che si apre con un Crocefisso ligneo di epoca romanica a ricordare la salvezza, resa possibile solo mediante il sacrificio del Figlio di Dio.

In mostra, fra dipinti precedenti – come la prima rappresentazione italiana del Giudizio (Guido da Siena, 1280) – e successivi alla redazione della Commedia, fra artisti visti sicuramente da Dante ed altri che in seguito a lui si ispirarono, spicca una magnifica tavola di Giotto che secondo Zeri venne realizzata in collaborazione con Taddeo Gaddi: il Polittico Baroncelli proveniente da Firenze raffigura al centro l’Incoronazione della Vergine attorniata da uno stuolo di santi. Per quanto mutilo della parte superiore e nonostante i coloretti chiari che traslucidano nell’oro, il dipinto mantiene un’impostazione volumetrica e il metro della realtà come crismi del maestro. Consiglio uno sguardo alle gote rigonfie degli angeli che suonano le tube e alle mani pronte all’arpeggio per comprendere la rivoluzione contemporanea a Dante nel mondo delle arti visive.

Romolo Del Gobbo, “Paolo e Francesca” (particolare), 1887-1905, bronzo, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica

Romolo Del Gobbo, “Paolo e Francesca” (particolare), 1887-1905, bronzo, Ascoli Piceno, Pinacoteca Civica

Esattamente cento anni dopo la realizzazione di questa tavola cade quella del Giudizio Universale del Beato Angelico dove un Cristo in mandorla circondato da santi e angeli giudica salvati e dannati. Al centro, una prospettiva di tombe aperte indica la fine dei giorni, mentre alla gioia statica dei beati corrisponde opposto il dinamico terrore di uomini e donne spinti come bestiame verso l’Inferno. In basso, sopra alla visione infernale di Lucifero stanno i gironi dove il pittore domenicano immagina oro fuso colato in bocca agli avari e genitali morsi da serpenti per i lussuriosi, immagini che prendono distanza dalle fantasie dantesche e si ispirano alle predicazioni pubbliche dai frati.
In questa sezione sono esposte anche altre opere da non perdere: dal Michele arcangelo del Beccafumi al Giudizio di Michelangelo nelle traduzioni di Venusti e di Ghisi, fino al bellissimo Cristo risorto di Guido Reni.

Le tre sezioni successive affrontano i temi dell’iconografia del poeta, del successo e della traduzione in immagini della Commedia: oltre al manoscritto miniato più antico che ricopia la Commedia – attribuito a Pacino da Buonaguida (1335) – e alla miniatura di inizio ‘400 di Bartolomeo di Fruosino che presenta Dante nello studiolo mentre è intento alla scrittura – sono imperdibili i disegni di Federico Zuccari e di Giovanni Stradano che nel giro degli stessi anni verso la fine del ‘500 traducono in un linguaggio ancora manierista le potenti suggestioni delle tre cantiche.

Per ricostruire invece l’immagine di Dante – così diversa dal nasuto protagonista dell’immaginario contemporaneo e forse ancora lontana dall’effettivo aspetto del poeta – in mostra è l’affresco tratto dal ciclo umanistico degli uomini illustri realizzato da Andrea del Castagno a Firenze: un Dante oratore che incede mentre trattiene la sua opera e alza la mano in gesto eloquente.

L’esposizione continua con due sezioni dedicate al culto di Dante e del Medioevo nell’Ottocento fino alla prima guerra mondiale: l’estensione del tema permette di ammirare le incisioni tratte dagli affreschi del Buffalmacco al Camposanto di Pisa o gli splendidi acquerelli di Koch, nazareno di primo Ottocento.
Seguono una buona serie di marmi, olii, gessi e bronzi legati al culto del poeta che subì una forte impennata nel corso del Risorgimento e del periodo postunitario quando l’Italia ricercava figure nazionali in grado di costruire in tessitura la nuova identità culturale, politica e linguistica del paese. Fra queste, un dipinto di Mochi raffigurante Dante che presenta Giotto a Guido Novello e una tela di Pierini che presenta Dante mentre legge la Commedia al medesimo signore ravennate – entrambi provenienti dalla raccolta di Palazzo Pitti – che non avrebbero sfigurato nel contesto dei prestiti degli Uffizi per le contemporanee esposizioni di Ravenna.

Attraverso la grafica e le edizioni a stampa pubblicate fra Sette e Novecento – in cui compaiono alcune bellissime prove neoclassiche di Felice Giani e Flaxman e del simbolista Cambellotti – l’esposizione approda al tema del confronto fra Dante e i classici con opere prevalentemente di epoca romana che elencano i grandi riferimenti del poeta, da Omero a Cicerone, da Aristotele all’immancabile Virgilio.
Forse leggermente compressa risulta l’ottava sezione dedicata alla politica e al periodo focoso dei contrasti fra Impero, Comuni e Chiesa: restituire la complessità del periodo poteva valere già una mostra ma non mancano i riferimenti medievali e rinascimentali alle istituzioni comunali, all’Università di Bologna dove Dante svolse la sua prima formazione, alle personalità centrali del periodo quali Celestino V, Bonifacio VIII e Carlo d’Angiò, pezzo questo ultimo da manuale di storia dell’arte.

Da qui in poi la mostra prende una piega più facile in quanto illustrare la Commedia è un problema solo di scelta e prestiti, essendo la maggior parte delle opere selezionate appartenenti all’Ottocento con qualche rara eccezione come il fantastico Concerto di Orfeo agli Inferi realizzato alla fine del ‘500 da Jan Brueghel il vecchio.
I nodi tematici sono stati alcune volte già utilizzati per mostre passate: Beatrice, Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, il conte Ugolino, i traditori e Lucifero, Pia dei Tolomei e altre figure di anime purganti rappresentano i passaggi che portano al gran finale, alla visione celeste del Paradiso. Numerose le opere di rilievo in queste sezioni fra cui, dovendo scegliere, è un dovere citare la tela di Dante Gabriele Rossetti proveniente da Toledo nell’Ohio che raffigura la splendida modella Jane Morris nelle vesti di Beatrice, interpretata dal pittore inglese sulla base dei versi della Vita Nova da lui stesso tradotti. Convolgenti anche il bronzo di Romolo del Gobbo col bacio appassionato di Paolo e Francesca, la scultura in marmo di Farinata degli Uberti interpretato da Carlo Fontana o il Lucifero dipinto nelle versioni di Schneider e di Franz von Stuck che bene interpretano il sentimentalismo imperante nella Bella Époque. Per contrasto, l’antico torso del Minotauro di età flavia mugghia con una potenza struggente mentre nella sezione finale, con una scelta giustificata da una maggiore aderenza alla sensibilità dantesca, la visione paradisiaca è quasi tutta rinascimentale secondo il verbo del Signorelli, Michelangelo e Lorenzo Lotto.

Orari di apertura della mostra ai Musei di San Domenico di Forlì fino all’ 11 luglio: Lu-Ve 9.30-19; Sa-Do e festivi 9.30-20.

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