La “Tradizione del Nuovo”, per non dimenticare Giulio Guberti

Il premio biennale dedicato al critico e curatore che a Ravenna realizzò le mostre e la rivista omonima

Foto 23 06 18, 18 32 14Da diversi anni ho assistito a un interesse verso la Tradizione del Nuovo, crescente da quando è scomparso Giulio Guberti, il critico e curatore che a Ravenna realizzò le mostre e la rivista omonima: 15 numeri, realizzati fra il 1977 e il 1981 per altrettante esposizioni collettive a cui parteciparono artisti e critici da tutta Italia per presentare lavori, scrivere e dibattere pubblicamente sui temi individuati da Giulio e dalla commissione Arti visive che presiedeva. Fra gli spettatori numerosi i giovani e le persone comuni che per la prima volta si avvicinavano al mondo dell’arte contemporanea in una Ravenna poco avvezza ad una tale evidenza culturale. Si è riparlato di quella esperienza non solo nel contesto di una rinnovata attenzione verso gli anni ’70 ma anche in relazione alle scelte culturali di Guberti, all’eredità che ha lasciato.

A partire dal progetto di un premio biennale dedicato a Guberti a cura di Elettra Stamboulis e dall’inaugurazione della prima edizione con le personali di Elisa Strinna e Giuseppe De Mattia (in chiusura domenica 15 luglio) – due giovani artisti italiani scelti da un comitato di critici e specialisti del settore visivo – la città si riattiva sull’onda di quella esperienza trovando uno sponsor nella Casa di cura di cui il critico era l’allora direttore sanitario, riaprendo la politica di acquisizioni del contemporaneo da parte del Mar – iniziata proprio nella seconda metà degli anni ’70 -, riattivando il rapporto fra Comune e territorio, e invitando a leggere il lavoro dei due artisti nella dimensione di un tema scelto nel giugno 1979.

Non è possibile però tralasciare un paio di considerazioni sulla dimensione intellettuale di Guberti rendendo giustizia non alla complessità del suo pensiero critico – per cui occorrerebbe molto spazio – ma alla sua visione ampia e lungimirante. Nelle 15 mostre non venne condotta un’analisi di tutti i linguaggi e poetiche dell’epoca ma fu scelto il gioco del posizionamento su un limite dato, quello del tema, in modo da circoscrivere l’attualità, permeandola da sforamenti continui di campo. Secondo, venne eliminata la sfida impossibile con le risorse espositive delle grandi città creando invece un polo periferico ma di grande attrazione nazionale. Terzo, Guberti si disinteressò ad alcune novità – ad esempio il linguaggio video, che stava facendo i suoi primi passi a Firenze – ma aprì la Tradizione del Nuovo dedicandolo alle artiste, registrandone la visibilità allora agli esordi e con almeno tre anni di anticipo sulla storica mostra dedicata all’Altra metà dell’avanguardia di Lea Vergine. E non fu solo questo tema ad anticipare i frutti che saranno. Guberti insegnò indirettamente che l’arte è un elemento sostanziale di un programma culturale e politico e che una piccola città può, anche con ristrettezza di mezzi, avanzare qualcosa di significativo. Per ricordarlo bastano i suoi testi, spesso riediti in mostre recenti, e l’appello che la Tradizione del Nuovo sia messa on line, tutta – dalla prima all’ultima pagina – in modo da riconoscerle il ruolo di patrimonio della città che merita.

Elisa Strinna e Giuseppe De Mattia rappresentano il nuovo per età anagrafica, la dimensione nazionale per la nascita agli estremi della penisola, e per la qualità di curricula svolti fra Italia ed estero. Il tema dell’edizione del ’79 curata da Guberti e Flavio Caroli con cui si confrontano si intitolava “Section d’Or o della restaurazione”: la richiesta fatta agli artisti era una dichiarazione sulla questione del ritorno all’ordine, l’abdicazione allo sperimentalismo per un ritorno alla misura esemplificata dalla sezione aurea. Tema scivoloso per entrambi gli artisti che lo affrontano da posizioni diverse: Strinna passa con fluidità dall’installazione alla performance, dal video all’oggetto scultura, affrontando il nodo fra cultura e natura. C’è poco riflusso nel modo aperto con cui l’artista esemplifica il discorso di un disco di legno – la sezione circolare di un tronco – che emette suoni in un codice sconosciuto ma reale quanto quello umano. Forse è la parte più “ingegneristica” del lavoro a rientrare per similitudine nella poetica della Section d’or, quando le variazioni delle quotazioni in borsa durante il crollo finanziario del 2010 vengono trasformate in suoni di violino che fuoriescono da porzioni di cavi di translatantici. La sperimentazione non manca nel linguaggio della performance che interpreta le partiture sonore: la danza contemporanea diventa il riferimento d’obbligo per questo dialogo con la tradizione più contemporanea. Come la collega, De Mattia utilizza vari linguaggi – pittura, video, fotocopia e scultura – per confluire sempre nel termine ultimo della fotografia, una frontiera superata, allontanata, ripresa. Alcuni oggetti di recupero vengono imballati secondo il modo di Christo, poi fotografati: la testimonianza del processo e la sottrazione dell’oggetto sostituito dall’immagine indaga lo scarto del tempo, le relazioni fra realtà, immagine e assenza. In questo senso è forse il lavoro più vicino al concettualismo degli anni ’70 assieme ai fogli che raccolgono e musealizzano le prove per l’utilizzo di penne. Interessante è la sequenza di immagini estrapolate dalle migliaia di ore di registrazioni raccolte presso l’archivio nazionale degli Home Video di Bologna. La coincidenza dello sguardo presenta una serie di frammenti sottratti alla continuità di questi filmati amatoriali che si sovrappongono verosimilmente alla produzione fotografica di Luigi Ghirri, dimostrando la reciprocità fra caso e arte e la persistente consistenza della volontà poetica di un artista.

La Tradizione del Nuovo, Premio Giulio Guberti (I edizione); Mar, via di Roma 13 a Ravenna – fino al 15 luglio – orari: Ma-Sa 9/18, Do 14/18. Ingresso libero

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