Oltre la dualità del genere nella XII biennale dei giovani al Mar di Ravenna

Sono sette le artiste e quattro gli artisti scelti per declinare il tema del gender

Sahel Samavati

Un’opera di Sahel Samavati

Genere, codici e linguaggi sono i temi che hanno condotto la XII rassegna RAM – Biennale dei giovani della Romagna, fino al 22 settembre nelle sale al piano terra del Museo di Arte di Ravenna, che ha visto la premiazione di 11 artisti under 35.

Come sempre suddivisi in varie sezioni – che per questa edizione comprendono fumetto, installazione e performance, mosaico, pittura, scultura, videoarte – il progetto è promosso dall’associazione culturale Mirada in collaborazione col Comune e curato da Elettra Stamboulis.

Fra le figure curatoriali oltre a Stamboulis hanno partecipato Maria Rita Bentini, Elena Dolcini, Viviana Gravano, Sabina Ghinassi, Claudio Musso, Antonella Perazza e Alice Merenda Somma.

Oltre alle due giovani Anna Bottoli e Angela Molari selezionate per i testi critici, sono sette le artiste e quattro gli artisti scelti per declinare il tema del gender, termine ampiamente discusso che divide il mondo culturale fra chi lo fa corrispondere alle identità maschile e femminile, fondate sulla biologia e plasmate attraverso la storia e i vincoli sociali, e chi invece ipotizza il superamento riconoscendo in uomini e donne solo gli estremi di una linea su cui si posizionano numerosi altri “generi”.

Al di là delle posizioni, il dibattito sul/i genere/i non ha visto il punto a capo ma l’urgenza delle questioni ha spinto il Comune di Ravenna e le associazioni presenti sul territorio a farsi carico delle problematiche collegate come viene illustrato nell’interessante intervento di Raffaella Sutter, ex dirigente comunale, pubblicato sul catalogo della mostra.

Maggioli

Un’opera di Lia Maggioli

La proliferazione di punti di vista riemerge come ieri nelle opere degli artisti invitati alla Biennale. Il superamento del dualismo dei generi è ad esempio il filo conduttore della performance e video installazione di Sissj Bassani, artista cesenate ospite della rassegna che partendo dal mito di Salmacide e di Ermafrodito e dal loro eterno abbraccio supera gli stereotipi imposti mediante l’idea di unione. Nell’abbraccio non esiste né l’uno, né l’altro, ma una sorta di entità umana in cui maschile e femminile si fondono. Va da sé che se si considera la compresenza dei due generi in Ermafrodito, la con-fusione aumenta in modo esponenziale mettendo in gioco non la dualità ma una sorta di plurigenere.

Meno articolata è la proposta di Federico Ferroni che propone i due generi come un dato comune all’esperienza umana condivisa all’origine nell’embrione che si aprirebbe all’altro nel momento della procreazione. Una strada simile viene percorsa anche da Aleksandra Miteva che dà vita a forme precedenti alla divisione in generi, in cui l’androginia appare la risoluzione ai conflitti, così come il lavoro di Irene Penazzi che illustra le storie del personaggio di Drogon in cui si concentrano le energie maschili e femminili a protezione dei bambini di entrambi i sessi e della loro libertà di espressione. Sulla stessa posizione si attesta la scultura Unhuman di Lorenzo Scarpellini che unisce nella parzialità della forma umana i tratti anatomici riconducibili ai due fenotipi.

In realtà, le identità sessuali e anche i generi forse sono più di due e la figura dell’androgino non rappresenta uno scudo ai conflitti storici fra generi: entra in argomento l’opera di Francesca Guerzoni, un video che alterna immagini registrate in un gay-pride a disegni animati in cui un corpo – ancora androgino e asessuato – mostra un universo interiore metaforizzato in una notte stellata.

Più complessa è l’indagine esplicitata nel lavoro di Nicola Montalbini che prende spunto da un caso vissuto nella propria sfera sociale e passato alla cronaca: ritratti al computer ispirati a fotografie introducono i componenti di una famiglia di Ravenna che ha affrontato il problema della disforia sessuale, termine che indica il caso di una persona che non si riconosce nel sesso con cui è nato/a. Desideri, preoccupazioni, riflessioni costellano i ritratti dei familiari in modo da rendere condivisibile la stratificazione di questa esperienza così delicata e complessa.

La compressione sociale che impone all’uniformità del genere biologico è il dato di partenza dell’opera a mosaico di Sara Bombonati tutta giocata sul bianco. Nessuna sorpresa nel pensare al condizionamento come a un monocolore e alla ricchezza delle differenze come pluralità di tessere che vibrano impercettibilmente, aprendosi al senso e alla realtà molteplice delle vite.

Molto interessante è il lavoro di Martina Zani che mette in relazione un corsetto a mosaico con le immagini fotografiche di corpi femminili che lo indossano. Struttura elegante ma dalla forte connotazione simbolica, il corsetto lascia espliciti segni sulla pelle moltiplicando il senso delle costrizioni e dei vincoli culturali che si imprimono e modellano i corpi.

Anche l’opera di Luca Cavicchi si alimenta dello stereotipo e dei vincoli sotterranei o espliciti che condizionano e costruiscono le identità. Più che sui due generi, è la libertà del corpo che viene sottratta nella disposizione delle sue sculture pittoriche di abiti vuoti, grigi e cementificati. Se il legame e la sostituzione di abito a corpo è stato indagato più volte in campo filosofico, artistico e letterario, la tragica nudità dei corpi umani è un’altra fonte di riflessioni che coinvolgono vita e morte, dignità e disumanizzazione. Senza approfondire, è proprio il tema della nudità che interessa Lia Maggioli nell’allestimento di “Vitalis”, una serie di gigantografie di corpi intrecciati, abbracciati, assortiti in modo plastico. Parzialmente riconducibili ai due generi, le immagini esaltano curve e parti anatomiche in un gioco di rimandi che confonde e sottrae certezze di identità. Nel 1976, l’artista Tomaso Binga (alias Bianca Pucciarelli) aveva realizzato un alfabeto di corpi per rivendicare la presenza ingombrante dei corpi delle donne e la necessità di un linguaggio autonomo femminile; in questo caso, l’opera di Maggioli che campeggia a parete – potente anche senza l’aggiunta delle installazioni a pavimento – si orienta in modo opposto, verso segni precedenti al linguaggio che illustrano le somiglianze e non le distinzioni.

Il confronto fra corpo vestito e nudo anima anche gli scatti fotografici di Sahel Samavati, artista persiana specializzatasi a Ravenna: l’indagine sul proprio corpo in coppia con un amico costringe ad abbandonare i pregiudizi e pone la domanda su quanto opaco e rifrangente sia a qualsiasi latitudine il corpo femminile.

RAM. Biennale dei giovani artisti della Romagna; fino al 22 settembre; MAR Museo d’Arte di Ravenna; orari: mar-sab 9-18; dom 14-18 (chiuso lunedì); ingresso libero

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